È ormai
noto che io ho un amore viscerale per Penny Reid. Tra tutte le autrici che pure
apprezzo, Penny ha un ruolo speciale nel mio cuore e nella mia stima. Sarà
perché abbiamo una formazione affine al punto da risultare inquietante unita a
una visione speculare della scrittura, sarà per quei colpi di fulmine a pelle
che talvolta capitano (siete mai stati abbracciati da lei? IO SÌ!!!)… sta di
fatto che la realtà è una: AMO QUESTA DONNA.
Adoro il
funzionamento della sua mente, che come la mia torva i numeri anche in un passo
di letteratura, cercando e creando simmetrie e equilibri tra emozioni ed eventi
di determinati pesi specifici ancor prima di vivere quei sentimenti. Adoro che
sia una autrice altamente scientifica, perché in lei il margine di errore è
ridotto al minimo e il gradimento si riduce al mero gusto, senza che le si
possa imputarle nessun errore di pensiero, elaborazione, pratica. Adoro la sua
ironia, sottile e gradevole, mai grossolana.
E ho
apprezzato Motion, come il resto delle sue opere, con l’aggiunta che
questa volta mi muovevo in un ambito che mi crea sempre apprensione: il New Adult.
Mi trovo
in quell’età in cui non si è troppo lontani dall’adolescenza per averla dimenticata,
e non si è abbastanza vicini alla maturità per vedere gli eventi della gioventù
con indulgenza e nostalgia.
Quindi
soffro.
Soffro
come una quindicenne e mi rimprovero come una quarantenne. Mi innamoro come la
ventenne che non vuole pensare alle conseguenze e mi struggo come la trentenne
che con le conseguenze ci convive.
Bell’affare,
eh? Ma non posso prendermela con la Reid per l’altalena emotiva che provo,
perché il punto è proprio quello: la lettura DEVE farci SENTIRE.
Sentire i
morsi allo stomaco, l’isolamento visivo, l’ottenebramento mentale. Sentire le
ginocchia molli e i brividi sulla pelle.
Deve farci
appassionare.
Penny Reid
ci riesce anche se sappiamo sin dall’inizio che alla fine del libro il punto di
non ritorno ci sfuggirà e resteremo con un pugno di mosche in mano. Insomma, Motion
è un romanzo breve, prologo di una trilogia, dunque lo sviluppo non può che
essere rimandato a un apice che, a occhio e croce, seguirà l’andamento di una
gaussiana (concedetemelo, la serie si chiama Le leggi della fisica!), quindi si
avrà nel secondo volume, eppure nonostante quel senso di incompiuto non ci si
può non affezionarsi a Mona.
Mona
DaVinci, genio della fisica, persona contorta nella stessa misura in cui appare
controllata; Mona che adorerete per la sua onestà anche nel mentire, per la sua
correttezza, per i suoi saldi principi morali, per il suo modo adorabile, privo
di isterismi e pieno di ironia “Reidiana” di lasciarsi andare a una vita priva
di programmi e pianificazioni, nonostante gli eventi casuali e le interazioni
sociali per lei siano difficili, distorti da una educazione e da circostanze
che l’hanno esclusa da un mondo che la pretende e che lei, in fondo, teme.
Mona, punto
di vista unico di questa prima parte, che giganteggia su Abram, il bellissimo
protagonista maschile, un principe azzurro tenebroso che amiamo attraverso lei,
ma che la Reid non espone troppo. Una scelta ben ponderata, sicuramente, perché quando la
palla passerà a lui lo conosceremo nel suo tormento, nella sua delusione e disillusione,
e lì, me lo sento, scopriremo la complessità di un’anima sensibile, profonda, dolorosamente
artistica.
Motion, nel suo
seguire il mondo in cui i protagonisti si annusano e si conoscono, esprime solo
in potenza tutti gli elementi di un NA perfetto, pertanto la valutazione non è
semplice, benché ampiamente positiva. Di certo è un volume irrinunciabile, l’inizio
di un innamoramento che, conoscendo le capacità dell’autrice, si trasformerà in
un vero e proprio amore nel proseguire le vicende di Mona e Abram.
Non mi
resta che attendere con ansia i prossimi volumi per vedere le scintille
trasformarsi in fulmini, e di lì in vere e proprie tempeste di emozioni.
Ancora
una volta, Penny mia non mi ha deluso.