Ci sarebbero stati molti modi per augurarvi il buongiorno e per chiudere
questa seconda settimana d'avvento, ma il racconto scritto per la
rassegna Romantic Xmas 2015 dalla nostra ANGELA D'ANGELO mi sembrava il più appropriato. Per voi una dolcissima storia d'amore e di camici bianchi: IL DONO!
Buona lettura!
Dicembre
era il suo mese preferito. Il cielo sembrava più terso e pulito, e per Alice la
leggera foschia che alle sette del mattino avvolgeva Napoli aveva qualcosa di
romantico. Prima del completo sorgere del sole, solo quel poco di umidità ricreava
la sua adorata atmosfera magica.
Peccato
che a essa non si accompagnasse il silenzio!
All'ospedale
pediatrico presso cui svolgeva il tirocinio c'era un continuo via vai di medici
e infermiere, di piccoli pazienti urlanti e genitori isterici.
Diede
un altro tiro alla sigaretta, cercando di non sentirsi una criminale, e la
spense quando ne restava ancora intatta la metà, prima di buttarla in un
cestino. Una piccola vittoria nella sua battaglia contro quel vizio.
Si
sistemò meglio lo zaino in spalla e si diresse alla guardiola per firmare il
registro su cui erano annotate le entrate e le uscite, la testa assorta in
mille pensieri. Fu per questo che non si accorse che davanti a lei c'era Davide
Fiore, ed era strano, di solito lo notava sempre. Andò a sbattergli contro e,
quando la afferrò per le spalle, le mancò il fiato.
«Sempre
persa nel paese delle meraviglie» la salutò con un sorriso che le fece
desiderare di sparire sottoterra. Perché, insomma, lei non era timida, ma
quando il dottor Fiore, specializzando in pediatria, metteva in mostra quella
fila di denti bianchi e dritti, Alice abbandonava Wonderland e si ritrovava in
Hotland, un luogo pieno di fantasie lussuriose e proibite.
Si tirò
indietro bruscamente, con il fiato corto e le guance che iniziavano a scaldarsi
per l’imbarazzo. Dannazione a lui!
«Una
piccola donna non può nulla contro una montagna priva di grazia» si difese, ma
sembrò più un attacco. Strategia sbagliata! Il sorriso di Davide divenne ancora
più ampio, al punto da farle dubitare che i denti fossero solo trentadue.
«La tua
lingua compensa bene i centimetri in meno» la prese in giro prontamente, e
Alice pensò che entro pochi secondi le sarebbe uscito il fumo dalle orecchie.
Lo
superò senza degnarlo di una risposta e andò ad autografare quel dannato
registro, cercando di non strappare il foglio con l’impronta troppo decisa
della penna.
Oh, lo
odiava, come si poteva odiare solo l'oggetto dei propri desideri. Un diabetico
può anche sbavare davanti a una sfogliatella calda, ma sa benissimo che innalzerebbe
la glicemia oltre i normali valori di cut-off... Cazzo, era messa male se
pensava all'esame di patologia!
Sbuffò
ed entrò nella struttura, senza fermarsi a salutare nessuno finché non
raggiunse lo spogliatoio. Mentre si sfilava il cappellino di lana con i pon
pon, guardò con antipatia lo zaino di Davide sulla panca di fronte, quasi fosse
il proprietario in persona, con i suoi capelli biondo cenere e gli occhi grigi.
Sfilò
velocemente il cappottino nero e indossò il camice, poi andò a cercare la
caporeparto, Antonella, un'infermiera tonda come un barilotto e incredibilmente
disponibile, dote che non tutti i colleghi conservavano negli anni. Sperava anche
lei di non perdere mai lo spirito con cui si era iscritta alla facoltà di infermieristica,
aveva sempre voluto aiutare il prossimo senza che nell'equazione entrasse
troppo sangue.
L'assegnazione
al Santobono? Una botta di culo unita alla media alta. Eh sì, lei era una
secchiona. Non del tipo topo da biblioteca, ma di quello che al corso tutti odiavano:
sabato sera in disco e la domenica a studiare come se non si fosse ritirata
alle cinque del mattino. Ma lo schema aveva le sue imperfezioni e quando
crollava i suoi genitori erano costretti a fronteggiare una ventitreenne
isterica e litigiosa. Era lo scotto che le faceva pagare il suo fisico.
«Si
batte la fiacca?» chiese, entrando nella saletta in cui le infermiere si
rifocillavano. Nel tempo avevano allestito un vero e proprio bar con tanto di moka,
fuoco da campo e microonde.
Antonella
la guardò male, e ne aveva tutte le ragioni. Il suo turno era appena finito.
«Attacco
di vomito alle tre, pianto disperato alle quattro, bambino terrorizzato dalle
punture a ore cinque, e la ragazzina mi accusa di perdere tempo!» esclamò la
donna, rivolgendosi a un collega che si trastullava con un bicchierino di
plastica.
Alice
le rivolse un sorriso impertinente, poi si preparò il caffè.
«Gennarino
ha fatto ancora storie per la flebo?» chiese, mentre segnava su un foglio una
crocetta in corrispondenza del suo nome. Alla fine del mese ognuno avrebbe
contato le cialde utilizzate e pagato i propri caffè.
«Ho
dovuto sostituirgli il catetere. Ne ho visti di bambini iperattivi, ma lui li
batte tutti» si lamentò la caporeparto.
Gennaro
Caputo, anni sette, aveva deciso di rendere la vita impossibile a medici e
infermieri, la sua piccola vendetta per il ricovero forzato. Ad Alice non
dispiaceva: se il bimbo aveva voglia di giocare era un buon segno.
«Da
dove inizio oggi?» chiese appena la caffeina raggiunse lo stomaco e le accese
il cervello.
«Controlla la flebo di antibiotici di Gennaro e aspetta il medico per il prelievo a Sandrino» le indicò Antonella. «Per il resto rivolgiti a Michela, io per oggi ho concluso» aggiunse con uno sbadiglio.
«Controlla la flebo di antibiotici di Gennaro e aspetta il medico per il prelievo a Sandrino» le indicò Antonella. «Per il resto rivolgiti a Michela, io per oggi ho concluso» aggiunse con uno sbadiglio.
Alice
scimmiottò un saluto militare e raggiunse la stanza dei due bambini.
La giovane
nonna di Gennaro era seduta su una poltrona con una rivista, Sandrino invece
non aveva compagnia. Sua madre era a lavoro e sarebbe arrivata solo dopo
pranzo. Questo doveva essere uno dei momenti in cui essere una ragazza madre
faceva schifo.
«Buongiorno,
bimbi! Possibile cha quando non ci sono fate disperare Antonella?» chiese, la
voce allegra.
Gennarino
sussultò, l'espressione che si apriva in un sorriso contento. Cristo santo,
quel bimbo la metteva in ginocchio.
«Quella
non voleva chiamarti!» si giustificò il piccolo.
«Quella
ha un nome!» intervenne la nonna con uno sbuffo esasperato, poi le indirizzò un
sorriso stanco che Alice ricambiò. La poltrona non doveva essere per nulla
comoda.
«Ti dispiace se mi allontano un attimo? Ho bisogno di un caffè prima che mia figlia venga a darmi il cambio.»
«Ti dispiace se mi allontano un attimo? Ho bisogno di un caffè prima che mia figlia venga a darmi il cambio.»
Ehi,
chi era lei per mettersi tra una donna e il suo caffè?
«Ristretto,
mi raccomando. Quello normale è pessimo al bar di sotto» le suggerì, facendole
l'occhiolino. Le labbra della donna si incresparono appena, prima che scappasse
dalla stanza.
«Wow,
ti sei proprio dato da fare se tua nonna non vede l'ora di prendersi una
boccata d'aria» commentò.
Gennaro
mostrò le gengive nella sua particolare versione di un sorriso senza gli incisivi.
«Non
vuole portarmi a casa!»
Alice
strinse i denti e si costrinse a sorridere. «Finché non starai bene, non puoi
andare da nessuna parte. Se la nonna ti porta a casa e non sei guarito del
tutto, poi devi tornare in ospedale» gli spiegò mentre armeggiava con la flebo,
che era terminata, e toglieva l'ago dal catetere. Gennaro non protestò alla
pratica, che in seguito all'intervento di appendicite era diventata una
consuetudine. La ferita si era infettata e invece di una settimana si trovava
lì da quindici giorni.
«A casa
non ci sei tu» disse il bambino dopo un attimo di ragionamento.
Alice
scoppiò a ridere. «Mi stai corteggiando?»
«Io non
corteggio le femmine!» dichiarò, oltraggiato.
«Le
donne, Genny. È brutto dire femmine. Sono intelligenti quanto te, sai?»
«Mamma
dice che le donne devono essere trattate come principesse» si intromise
Sandrino, un cucciolotto di cinque anni imbottito di diazepam a causa delle
convulsioni.
«Finalmente sento qualcosa di ragionevole! Impara da lui, Gennaro.»
«Finalmente sento qualcosa di ragionevole! Impara da lui, Gennaro.»
«Ma se
è più piccolo!» obiettò il teppista sdentato.
«Io
sono un ometto» insorse Sandrino, che nel suo pigiama con gli orsetti sembrava
averne tre di anni.
«Ehi,
ehi. Ora basta!» li interruppe Alice. Si avvicinò al letto di Sandrino e lo
prese in braccio per farlo scendere, poi lo accompagnò in bagno.
Lasciò
la porta aperta in modo da controllare anche Gennaro e concedere al più piccolo
l'illusione di avere un po’ di privacy.
«Avvisami
quando hai finto» gli disse, mentre batteva un piede sul pavimento.
«Ho finito.»
«Ho finito.»
Alice
represse una risata e scosse la testa. «Non ho sentito il rumore della pipì.»
«Non mi
viene, se mi guardi» piagnucolò Sandro, desolato.
«Muoviti,
altrimenti staremo qui tutto il giorno.» Odiava fare la voce grossa, in
particolare con quei due bambini. Oh, era una bugia, le piacevano tutti, anche
quelli pustolosi e che le vomitavano addosso.
Gennaro
si mise a ridere e Alice gli fece cenno di tacere. Poco dopo, sentì il rumore
dello sciacquone e quello dell’acqua del rubinetto. Il moccioso si era lavato
anche le mani. Era impressionata!
«Ho
finito… davvero!» annunciò Sandrino uscendo dal bagno, rosso come un pomodoro.
E non solo per la febbre.
«Ora
aspettiamo il dottore per il prelievo» disse afferrandolo per la mano.
«Quale
dottore?» chiese il bambino mentre lo issava sul letto.
«Quello
bello» rispose Gennaro e alle sue parole seguì una risata calda che la fece
arrossire quasi quanto Sandrino. Si irrigidì tutta e si schiarì la voce, prima
di voltarsi.
«Il
dottor Fiore non ha bisogno di altri complimenti per montarsi la testa»
borbottò, guardando Davide, i cui occhi grigi brillavano di divertimento.
«Quanto
astio! Sicura di aver preso il caffè?» le rispose il dottore, quello bello. Che
ne sapeva lui del suo carburante preferito?
Alice
si trattenne dal ringhiare, e anche dall’aggiustarsi i capelli. La sola
presenza di Davide la faceva sentire sciatta e disordinata. Lui era… perfetto,
non c’era altro termine per descriverlo. E non solo perché faceva sospirare
metà delle infermiere e tutte le bambine, ma soprattutto perché era un buon
medico e, a detta di tutti, una brava persona. Be’, lei aveva deciso di
trovargli ogni sorta di difetto per compensare, e a stento gli rivolgeva la
parola, anche quando se lo ritrovava sempre tra i piedi.
«Sto
benissimo, grazie» gli rispose, il tono arcigno. «Ti vuoi dare una mossa con il
prelievo? Ho anche altro da fare questa mattina.»
«Non
voglio!» strillò Sandrino e ad Alice sfuggì un’imprecazione a denti stretti. Bel modo
di comunicare a un bambino che gli avrebbero fatto l’ennesimo livido sul braccio.
Il
sorriso di Davide vacillò, poi si avvicinò al letto senza guardarla e si
sedette accanto al piccolo, che aveva le ginocchia al petto e gli occhi
terrorizzati.
Dio,
era una deficiente!
«Ti
prometto che non sentirai dolore» lo tranquillizzò Davide, scompigliandogli i
capelli con tenerezza. Alice deglutì un groppo alla gola, non era da lei quella
mancanza di tatto. Non riuscì a dire nulla e attese indicazioni.
«Guarda
cosa ho per te» continuò Davide, tirando fuori dalla tasca una barretta di
cioccolato. Il bambino si sporse per guardare meglio e il suo viso perse un po’
della rigidità dovuta alla paura. «Però non puoi mangiarla prima del prelievo»
lo ammonì, tendendola al piccolo paziente.
«Altrimenti
salgono i valori di glucolo» disse Sandrino con la voce sottile e il dottore
scoppiò a ridere.
«Glucosio»
lo corresse Davide, pizzicandogli il naso. «E ora togliamoci il pensiero, prima
che la barretta si sciolga.»
Alice
si affrettò a prendere l’occorrente, cercando di mascherare la vergogna con
l’efficienza. Davide riempì le provette e, quando sciolse il laccio emostatico,
si preoccupò di massaggiare il braccio del bambino, che aveva trattenuto le
lacrime per tutto il tempo.
«Ora
puoi mangiarla» disse il dottore, indicando la barretta che il bimbo aveva
stretto come un amuleto.
«E io?»
chiese Gennaro, che non si era perso nemmeno un secondo di quella scena. Davide
tirò fuori dalla tasca una caramella e gliela lanciò.
«Solo
una caramella?» mormorò il bambino.
«Sandro
si è comportato bene, invece tu hai quasi svegliato mezzo reparto questa notte»
lo rimproverò, ma non c’era traccia di severità nella sua voce. Alice, che in
quel momento avrebbe preferito andarsi a nascondere nello spogliatoio, dovette
ammettere che il dottore ci sapeva fare. Era magnifico con i bimbi.
«Volevo
solo tornare a casa» replicò Gennaro, abbassando le spalle e mostrando per la
prima volta tutta l’ingenuità dei suoi sette anni. «Se viene Babbo Natale e non
mi trova?» aggiunse poi.
Alice trasalì,
il cuore stretto per la pena, e sentì gli occhi pungere.
«V-vado
a portare i campioni in laboratorio» balbettò, prima di spingere il carrello
fuori dalla stanza in tutta fretta, senza nemmeno salutare i bimbi.
Uscì
nel corridoio e si appoggiò alla parete. Una lacrima le rigò il viso e respirò
a fondo.
Si
sentiva un’egoista e anche un elefante privo di sensibilità. Era il quindici
dicembre e invece di rendere più sopportabile i giorni di quei poveri bambini, si
lasciava trasportare dall’ostilità per un ragazzo che aveva l’unico difetto di
piacerle troppo.
Chiuse
gli occhi e provò a ricordare che nel suo lavoro bisognava essere più
impermeabili, come diceva Antonella, ma come dimenticare lo sguardo atterrito
di Sandrino o il tono triste di Gennaro?
Un
palmo gentile si posò sulla sua guancia e Alice sussultò, sbarrando gli occhi.
«Non
farti vedere così da loro» le suggerì Davide, mentre le asciugava una lacrima con
il pollice. Il cuore mancò un battito e il respiro le si mozzò.
«Hanno
bisogno di leggerezza e tu sei la loro infermiera preferita.»
Deglutì
a vuoto un paio di volte per scacciare la morsa che le stringeva la gola. «Mi
dispiace» si scusò, talmente indebolita dell’emozione di averlo vicino da non
riuscire a nascondersi dietro qualche battuta pungente.
Davide
le sorrise, un sorriso tenero e bellissimo che le ricordò perché doveva stargli
lontano. Quell’espressione dolce la voleva tutta per sé, come gran parte delle
sue colleghe, e questo era abbastanza da scoraggiarla.
Il
dottore le prese la mano e la trascinò nello sgabuzzino in cui tenevano i medicamenti.
Alice lo seguì, sorpresa dalla propria arrendevolezza e troppo stordita per
protestare.
«Davide…»
iniziò, ma le labbra di Davide si posarono sulle sue e le parole si persero
nella sua bocca. La circondò con un braccio e la premette contro di sé. Alice
alzò le mani per respingerlo, no, per trattenerlo. Strinse la stoffa ruvida del
suo camice tra le dita e si alzò sulle punte per ricambiare quel bacio. Fu una
pressione sufficiente a farle desiderare di più, ma Davide si scostò prima che
le loro lingue potessero intrecciarsi.
«Per
questo mi piaci, perché ti dispiace» le spiegò lui, il tono roco. La fissò come
se volesse imprimersi la sua espressione nella mente, poi la lasciò da sola
nella stanza, con il cuore a mille e le gambe tremanti.
Dio,
non poteva innamorarsi di lui, si disse mentre si appoggiava a uno scaffale di
metallo. Doveva dimenticare quel bacio ed evitare che il ricordo le si
imprimesse nel cuore.
Sperava
solo che non fosse troppo tardi.
«Questo
dove lo metto?» chiese Gennaro, sollevando una stella da uno scatolone.
«Dove
vuoi, tesoro» lo incoraggiò Alice, che a stento riusciva a guardare l'alberello
oltre la testa ricoperta di boccoli biondi di Sara. La bambina era ferocemente
attaccata al suo collo e non dava segni di volersi unire agli altri. Per
fortuna, Alice era riuscita a mettere le lucine prima che quell'amorevole
piovra decidesse di catturarla.
«Alice,
questo lo voglio mettere lì» decise Sandrino, «ma non ci arrivo!» protestò,
rimirando l'angioletto di plastica che non trovava collocazione da buoni cinque
minuti.
«Non
puoi scegliere un altro ramo?» gemette. Non aveva idea di come aiutarlo senza
provocare una crisi di pianto in Sara.
«Ci
penso io.»
Alice
si irrigidì tutta e si rifiutò di voltare la testa verso la porta della saletta
adibita a stanza dei giochi per i bambini a cui si prospettava una lunga
degenza.
«Mancava
solo il cavaliere dalla scintillante armatura» borbottò, nascondendo il viso
tra i capelli della bambina.
«Che
cos'è un'armatura?» chiese Sara con la sua vocetta stridula e infantile.
Alice
trattenne un gemito di disappunto. Quando avrebbe imparato a stare zitta? I
bambini non avevano la misura di cosa andava ripetuto e cosa no.
«È una
divisa che indossano i cavalieri per far colpo sulle principesse» rispose
Davide, con un tono malizioso che la fece arrossire.
Non
guardarlo, si impose. Ma l'aspirante pediatra si avvicinò a lei per
scompigliare i riccioli alla bimba e il suo profumo la stordì abbastanza da
farle alzare il viso per rintracciarne la fonte.
Cristo, è sempre stato così bello?
«Tutta
fatica sprecata, qui non ci sono principesse» si affrettò a dire. Il ragazzo le
sorrise con l'aria di chi la sapeva lunga e le voltò le spalle per aiutare
Sandrino.
Alice
sbatté le palpebre, confusa. Quei denti avevano qualcosa di innaturale. Come
avrebbe fatto a ignorarlo se non riusciva a smettere di guardargli la bocca?
Be', non
era l'unica cosa che guardò nella mezz'ora successiva. Il dolce fardello che
aveva tra le braccia le lasciò solo la possibilità di dirigere i lavori di
allestimento dell'albero di Natale. Davide seguiva tutte le sue indicazioni e
comandava le truppe di bambini febbricitanti e pustolosi in modo ammirabile.
Alice incontrò
qualche difficoltà a non ricambiare i suoi sorrisi, trattenendoli fino al
momento in cui il bel medico si distraeva e poteva lasciarsi andare. Era
stupendo in mezzo ai piccoli pazienti, e il modo in cui interagiva con loro e
riusciva a farli sentire speciali le scioglieva il cuore.
Wow,
era cotta, completamente e irrimediabilmente andata.
«Genny,
smettila di spostare gli addobbi che ha appeso Gabriele» disse Alice,
riprendendo la peste che aveva abbandonato i modi civili e iniziava ad
agitarsi.
«No!» urlò
il bimbo. Quando si trovava in mezzo ai coetanei, Gennaro regrediva di almeno
un paio d'anni. Per rafforzare il concetto le tirò addosso una palla di Natale.
Prima
che potesse richiamarlo per il comportamento villano, Davide lo sollevò da
terra. L'atmosfera cambiò nello spazio di un secondo.
«Chiedi
scusa ad Alice» gli ordinò il dottore. Il piccolo non rideva più e
l'espressione di Davide era così severa che lei ebbe pena del bambino.
«Non è
impor...»
«Gennaro!»
Una
sola parola e il teppista voltò il viso verso di lei con una espressione
mortificata che la colpì.
«Scusa,
Alice» mormorò, poi Davide lo riappoggiò a terra e indicò agli altri di
continuare, ma senza sorridere.
Alice era
ammutolita, e anche se il suo cuore tenero avrebbe tollerato, sapeva che il
medico si era comportato bene. Si augurò solo che non guardasse mai lei in quel
modo, probabilmente avrebbe avuto meno coraggio di Gennaro e si sarebbe messa a
piangere.
«Perché
sei arrabbiato?» chiese Sandrino a Davide, tirandogli il camice per farsi
notare. In effetti, lo separava quasi un metro dal bel viso del pediatra.
«Non
sono arrabbiato» lo rassicurò il ragazzo, facendogli l'occhiolino.
Alice non riuscì a trattenersi e sospirò. Era estasiata. Per un
occhiolino. Roba da matti!
«Hai fatto
bene a difendere Alice» approvò il nanetto galante, quello con la madre single
che lo stava educando al rispetto per le donne.
«Le
principesse vanno sempre protette» rincarò Davide, indirizzandole uno sguardo
che avrebbe fuso l'oro.
Alice
sorrise divertita, conquistata da quel modo adorabile di provarci con lei. Il
ragazzo se ne accorse e le si avvicinò, le labbra piegate in un ghigno
malizioso. Cazzo, si era fatta scoprire!
«La
prendo io, sei stanca» disse allungando le braccia verso Sara. La bambina si
era assopita e non protestò quando Davide se la adagiò sul petto.
Il movimento
li avvicinò e il suo cuore iniziò a battere in tonfi sordi e pesanti nel petto.
Era sopraffatta dalla presenza di lui, dai mille piccoli gesti che nell'ultima
mezz'ora avevano abbattuto una dopo l'altra le sue difese.
«Non
puoi rimangiarteli, sai?» le sussurrò Davide. Erano divisi solo dal corpicino
di Sara, e non era abbastanza per evitarle di percepire il suo calore.
«Cosa?»
chiese turbata, gli occhi fissi in quelli grigi e magnetici di Davide.
«Tutti
quei sorrisi.» La voce del ragazzo era dolce come il miele e calda come le
fiamme dell'inferno. «L'ultimo mi ha messo K.O., ringrazia che intorno a noi
c'è una mezza dozzina di bimbi.»
Alice
arrossì. Non le era mai capitato di sentirsi in imbarazzo prima che nella sua
vita piombasse il dottor Fiore con il suo fisico da paura, quei denti abbacinanti
e quella tenerezza che incantava i bimbi e aveva vinto lei.
«Non
montarti, Fiore, è solo il Natale» sussurrò, la voce roca, lo stomaco stretto
in una morsa di piacere.
Davide
scoppiò a ridere e le indirizzò uno sguardo carico di promesse. «Continua a
scappare, la tua resa sarà ancora più dolce.»
Alice
aveva sempre associato il Natale alla vita. Non una vita indolente e pigra,
ma concitata, brillante, allegra. In ospedale la gioia si faceva spazio a
fatica tra tormenti e affanni, eppure non periva sotto i colpi di una
depressione indotta dal dolore e dall'isolamento, era nascosta nella risata di
un bambino, nel sorriso stanco di un parente, nei cenni d’intesa dei
colleghi... bisognava solo scovarla. Da parte sua, poteva dire di essersi
davvero impegnata per portare il Natale in reparto. Aveva dato il via alla sua
missione il primo dicembre. Dapprima aveva iniziato a fischiettare a bocca
chiusa le canzoni tradizionali alla presenza di medici e infermieri, mentre
raccoglieva appunti o eseguiva i suoi compiti giornalieri. Il messaggio
subliminale era rimbalzato da bocca a bocca, tanto che aveva beccato Antonella
a canticchiare "Deck the Halls".
In
seguito aveva lasciato, casualmente, dei volantini che pubblicizzavano
mercatini natalizi, eventi in grandi centri commerciali, spunti per idee
regalo. Il dottor Grimaldi era capitolato per primo e la seconda domenica del
mese aveva visitato con i figli il Villaggio di Babbo Natale. Alice era stata
lieta di costatare che il lunedì l’uomo sorrideva di più e Gennaro le aveva
spifferato che il medico aveva distribuito cioccolatini sottobanco.
Il
terzo punto della missione l'aveva denominato "strappare un sorriso".
In quel caso, aveva attinto ai metodi dei piccoli pazienti. Certo, non si era
messa a disegnare per i grandi – non ne aveva il tempo – ma ora ogni infermiera
aveva l'origami di un alberello natalizio.
Appena
il morale era stato più alto, si era lanciata in progetti più importanti come
la decorazione delle stanze e l'allestimento dell'albero... fino a quella sera.
Era il
24 di dicembre e i bimbi avevano la loro vigilia di Natale!
Avvolti
in pigiami e vestagliette, i mocciosi facevano la fila per una scodella di
brodo e un pacchetto di cracker. Poco importava che non potessero abbuffarsi di
Nutella e mascarpone: avevano l'albero, il presepe e le canzoni in
"inglish" da storpiare a loro piacimento. Loro sì che riuscivano a
trovare la felicità in ogni cosa.
Alice
attingeva da quell'entusiasmo a piene mani, raccogliendolo nelle stanze del
proprio cuore e conservandolo per i momenti tristi.
E non
era l'unica. Aveva appena distribuito i cappellini da Babbo Natale e i cerchietti
con le corna di renna, quando alla festicciola si era imbucato Davide Fiore.
Non
aveva neanche pensato che potesse farsi assegnare il turno quella sera. Non
aveva amici con cui festeggiare?
Eh no,
Davide non ne sbagliava una, era sempre all’altezza delle più rosee aspettative,
sempre giusto e perfetto. Be’, a lei la perfezione faceva paura, non la capiva
e ne prendeva le distanze. Era facile fermarsi a un bell’involucro, se invece si
fosse permessa di conoscerlo meglio, se ne avesse scovato i difetti, analizzato
le ombre, allora sarebbe stato un uomo in carne e ossa, e lei non avrebbe più
potuto fingere che non le batteva il cuore quando lo vedeva, che non sognava di
lui più spesso di quanto le piacesse ammettere.
Davide
Fiore doveva rimanere un sogno, uno troppo inverosimile per poter solo pensare
di realizzarlo.
«Ali,
perché non giochi con noi?» chiese Gennaro, gli occhi lucidi per la febbre. La
ferita infetta non voleva saperne di guarire.
Alice
gli accarezzò la guancia, cercando di sorridere anche se la pelle del bimbo
scottava. Ancora un’ora e gli avrebbe attaccato la flebo.
«Mi
sono presa una pausa» lo rassicurò, poi gli allungò una mano e si fece
trascinare in mezzo al gruppo di bambini che circondava Davide.
Il
ragazzo stava raccontando “Canto di Natale” di Charles Dickens e si faceva
aiutare dai piccini ora per rappresentare il fantasma, ora il vecchio Scrooge.
«C’è
spazio per me?» chiese alla platea sovraeccitata.
Davide
si interruppe e le sorrise, spostandosi per farle posto accanto a lui sulla
panca.
Non
poteva fingere di non aver notato il gesto. Rassegnata, si sedette vicino a lui
e subito si sentì più calda e… felice.
«Il
fantasma del Natale passato lasciò Scrooge da solo» riprese lo specializzando,
«e il vecchio fu raggiunto dal… ?»
Un coro
di voci esplose nelle parole “fantasma del Natale presente”, declinato nelle
varie versioni di chi non riusciva a pronunciare la erre e chi faceva sibilare la esse
tra i denti mancanti.
Davide
scoppiò a ridere, con quella sua voce calda e pulita che avrebbe ammansito
anche una tigre inferocita, e Alice si affrettò a distogliere lo sguardo dal
suo viso, dirigendolo su quello dei bambini. Mossa sbagliata, le loro espressioni
felici e fiduciose, benché guastate dagli incarnati pallidi e le occhiaie
grigiastre, le mozzarono il fiato.
Rapida
la commozione le strinse la gola in un nodo e non riuscì a evitare che il mento
le tremasse. Cercò gli occhi di Davide in una richiesta di aiuto e, prima che
potesse rendersene conto, si trovò stretta a lui, circondata dal suo braccio e
con la guancia contro la sua spalla.
Abbassò
il volto, in modo che i capelli cadessero a nascondere le lacrime.
«Oooh!»
esclamarono i bambini, sorpresi da quel gesto almeno quanto lei.
Davide
le accarezzò la schiena in un modo confortante che tuttavia le fece battere il
cuore neanche si trattasse del più intimo e lussurioso degli sfioramenti.
«Ha
freddo, la sto solo riscaldando» affermò il ragazzo, attirando l’attenzione su
di sé. L’ironia nella sua voce poteva sfuggire ai bimbi, ma non lei. E dire che
l’aveva ammonita altre volte di trattenersi davanti ai pazienti.
«Secondo
me a te ti piace» esordì Gennaro.
«Non si
dice “a te ti”» lo corresse Sandrino, che per un vizio di forma non era potuto
tornare a casa quella mattina, anche se era completamente ristabilito.
Alice
gemette per l’imbarazzo ma Davide, invece di lasciarla andare, la strinse
ancora di più. Lei divenne improvvisamente consapevole di quanto fossero vicini
e fu sopraffatta dal suo profumo, stordita dal ritmo martellante del suo cuore.
Batte così forte per me?
«Alice
piace a tutti, vero?» chiese il dottore e il coro di “sììì” rischiò quasi di
strapparle un singhiozzo. Dio, non poteva permettersi di frignare!
«Va’
avanti. Hanno bisogno di ascoltare la tua storia, ne ho bisogno anch’io»
mormorò Alice, le labbra contro il collo del dottore.
Davide si
irrigidì e per un attimo il suo abbraccio divenne così serrato da provocarle
dolore. Poi, riprese a raccontare di viaggi nel tempo e fantasmi.
Alice
si staccò da lui e sorrise ai cucciolotti, abbastanza distratti dalla storia da
non commentare oltre quel momento, ma non aveva voglia di partecipare al
racconto, e Davide non glielo chiese. Sembrava sapere istintivamente che era
turbata. E probabilmente sapeva anche di esserne la causa.
Quando
i bambini si dispersero per giocare, Alice ne approfittò per una fuga.
Passò
dallo spogliatoio, prese la sciarpa e il pacchetto di sigarette e raggiunse la
scala antincendio.
Cavolo
se fa freddo!, ragionò quando fu colpita dall'umidità. Si sedette su uno
scalino di ferro e sibilò mentre il gelo superava il tessuto spesso dei jeans e
la feceva rabbrividire. Si sarebbe adeguata! Aveva le guance accaldate e il
cervello stava bollendo per la rapidità con cui elaborava pensieri e immagini.
Scartò
il pacchetto di Marlboro ma non lo aprì. Erano quasi cinque giorni che non
toccava una sigaretta e il bisogno di nicotina le faceva tremare le mani.
Un
segno che quello che credeva un passatempo si era trasformato in una
dipendenza.
Storse
la bocca in un’espressione disgustata. Lei era più forte di così, più forte
delle emozioni che l’avevano sconvolta. E non parlava del dispiacere per dei
bimbi malati e costretti in ospedale la notte di Natale, chiunque con un
briciolo di cuore avrebbe ceduto alla commozione. Ciò che la turbava davvero
era l'effetto che Davide aveva su di lei. Si sentiva impacciata, elettrizzata e
completamente affascinata. Fin quando non c'erano stati contatti tra loro, era
riuscita a nascondere bene i sentimenti conflittuali che nutriva per lui, ma
dopo il bacio di dieci giorni prima? Aveva combattuto una battaglia persa in
partenza contro il batticuore e le farfalle che le svolazzavano nello stomaco,
incuranti che dicembre non era il periodo per darsi alla pazza gioia.
«Hai
intenzione di fumare?»
Alice
sussultò e il cuore le diede un balzo nel petto. Non aveva visto arrivare
Davide, troppo persa a contemplare le linee rosse e bianche del pacchetto di
sigarette e a macerarsi al pensiero che... si era innamorata di lui?
«Non ti
riguarda» sbottò, alzando il viso per guardarlo negli occhi. Era emozionata? Sì.
Sarebbe voluta scappare? Sicuro. Ma non poteva farlo per sempre, tanto valeva
sfidare quelle pozze grigie e bellissime che brillavano alla luce dei lampioni
arancioni.
«Allora?»
le chiese ancora lui, come se non gli avesse risposto.
«No!»
esclamò, alzando gli occhi al cielo. «Oggi no» si sentì in dovere di
specificare. Non era così presuntuosa da credere che non ci sarebbero state
ricadute.
«Brava,
sono cinque giorni che resisti, non cedere proprio la notte di Natale.»
«Come
sai…»
«Io so
tutto di te.»
Alice
strabuzzò gli occhi a quella dichiarazione e dovette impegnarsi per non
spalancare le bocca. «È una dichiarazione da stalker» affermò stupidamente, e
le venne da tossire perché l’aria nei suoi polmoni non era abbastanza per
sostenere ben cinque parole.
Il
ragazzo sfoderò l’artiglieria pesante quando le sorrise teneramente. Cazzo, i
denti di Davide erano il suo punto debole! Possibile che lui lo sapesse?
«Suppongo
di esserlo quando si tratta di te» le disse, stringendosi nelle spalle. Spalle
larghe, che riempivano il camice bianco in modo peccaminoso.
Alice
non sapeva come prendere quella dichiarazione e si alzò in piedi, tanto per far
qualcosa. Ma inciampò e non stramazzò a terra solo perché lui la sostenne,
posandole le mani sui fianchi.
Il
pacchetto di Marlboro le cadde dalle mani, ma non vi badò, troppo concentrata a
fissare gli occhi in cui aveva sperato di specchiarsi sin da quando erano stati
presentati per la prima volta. Erano già trascorsi sei mesi, giorno più, giorno
meno.
«È bel
po’ che cerco di fare colpo su di te, ma sei così dannatamente ostinata» iniziò
Davide, e il suo cuore decise di passare da una marcia sostenuta a una corsa
sfrenata.
«Ricordo
ancora la tua prima settimana di tirocinio. Eri intimidita, ma hai conquistato
tutti sin da subito. All’inizio eri la mia ombra. Ti fidavi di me.»
«Eri
gentile» mormorò, lisciandogli i risvolti del camice sul petto. Le mani di
Davide si incrociarono dietro la sua schiena, premendola contro di lui. Così,
non sentiva freddo.
«Poi
hai deciso di ignorarmi» continuò, sfiorandole il naso con il suo. Alice lo
arricciò e lui le diede un bacino sulla punta. Trattenne un gemito di protesta.
Voleva di più.
«Eri
gentile con tutte» specificò e Davide
le prese le braccia per portarsele dietro al collo.
«E
questo è un problema?»
«Sì!
Voglio dire no. Allontanati, per favore» protestò, sentendo che le accarezzava
la schiena. «Non riesco a parlare sensatamente se mi sei vicino.»
Lui
scoppiò a ridere, ma ignorò la sua richiesta. «Continua» la invitò,
stringendola ancora di più.
«Ti
piace essere adorato» lo accusò, indurendo l’espressione, mentre il resto di
lei diventava arrendevole e languido.
«Rispettato»
precisò Davide, la fronte aggrottata. Alice iniziò a giocherellare con i
capelli alla base della nuca. Morbidi.
«E ti
lusinga essere corteggiato» proseguì come se lui non avesse parlato. Forse era
di indole gelosa, o forse era pazza di lui. Poco importava, fumava di rabbia
ogni volta che qualche ochetta in camice gli si avvicinava.
«Preferisco
essere osteggiato da te… è molto più divertente» le assicurò il medico e Alice
non riuscì a trattenere un sorriso, un sorriso riluttante e dolce tutto per
lui.
Davide
ispirò bruscamente, poi rilasciò il fiato e dopo un attimo ritrovò il suo
proverbiale equilibrio. Lo rendeva nervoso, buono a sapersi.
«Mi hai
ignorato perché sei gelosa?» le chiese, confuso.
Alice
fece scivolare le mani sul suo petto e premette per allontanarlo da sé.
Inutilmente. «Lasciami, subito!» disse, alterata.
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Smettila di divincolarti!
Non ti lascio andare, non più. Dimmi il vero motivo per cui mi sono ritrovato a
comportarmi come uno stalker pur di starti vicino. Credo di aver esaurito le
scuse per farti assegnare al mio stesso giro visite. E Antonella… sono
diventato il suo zimbello!» gemette lui, esasperato.
Non era
adorabile?
«Odio i
cliché» buttò lì, il tono neutro, come se non avesse appena avuto la conferma
che gli piaceva, abbastanza da richiedere la complicità della caporeparto.
«Medico e infermiera, è banale!»
Davide
ringhiò, un suono basso che le fece attorcigliare le viscere e cedere le gambe.
Si
aggrappò alle sue spalle per non cadere. «Okay, okay!» disse, mentre lui la
sollevava da terra per portarla alla sua stessa altezza. Circa trenta centimetri
più su. «Forse potrei essere un tantino gelosa, ma solo perché sei fastidiosamente
perfetto e tutte ti sbavano dietro» disse d’un fiato, le guance che scottavano
per l’imbarazzo.
L’angolo
della bocca di Davide si piegò in un ghigno vittorioso e molto, molto
compiaciuto. Soddisfatto da fare schifo.
«Non
sono perfetto, Alice, ma sono contento che tu lo pensi, forse così riuscirò a
farti innamorare di me prima che scopri i miei difetti.» Le baciò la guancia,
labbra morbide contro pelle infuocata. «E se scappavi per paura della
concorrenza, puoi stare tranquilla: non sono sul mercato» concluse, lambendole
con la lingua l’angolo della bocca.
«Ah,
no?» bisbigliò, lasciando che lui le succhiasse l’aria, la vita. Non era
abbastanza.
«No,
fin dal giorno in cui mi sono innamorato di un’infermiera con la battuta pronta
e gli occhi verdi più dolci che abbia mai visto.»
Alice
era persa in un mare di sensazioni, che le ottenebravano la mente e le
intorpidivano i sensi, ma quelle parole le sentì bene. «Dottor Fiore, ho un
regalo per lei» gli annunciò, prendendogli il viso tra le mani, dopotutto era
la vigilia di Natale e lui si era comportato bene. «Però deve promettere che se
ne prenderà cura» si raccomandò, guardandolo negli occhi grigi, due pozze piene
di desiderio e amore. Per lei, tutto per lei.
«Lo
farò» le assicurò, il tono solenne, e Alice gli credette. Annullò la distanza
tra le loro labbra e gli donò il suo cuore.
Più
tardi, Davide le confidò che quello era in assoluto il regalo più bello che
avesse mai ricevuto.
L'autrice:
Angela D’Angelo
è nata a Napoli. Laureata in Biotecnologie mediche, fin da bambina scopre la
passione per la lettura grazie alle fiabe di Andersen. Ha esordito nel
settembre 2014 con Finalmente mio, un racconto erotico pubblicato nella collana Senza sfumature di Delos Digital che è stato per oltre
un mese ai vertici della classifica Amazon della sua categoria. Nel gennaio
2015 pubblica A letto con il nemico per Rizzoli Editore, nella
collana only digital You Feel. Nel luglio 2015, per la stessa collana, pubblica Ogni maledetta volta, secondo capitolo della Trilogia del Nemico, che si concluderà agli inizi del 2016.
È una
delle founder di Insaziabili Letture, un importante blog che si occupa di
lettura e scrittura.
Twitter: https://twitter.com/AngelaDAngelo21
Facebook:https://www.facebook.com/pages/Angela-DAngelo-Autrice/928288783849927
Pinterest: https://www.pinterest.com/angeladangelo35/
Goodreads:https://www.goodreads.com/author/show/5715254.Angela_D_Angelo
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In una festività come il Natale è stato bellissimo leggere di un background difficile e soffocante come quello di un ospedale, pediatrico oltretutto! Ti ringrazio per averne parlato e in maniera così dolce e rispettosa, donandoci tutta la magia tipica di questa festa.
RispondiEliminaGrazieeee ❤ mille baci :*
EliminaBravissima, Angela! Che bello questo racconto! Molto vero...
RispondiEliminaLinda <3 Sono commossa. Un abbraccio forte :*
EliminaAppena letto e l'ho trovato molto, molto carino. Ma non mi aspettavo niente di meno da Angela. Complimenti!!! ^_^
RispondiEliminaGrazie cara <3 <3 <3
EliminaB-R-A-V-I-S-S-I-M-A!!!mi hai commosso e fato ridere allo stesso tempo con quella testona di Alice e tutti i suoi piccoli pazienti!un racconto di natale più bello dell'altro!
RispondiEliminaGiuro che volevo solo farvi sorridere! Grazie Michi <3
Elimina<3
EliminaMeraviglioso! Commovente, romantico, pieno di dolcezza... e poi come si fa a non innamorarsi di Davide? Sono letteralmente caduta ai suoi piedi! ;-)
RispondiEliminaIo mi sono innamorata dell'attore a cui è ispirato Davide :P (Liam Hemsworth :D ) Grazie mille Laura, sono contenta ti sia piaciuto il mio bel medico!
EliminaUna storia dolcissima, un amore tenero e vero, un'ambientazione insolita e una scrittura precisa: ecco cosa ho trovato in questo racconto che mi è piaciuto davvero tanto!
RispondiEliminaBravissima Angela, mi hai divertito e commosso.
Grazie mille tesoro bello <3
EliminaBrava Angela! Bella l'ambientazione e il racconto.
RispondiEliminaDetto da te... cammino a tre metri dal pavimento! Grazie :*
EliminaHo gli occhi a cuoricinooooooooooooooooooooooo!!!
RispondiEliminaTroppo dolce Gennarino e troppo sexy il dottore!
Ogni cosa è al suo posto e la tua penna ha prodotto un'altra piccola perla. Bravissima!!!
Tenerissimo racconto. Mi piace! Brava!
RispondiEliminaBrava Angela! Piaciutissimo! :)
RispondiEliminaIl racconto è delizioso, Angela, mi è piaciuto moltissimo! Brava!
RispondiEliminaUna bellissima storia dolce e romantica...Bravissima Angela
RispondiEliminaUn racconto molto dolce, un'ambientazione insolita, un momento speciale per ricominciare. Brava!
RispondiEliminaChe storia meravigliosa.Mi è piaciuto moltissimo, scalda il cuore. Brava!
RispondiEliminaBellissimo, sei una bella scoperta Angela
RispondiEliminaGrazie tesoro :*
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