mercoledì 5 ottobre 2016

Monica Lombardi: "NON SO SCRIVERE IN PUNTA DI PIEDI"





Non so scrivere in punta di piedi:
spalanco la porta ed entriamo insieme nella storia

Ci sono autori, anche autori che scrivono storie che leggo volentieri e hanno creato personaggi molto interessanti, che guardano questi personaggi da lontano, come se li riprendessero – se vogliamo fare un’analogia cinematografica – sempre in campo lungo. Autori che trattano le emozioni con le pinze e dosano i pensieri dei loro personaggi come se non volessero rivelare troppo al lettore. Una scelta, senza dubbio.
Io preferisco il primo piano. Sono un’autrice invasiva, con i miei personaggi, sono nella loro testa e vi racconto che cosa vedono, che cosa sentono - in termini di rumori ma anche di sensazioni. Credo di non saper scrivere in altro modo. Io sono dentro la storia e vi ci trascino, prendere o lasciare. Spostandoci dal cinema al teatro, potrei spiegarvela in questo modo: io non invito il lettore ad assistere allo spettacolo seduto nella sala buia, diviso dal palcoscenico dall’invisibile quarta parete, ma, come in un teatro elisabettiano, lo piazzo a ridosso del palco, dove diventa quasi parte integrante della rappresentazione, libero di fare il tifo ed esprimere a voce alta la sua opinione su quello che vede, che sente.
E cerco di applicare - all’inizio credo di averlo fatto d’istinto, ormai lo faccio in modo sempre più consapevole - il principio dello “show don’t tell”. Qualcuno lo definisce una tecnica, a me sembra un termine troppo freddo per quello che è e, soprattutto, per l’effetto che crea. Perché il lettore si senta “nella” storia, l’autore deve mostrare, non raccontare. La storia “raccontata” crea distanza: è una merce esposta in vetrina che il lettore vede da dietro il vetro. La storia “mostrata” è il lettore che entra nel negozio, si guarda attorno a 360°, può sentire, annusare, toccare.
Nelle parole di E.L. Doctorow: La buona scrittura dovrebbe evocare sensazioni nel lettore – non il fatto che sta piovendo ma la sensazione della pioggia addosso.
La pioggia, addosso. Quella sottile che è solo fastidiosa umidità, quella battente che nasconde tutto dietro a un velo grigio e riempie di echi le orecchie, le gocce spesse, grasse, che colpiscono come piccoli proiettili. I vestiti pesanti, zuppi, i rivoli d’acqua che scorrono sulla pelle, i capelli appiccicati sulla testa, le pozzanghere che schizzano, i piedi freddi, l’acqua che provoca strani scricchiolii nelle scarpe.
Quando sono in fase di revisione, quando rileggo ciò che ho scritto, se un paragrafo non mi convince molto spesso è proprio perché sto raccontando, non mostrando. Perché ho fatto un passo indietro e sono fuori dalla scena. La storia raccontata è… un po’ come una sinossi molto dettagliata: l’autore che racconta va un po’ di fretta, come spesso accade nella prima stesura. Che il più delle volte è buona solo perché permette la seconda.
Diceva Terry Pratchett che la prima stesura di una storia sei tu, autore, che racconti la storia a te stesso. Credo proprio che sia così. Una volta che hai il copione, una volta che hai tutto lo svolgimento della storia non solo in testa ma anche sulla pagina, puoi darle vita. Davvero.


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