Romantic Xmas: "SANTA CLAUS INDOSSA GLI SPERONI" di Sherrilyn Kenyon

Oggi si chiude la nostra rassegna Romantic Xmas. Speriamo che i racconti delle nostre bravissime autrici vi abbiano regalato in questo avvento momenti di gioia, divertimento e commozione. 
La rassegna vi saluta con un racconto inedito di Kinley MacGregor, meglio conosciuta come SHERRILYN KENYON. 
Ringraziamo Cristina, Deborah e Valentina per la traduzione di "SANTA CLAUS INDOSSA GLI SPERONI", e un grazie speciale va a Christiana V per aver supervisionato il progetto e revisionato il testo.
Buon weekend a tutti e, mi raccomando, non lasciatevi sfuggire questo passionale Natale nell'Old West!

Buona lettura!





PROLOGO

di Cristina St


Pericolo. O’Connell lo sentì sulla nuca e nella profondità delle ossa mentre spronava il suo pinto attraverso le desolate piane gelide del Texas, verso una città che non sapeva nemmeno esistesse.
Dopo tutto quel tempo, avrebbe dovuto essere abituato al pericolo. Aveva vissuto la sua vita braccato dalla sua ombra e l’aveva tenuto con sé come un fedele compagno. Il pericolo era suo alleato e suo nemico.
Lo conosceva come le sue tasche. C’era stata un'unica volta in tutta la sua esistenza in cui si era sentito al sicuro. Ma era stato tanto tempo prima.
Fuori il freddo era pungente, non che lui lo sentisse più di tanto. Il pulsare del suo sangue lo teneva caldo mentre cavalcava nella notte.
“Avresti dovuto esserci, ragazzo. È stato come rubare le caramelle a un bambino” aveva riso Pete.
“Ah, ora che ci penso, in effetti ho rubato le caramelle a un bambino. Avrei voluto vedere le loro facce quando si sono svegliati e hanno scoperto che i loro soldi erano spariti.”
Allora come adesso, O’Connell non lo aveva trovato divertente. Lui sapeva che Pete poteva essere davvero spietato – la ferita del proiettile nel suo braccio ne era la prova. Ma non fino al punto di credere che avrebbe derubato un orfanotrofio due giorni prima di Natale.
Quell’uomo non aveva un’anima.
C’era stato un tempo in cui O’Connell era stato esattamente come lui. Quando l’odio aveva soffocato il suo cuore rendendolo incapace di provare qualcosa per chiunque tranne che per se stesso.
E poi aveva incontrato lei.
Il suo cuore perse un battito, come accadeva sempre quando il pensiero andava a lei. Lei gli aveva mostrato un’altra via, un’altra vita, e nel farlo lo aveva cambiato completamente. Lei gli aveva dato una speranza, un futuro.
Una ragione per vivere. E la vita senza di lei era nient’altro che un triste inferno.
A dire il vero, non sapeva come fosse stato in grado di farcela durante gli infiniti, miserabili giorni che si erano trasformati in anni.
In qualche modo era sopravvissuto. Freddo. Vuoto.
Solo.
Dio, come gli mancava. Come desiderava poter tornare indietro e rivivere anche solo un secondo del tempo che aveva condiviso con lei. Solo per vedere il suo viso ancora una volta, sentirne il respiro sulla pelle.
Per un momento, O’Connell lasciò scivolare i pensieri nel passato. E come sempre succedeva quando erano lasciati liberi di vagare, tornarono a un sogno ricorrente di lunghi capelli castano scuro e occhi lipidi e caldi come un giorno d’estate. Di una donna che gli aveva detto di amarlo senza emettere nemmeno un suono.
Chiudendo gli occhi, vide il sorriso radioso e sentì la musica della sua risata mentre giaceva nuda accanto a lui e la reclamava come sua. Strinse i denti alla stretta torrida di desiderio che gli torse il ventre. E per un momento giurò di poter sentire ancora le sue mani sulla schiena mentre lo stringeva forte e gridava nell'estasi.
Nemmeno cinque anni potevano far sbiadire i ricordi. O il desiderio del suo tocco. Poteva gustare il sapore dolce e salato del suo corpo, sentirla calda e stretta intorno a lui, e annusare il profumo dei raggi di sole che gli sembrava di sentire nei suoi capelli.
Catherine lo aveva toccato come mai  nessuno aveva fatto prima o dopo.
“Mi ricordo di te” sospirò. Ma più di ogni altra cosa ricordava la promessa che le aveva fatto. La promessa che aveva infranto. E in quel momento desiderò che il proiettile di Pete fosse andato dritto al suo inutile cuore.
Dio del Cielo, se avesse potuto esprimere un ultimo desiderio, sarebbe stato quello di poter sistemare le cose. Avrebbe dato qualsiasi cosa fosse rimasta della sua anima perduta per trovare un modo di tornare indietro e cambiare ciò che le aveva fatto.
Ma non c’era un modo.
Lo sapeva.
Non gli era rimasto nulla da fare eccetto restituire i soldi agli orfani a cui Pete li aveva rubati.
Dopo di che non sapeva dove sarebbe andato. Avrebbe trovato un altro posto dove la legge e Pete non avrebbero potuto trovarlo. Se un posto del genere esisteva.
Per un momento aveva considerato l’idea di ritrovarla. Dopotutto lei era stata per lui un porto sicuro. La sua più grande forza.
Ma d’altronde, lei era stata anche la sua più grande debolezza.
No, non l’avrebbe cercata. Troppo dipendeva dal rimanere lontano da lei. Perché anni prima suo fratello Pete gli aveva insegnato una cosa - che non esistevano cose come una seconda possibilità.



CAPITOLO UNO

 di Cristina St


“Tutto quello che voglio per Natale è un uomo bello come il diavolo in persona. Uno con un sorriso affascinante, almeno una parvenza d’intelligenza, e un enorme, grande, gonfio…”
“Rebecca Baker!” Catherine O’Callahan sussultò, scioccata dalle parole dell’amica.
“... conto in banca” concluse Rebecca, togliendo le mani dall’illustrazione di cui si stava occupando. Prese la padella accanto a Catherine e la mise sulla stufa di ghisa nera. “Stavo solo per dire conto in banca.”
Cercando di non ridere nel timore di incoraggiare le conversazioni sconce della sua amica, Catherine guardò di traverso Rebecca, che riprese a lavare i piatti.
Le guance olivastre di Rebecca erano leggermente arrossite, mentre tornava al lavandino. “Beh, magari no. Ma tu, da donna sposata quale sei, sai a cosa mi riferisco. In ogni caso, per quanto tempo ancora dovrei essere in lutto per Clancy? Buon Dio, sono trascorsi quasi quattro anni dalla sua morte. E lo conoscevo a malapena prima di che ci sposassimo.”
Come era solita fare, Rebecca gesticolò in modo drammatico con le mani per illustrare le parole successive. “In pratica mio padre mi ha trascinato all’altare per sposare un uomo che aveva il doppio dei miei anni. Sarò onesta, raggomitolarsi accanto a un uomo le cui mani e piedi sono più freddi dei ghiaccioli in gennaio, non è per niente la mia idea di felice vita matrimoniale.”
Catherine poteva essere pienamente d’accordo su quel punto.
Rebecca sospirò sognante sistemando svogliatamente i piatti sulla mensola sopra la sua testa. “Quello che mi piacerebbe avere è un bellissimo uomo caldo a cui essere legata per sempre. Un uomo che quando entra in una stanza mi faccia bollire il sangue, poi mi dia i brividi, che mi faccia sentire viva.” Guardò Catherine e sorrise. “Sai cosa voglio dire?”
Catherine arrossì e tacque mentre sciacquava una larga pentola nera. Sapeva esattamente cosa voleva dire Rebecca. Era rimasta sveglia molte notti sommersa dai ricordi di un demone dagli occhi di peltro che le aveva promesso tutto, inclusa la luna in cielo.
Un uomo che aveva reso il suo corpo così bollente che alcune volte era sicura che si sarebbe ridotta in cenere.
Ma al contrario della sua amica, lei non era una vedova. Per quello che ne sapeva, suo marito si sarebbe potuto presentare alla porta in qualsiasi momento e bussare.
Come se questo potesse mai accadere, si rimproverò Catherine.
Quando avrebbe abbandonato l’inutile, incrollabile speranza di rivederlo? Perché non riusciva semplicemente a toglierselo dalla testa?
Cosa c’era di lui che glielo faceva desiderare dopo tutto quel tempo?
Naturalmente, lei conosceva la risposta a questa domanda – tutto di lui. Era stato così meraviglioso e gentile, premuroso e generoso. Fino al giorno in cui l’aveva lasciata con nulla di più che un “con permesso”.
Doveva essere pazza a desiderarlo ancora.
E dopo cinque anni, poteva anche essere morto. Lo sapeva il Cielo, ne erano successe di cose da quando lui era scappato via. Si era trasferita in una nuova città, aveva aperto un suo ristorante e una pensione, e si era creata una vita rispettabile, per lei e per la sua bambina di quattro anni, Diana.
L’estate precedente, dopo un’epidemia di febbre gialla, lei e Rebecca avevano preso con loro cinque orfani della città di Redwood.
Erano successe un sacco di cose.
Rebecca si mosse di soppiatto verso di lei e le tolse dalle mani la pentola per asciugarla. “Allora, dimmi, se non vuoi un bellissimo Babbo Natale che bussa alla porta, cosa vorresti per Natale?”
“Oh, non saprei,” disse Catherine allungandosi per lavare una padella. “Credo che se potessi scegliere, vorrei che ci venisse restituito il nostro denaro. Mi irrita il fatto che qualcuno abbia rubato ai bambini proprio prima di Natale.”
Rebecca fu d’accordo. “So quanto desiderassi spenderlo per loro. È un vero peccato. Non riesco a immaginare quale mostro possa fare una cosa tanto terribile.”
Nemmeno lei ci riusciva.
Non parlarono per alcuni minuti. Solo il suono dell’acqua che scorreva e dei piatti che sbattevano rompeva il silenzio mentre lavoravano.
All’improvviso, i capelli sulla nuca di Catherine si rizzarono. Voltandosi, vide Rebecca che la fissava. “Che c’è?”
“È veramente questo che vuoi per Natale?”
Catherine afferrò un’altra padella da asciugare. “Perché? Sì. Per il resto sono abbastanza felice.”
Rebecca inarcò un sopracciglio con fare interrogativo.
“Lo sono” insistette Catherine.
“Scusa non richiesta, accusa manifesta” esclamò Rebecca, mettendo via la padella. “Vuoi dirmi in tutta sincerità che non hai mai pensato nemmeno una volta ad avere un bell’uomo che ti faccia mancare la terra sotto i piedi?”
Catherine si costrinse a ridere. “Mi è già successo, e devo dire che ho trovato l’esperienza tutt’altro che desiderabile.”
Rebecca scosse la testa. “Sai, lavoro qui da quasi quattro anni e in tutto questo tempo non ti ho mai sentita parlare di tuo marito. È di lui che stiamo parlando, vero?”
Catherine annuì, rifiutandosi di incontrare gli occhi castani e inquisitori di Rebecca che la fissavano mentre si muoveva per pompare altra acqua nel lavandino. “Non c’è molto da dire.”
Rebecca la allontanò dalla pompa e prese la leva. “Andiamo, Catherine. Tutti i bambini sono andati a dormire. Perché non ti apri un po’?”
Catherine affondò di nuovo le mani nella schiuma e sospirò. “Cosa vuoi che ti dica? La figlia di un semplice predicatore si è innamorata dell’affascinante straniero che era venuto a lavorare nel ranch di suo padre? L’ha sposata un mese dopo il loro primo incontro, l’ha portata via dal Nevada, e l’ha abbandonata alla prima occasione.”
“È tutto?”
“È tutto.”
Rebecca tacque. I suoi occhi castani si scurirono per la rabbia. “Non capirò mai come un uomo possa fare una cosa così crudele di proposito.”
“Nemmeno io” sussurrò lei sottovoce.
“Non so come tu possa sopportarlo.”
Catherine alzò le spalle. “Mi ci sono abituata. Cinque anni mi hanno dato il tempo di mettere da parte il mio risentimento. Inoltre, ho Diana a cui pensare. Sono l’unico genitore che ha e ho deciso il giorno in cui è nata che non avrei mai menzionato il nome di suo padre o mi sarei soffermata su quello che ci ha fatto.”
“Beh, hai il mio rispetto. Personalmente non avrei trovato pace fino a che non avessi trovato quell’animale e lo avessi scuoiato vivo.”
Catherine assaporò l’immagine della pelle fulva di suo marito che gli veniva strappata via mentre chiedeva pietà. Ora che Rebecca l’aveva detto, in effetti, avrebbe quasi apprezzato il pensiero di vederlo scuoiare. Di certo se lo sarebbe meritato. “Sai, dopotutto c’è qualcosa che vorrei.”
“E sarebbe?”
Catherine strofinò la sua pentola con rinnovato vigore, desiderando fosse la testa di suo marito da tenere sott’acqua. “Vorrei potere posare un’ultima volta i miei occhi su di lui per dirgli che razza di inutile e miserabile cane rabbioso è stato per avermi lasciato.”
“Questa sì che è la mia ragazza.” Rebecca rise e diede a Catherine una pacca sulla schiena. Poi si chinò in avanti e disse a bassa voce: “Ma la vera domanda è: era bravo nei momenti importanti?”
“Rebecca!” Catherine trasalì, facendo del suo meglio per non pensare a quanto fosse bravo in quei momenti.
Ma perché le parole di Rebecca continuassero a turbarla dopo tutti questi anni che la conosceva, non riusciva a capirlo. Rebecca non aveva mai avuto nemmeno un pizzico di vergogna in sé.
D’altronde, era proprio la sua schiettezza a piacerle più di tutto il resto. Lei sapeva sempre come stavano le cose con Rebecca. La sua amica non le nascondeva mai nulla. E dopo aver vissuto con suo marito e i suoi segreti, trovava il candore di Rebecca una vera benedizione.
Improvvisamente udirono bussare alla porta.
Catherine si scrollò la schiuma dalle mani, poi se le asciugò nel grembiule. “Perché non te ne vai a letto?” disse, srotolandosi le maniche sugli avambracci e abbottonandosele ai polsi. “Vado io alla porta. Sono sicura che sarà solo qualcuno che ha bisogno di una stanza.”
“Povera anima, fuori la notte di Natale senza un letto” rispose Rebecca. Si chinò verso il lavandino. “Sei sicura di non volere che finisca di lavare i piatti?”
Catherine scosse la testa. “Ne restano solo una manciata, e abbiamo già tutti i regali sotto l’albero. Perché non vai e ti godi quello che rimane della vigilia di Natale?”
“Allora va bene. Do un’occhiata ai bambini e mi ritiro. Chiamami se hai bisogno di me.”
“Lo farò.”
Rebecca si diresse alle scale sul retro mentre Catherine prendeva la lanterna dal tavolo della cucina e percorreva il piccolo ingresso fino alla porta principale.
Attraverso le tende di pizzo riuscì a vedere la sagoma di un uomo alto con delle spalle larghe.
Un sorriso increspò un angolo della sua bocca. Forse il desiderio di Rebecca si sarebbe realizzato dopotutto.
Ruotando gli occhi al pensiero sconcio che le aveva attraversato la mente, Catherine aprì la porta. Diede un’occhiata all'affascinante straniero, che era voltato a guardare il suo cavallo, e lasciò cadere la lampada sul pavimento.
O’Connell imprecò quando il fuoco della lanterna esplose sulle assi di pino del portico. Reagendo d’istinto, lasciò cadere il suo Stetson nero e le sue bisacce, e pestò le fiamme con i piedi, gli speroni che tintinnavano rumorosamente a ogni passo. Poi, con suo disappunto, le fiamme si estesero ai suoi stivali e il fuoco arrivò alle dita del suo piede sinistro.
Sibilò per il dolore mentre si toglieva il suo spolverino nero e spegneva il fuoco dallo stivale fumante. Poi rapidamente usò lo spolverino per spegnere le fiamme rimaste.
Fortunatamente, il fuoco non aveva causato danni permanenti, ma il portico e la porta avrebbero avuto bisogno di una bella lavata la mattina dopo.
“Buon Dio, donna,” sbottò guardando il danno. “Dovreste stare più…” perse il filo del discorso quando alzò lo sguardo e incontrò due occhi castani, spalancati e stupefatti.
Rimase a bocca aperta. Quelli erano gli stessi occhi che stava sognando non più di pochi minuti prima.
“Catherine?” sussurrò, incredulo.
Catherine non poteva muoversi mentre guardava il bello e diabolico viso che l’aveva trascinata via da qualsiasi cosa avesse conosciuto prima.
Chiedi e ti sarà dato, la frase preferita di suo padre le echeggiò in testa.
Sbalordita dalla sua improvvisa apparizione, lo guardò nella sua interezza. Era ancora bello come il peccato. I suoi capelli castano scuro erano corti dietro con dei ciuffi che scendevano in modo seducente fino agli occhi di un grigio argento talmente chiaro da sembrare quasi incolore.
Affascinanti e bollenti, quegli occhi potevano perseguitare una donna notte e giorno. E lei avrebbe dovuto saperlo, dato che non avevano fatto altro che tormentarla dal primo momento in cui li aveva visti.
La stessa aria di pericolo aleggiava su di lui, seducendola, corteggiandola. Oh, ma era un uomo che faceva battere il cuore a qualsiasi donna.
Il suo viso si era fatto più magro con gli anni, aveva qualche spigolo in più. Ma non avevano tolto nulla alla perfezione patrizia dei sui tratti. Le sopracciglia scure contrastavano in maniera netta con gli occhi grigio argento, e il naso importante aveva ancora la piccola gobbetta nel mezzo, dove lei glielo aveva rotto.
Misericordia, se era delizioso. Completamente e assolutamente delizioso, come una qualità rara di succulento cioccolato dopo una lunga astinenza.
Aveva sempre avuto una potente aura, magnetica e mascolina, che era del tutto sensuale per natura. Un’aura che raggiungeva e catturava l’attenzione di qualsiasi femmina entro il suo raggio d’azione.
E Dio solo sapeva che lei era ben lontana dall’esserne immune.
Ma il Diavolo si sarebbe trasferito in Antartide prima che lei glielo facesse sapere.
“Che cosa diavolo stai facendo qui?” chiese Catherine quando finalmente ritrovò la voce.
“Ho bisogno di un dottore” rispose lui sardonico, scuotendo il piede sinistro.
Catherine abbassò lo sguardo per guardare la pelle nera bruciata alla luce della luna. Un moto di imbarazzo la riempì.
“Come mai” chiese lui, “ogni volta che ci incontriamo, finisco con l’aver bisogno di un dottore?”
Lei sollevò il mento di fronte al suo tono scherzoso. I giorni in cui lo trovava divertente erano passati da tempo. “Stai cercando di sedurmi?”
Nemmeno il buio poté mascherare il caldo e malizioso sguardo nei suoi occhi. “E se fosse?”
Probabilmente finirei per arrendermi.
Ma non aveva intenzione di farglielo sapere in ogni caso. Errare è umano, perseverare è diabolico. Non poteva permettersi di lasciare che le spezzasse di nuovo il cuore. La prima volta era stato abbastanza doloroso. E a dire il vero, non era sicura che sarebbe sopravvissuta se lo avesse perso di nuovo. Invece, cercò di proteggersi mettendo fine a qualsiasi pensiero potesse attraversargli la mente.
“Non sono più una ragazza, Mr. O’Callahan. Non farò più il tuo gioco.”
O’Connell fece un respiro profondo squadrandola da capo a piedi. Aveva quasi dimenticato il suo vecchio pseudonimo. Ma il tono freddo della sua voce lo raffreddò più del vento invernale che soffiava alle sue spalle.
Eppure non era riuscito in alcun modo a estinguere il fuoco nel suo ventre che la sua presenza aveva acceso. Lei era ancora più bella di quanto lui ricordasse. La corporatura esile come un giunco della sua giovinezza se n’era andata e al suo posto c’erano le curve seducenti di una donna nella sua maturità.
Portava i capelli stretti in una di quelle crocchie che aveva sempre detestato. Catherine aveva dei capelli così belli, lunghi, spessi e ondulati. Lui, l’uomo che era ricercato in sei stati, aveva trascorso ore spazzolandoglieli la notte. Tuffandoci dentro le mani.
E si chiese se ancora profumavano di primavera.
In quell’istante ricordò il modo in cui l’aveva lasciata. Senza una parola, senza un messaggio. Era semplicemente uscito per andare al lavoro e non era più tornato.
La vergogna lo assalì. Avrebbe dovuto almeno inviare una lettera. Benché, in tutta onestà, avesse provato a scriverla un migliaio di volte. Ma non l’aveva mai finita. Cosa poteva dire a una donna un uomo che era stato costretto ad arrendersi contro la sua volontà?
Specialmente quando non voleva che lei sapesse il vero motivo per cui se n’era andato?
Raccogliendo il suo cappello dal portico, lanciò un ampio e famelico sguardo al suo corpo, e desiderò per la milionesima volta che le cose fossero andate diversamente tra loro. Che lui avesse potuto avere una lunga vita al suo fianco, essere il marito che lei meritava di avere. “È bello rivederti.”
Lo sguardo di lei lo gelò mentre si slacciava il grembiule, poi si chinò a raccogliere i pezzi di vetro e li mise nel panno. “Vorrei poterti dire che anche per me è bello rivederti, ma in questo caso penso capirai se sono un po’ fredda nei tuoi confronti?”
“Fredda” era un eufemismo per il suo atteggiamento. In verità lui sospettava che gli iceberg al Polo Nord fossero uno o due gradi più caldi.
Si sarebbe aspettato una rabbia maggiore da parte sua. La Catherine che ricordava lo avrebbe perseguitato come un mastino per averla lasciata.
Questa Catherine era diversa. Era seria e composta, non sorridente e giocosa.
Passione, realizzò all’improvviso. Ecco cosa mancava. Aveva perso la verve che la faceva ridere un minuto prima e piangere quello dopo, per poi baciarlo con abbandono due secondi più tardi.
E seppe senza alcun dubbio che la colpa era sua. Essere abbandonati poteva cambiare una persona in peggio. Sentì una stretta al ventre. Aveva un sacco di colpe di cui rispondere nella sua vita. Si augurò solo che lei non fosse una di quelle cose che aveva rovinato.
“Dov’è la tua rabbia?” chiese lui, piegandosi per aiutarla a sistemare il disordine.
Catherine pensò prima di rispondere. Avrebbe dovuto essere furiosa con lui, ma stranamente, una volta passato lo shock iniziale dell’incontro, si sentiva completamente insensibile di fronte a lui.
Beh, non completamente insensibile.
In effetti, “insensibile” descriveva l'effetto che aveva su di lei come “bello” definiva Abramo Lincoln.
Una donna sarebbe dovuta essere morta per non sentire un vigoroso entusiasmo per un uomo così incredibilmente bello come quell'animale selvaggio. Specialmente un uomo con un fascino così innato, primitivo.
Tutto di lui prometteva puro piacere sessuale. E lei ricordava ancora troppo bene come si era sentita tra le sue braccia, la forza di quel corpo, alto e snello, che accarezzava il suo in un disteso abbandono mentre lui la eccitava fino all’estasi.
E proprio allora, con la testa di lui solo a un millimetro dalla sua, lei poté sentirne il selvaggio e primitivo odore.
Quell’odore di cuoio e muschio che l’aveva sempre stuzzicata. Quell’odore caldo e meraviglioso era parte di lui come l’innato potere e l’autorità che trasudavano da ogni poro della sua pelle.
E quelle labbra…
Piene e sensuali, quelle labbra l’avevano baciata fino a farle perdere la ragione, fino a che tutto il suo corpo aveva vibrato di lussuria e desiderio. E quelle meravigliose, sensuali labbra avevano stuzzicato e tormentato il suo corpo fino all’estremo picco di umano piacere.
Buon Dio, come lo desiderava. Anche dopo il modo in cui l’aveva ferita!
Cos’hai nella testa?
Catherine si scosse mentalmente. No, lei non lo odiava per averla lasciata in quel modo, cinque anni le avevano dato il tempo per mettere da parte il suo risentimento.
Non avrebbe perso il controllo a questo punto.
Lei si sarebbe vendicata.
Lui meritava di sentire il dolore del rifiuto. Così avrebbe capito cosa le aveva fatto. Come ci si sentiva a essere abbandonato e dimenticato.
“Ho messo da parte il mio odio per te, Mr. O’Callahan” rispose caustica, alzandosi in piedi con attenzione nel timore di tagliarsi con i vetri nel suo grembiule.
Diede un’occhiata dall’alto della testa di lui fin giù al suo stivale ancora fumante, fece un passo indietro dentro casa e disse: “E poi ho messo da parte te”.
Con un ultimo stoico sguardo, Catherine chiuse la porta sulla sua faccia sgomenta. 


CAPITOLO DUE

di Cristina St

 
Le parole di Catherine risuonarono nelle orecchie di O’Connell mentre guardava attonito la porta chiusa.
Beh, che cosa ti aspettavi?, chiese a se stesso, recuperando lo spolverino bruciacchiato dal portico. Il suo astio, in tutta onestà. A quello sarebbe stato preparato. Ma l'indifferenza nei suoi confronti… Quella era insopportabile!
La rabbia per il suo rifiuto gli ribollì nelle viscere. Come osava respingerlo in quel modo! Cosa pensava che fosse, un cagnolino randagio venuto per leccare gli avanzi dal pavimento?
Beh, lui non era un cagnolino randagio. Era un uomo. Un uomo desiderato da qualsiasi donna avesse mai posato gli occhi su di lui. Non che se ne vantasse. Almeno non troppo. Era semplicemente un fatto a cui da tempo si era abituato. Un fatto che, chiunque lo conosceva, si limitava ad accettare.
Le donne avevano sempre avuto un debole per lui.
A Hollow Gulch, dove O’Connell aveva lavorato negli ultimi mesi, le donne lo avevano fatto oggetto di attenzioni nel momento stesso in cui aveva messo piede in città, gli avevano cucinato torte, avevano sbattuto le ciglia di fronte a lui. Diavolo, una bionda con le palle era persino sgattaiolata nella sua stanza e si era nascosta nuda nel suo letto mentre lui era fuori a bere.
Non che lui fosse interessato alla bionda o a nessun’altra. Diversamente da qualsiasi uomo normale e sano di mente, l’aveva rimandata a casa subito dopo avergli buttato dei vestiti addosso. E per tutto il tempo lei gli aveva sussurrato le cose torride e lussuriose che gli avrebbe fatto per dargli piacere.
I suoi commenti lascivi avevano acceso il fuoco nei suoi lombi, ma anche così, lei non gli era sembrata minimamente attraente. Il suo cuore apparteneva a Catherine. Era sempre stato così.
E lui si era rifiutato di sporcare il ricordo di Catherine andando a letto con qualsiasi altra donna. Era stato l'unico giuramento che non aveva mai tradito.
Diavolo, aveva dato tutto ciò che per lui aveva un valore pur di vedere Catherine sana e salva.
E lei l’aveva cancellato dai suoi pensieri?
Vide rosso.
Negli ultimi cinque anni non c’era stato un istante in cui non si fosse consumato al pensiero di lei. Non un minuto in cui non si fosse chiesto cosa stesse facendo. Come stesse.
E lei non provava nulla per lui.
Nulla.
Non si era assicurato nemmeno il suo risentimento.
“Bene” borbottò O’Connell alla porta chiusa, buttandosi lo spolverino sulle spalle, poi si mise in testa il suo Stetson. Fece una smorfia vedendo che la falda era stata parzialmente consumata dal fuoco. “Non ho bisogno che tu provi qualcosa per me, donna. Non ho affatto bisogno di te. Anche io posso cancellarti dalla mia mente.”
Girando i tacchi, fece un passo verso il suo cavallo. Il dolore esplose nel suo piede e imprecò ad alta voce mentre si allontanava zoppicando.
Quella donna lo aveva quasi menomato, maledizione! E per tutto il tempo non aveva provato nulla per lui! Nulla!


“Cosa significa che mi hai messo da parte?”
Catherine si girò e lo vide in piedi sulla soglia. Il viso avvolto dalle ombre, poteva sentire la rabbia emanare da lui più che vederla.
Avanti così, arrabbiati, Mr. O’Callahan. Cuoci nel tuo brodo fino a che tutto il corpo non si raggrinzisce.
Era terribile trarre tutto quel piacere dalla miseria di un uomo, ma fu quello che provò. Catherine girò il viso per non tradire la sua soddisfazione. Sapeva che lui non avrebbe resistito alle sue parole. Ecco perché non aveva chiuso a chiave la porta. L’ultima cosa che voleva era che lui la buttasse giù. E conoscendolo, di sicuro lo avrebbe fatto se lei avesse cercato di impedirgli di entrare in casa.
Vieni nel mio salotto, disse il ragno alla mosca. Non sarebbe sfuggito alle sue grinfie fino a che non gli avesse fatto scontare cinque anni di abbandono a suon di sculacciate.
“Ti serve qualcosa?” chiese in tono freddo.
O’Connell si sforzò di non mostrare emozioni e si tolse il cappello dalla testa. Come poteva starsene lì in piedi così compassata e buttarlo via come una scarpa vecchia?
Beh, lui non era una scarpa vecchia, da mettere da parte e dimenticare. Loro due erano stati più che semplici amanti. Lei era l’unica donna che avesse toccato la sua irrecuperabile anima. E durante tutti quegli anni in cui si era tormentato per il senso di colpa per le sue azioni, lei lo aveva dimenticato?
Oh, non se ne sarebbe andato fino a che non le avesse fatto ricordare cosa avevano condiviso. Entrando in casa, chiuse la porta dietro di sé.
“Che significa che mi hai messo da parte?” chiese di nuovo, colmando la breve distanza che li separava.
Lei scrollò le spalle. “Sono passati cinque anni, Mr. O’Callahan.”
Come se lui avesse bisogno che glielo ricordasse. Erano passati cinque lunghi, struggenti anni in cui gli era mancato tutto di lei. Sentire la sua presenza, respirarne il profumo. Il suono della sua voce, le tenere carezze sulla pelle.
Come uno stupido arrogante aveva presunto che anche lei avesse sentito la sua mancanza. Ovviamente si era sbagliato.
Bene, non aveva intenzione di farle sapere quanto questo lo infastidisse. Se voleva giocare a questo gioco della freddezza, lui era certamente la persona giusta per ricambiarla. Lui poteva nascondere le sue emozioni meglio di chiunque altro. Infatti, quante volte questa sua caratteristica l’aveva fatta impazzire?
“Hai ragione, Mrs. O’Callahan” disse O’Connell con voce apparentemente calma. “Sono passati cinque lunghi anni. In memoria dei vecchi tempi, potresti almeno dirmi dove potrei trovare un dottore per il mio piede?”
Un accenno di rossore comparve sulle sue guance mentre abbassava lo sguardo sull'arto ferito. “Sono spiacente ma il Dottor Watson è morto qualche mese fa e ancora non è stato sostituito. Poiché è stato a causa mia se ti sei scottato, me ne occuperò personalmente.”
“Bene, te ne sarò molto grato dal momento che il dolore è pulsante.”
E ora che ci pensava, anche un'altra cosa era pulsante. Specialmente quando il suo sguardo si posò di sua spontanea volontà sul suo seno prosperoso. Il suo corpo divenne ancora più duro ed eccitato al pensiero di accarezzare le forme sode, e la sua bocca si riempì di saliva quando immaginò di succhiare i morbidi capezzoli rosa fino a farli diventare duri boccioli increspati sotto la lingua.
E lei non prova niente per lui.
Nulla.
Soffocando un ringhio, si ripromise che quell'aspetto sarebbe presto cambiato. Fosse stata l’ultima cosa che avesse fatto, le avrebbe fatto ricordare quanto erano stati bene insieme.
Quanto piacere lui poteva darle.
E se qualsiasi altro uomo aveva osato entrare nel suo letto negli ultimi cinque anni, la giustizia poteva aggiungere l’accusa di omicidio al manifesto per la sua cattura.
“Se hai finito di guardarmi in quel modo lascivo” esclamò lei, “prendo la mia borsa dei medicinali sul retro.”
“Non ti stavo guardando in modo lascivo” borbottò O’Connell, rifiutandosi di ammettere che era proprio quello che stava facendo.
Lei attraversò il piccolo ingresso diretta verso il retro della casa. “Allora perdonami” disse Catherine, dandogli le spalle. “Forse dopo cinque anni ho dimenticato come sia uno sguardo lascivo.”
Trattenendo tra i denti la sua risposta, O’Connell zoppicò lungo il corridoio angusto, oltre le scale. Guardò i muri color borgogna e i dipinti appesi nel corridoio. Catherine aveva una bella casa. Avrebbe solo voluto essere stato lui a dargliela.
Ancor peggio, un profumo di casa avvolgeva la sua pensione.
C’era stato un tempo, molto prima, in cui lui aveva sognato di avere un posto da chiamare casa.
E il pensiero di condividere un posto come quello con Catherine era stata la sua idea di paradiso.
Ma il destino gli aveva voltato le spalle e da tempo aveva accettato quella delusione. Non avrebbe mai avuto una vita con lei. Lo sapeva.
“Hai un bel posticino qui” disse lui.
“Grazie. Ho dato l’acconto per averlo con i soldi che hai lasciato.”
“Vedi?” disse mettendosi sulla difensiva mentre zoppicava. “Non tutto il male viene per nuocere.”
“Il che spiega perché io non ti odi.”
O’Connell imprecò sottovoce. Rieccolo al punto di partenza. Non aveva aiutato la sua causa nemmeno un po’.
Lui voleva la sua rabbia, il suo odio. Lui voleva… no, si corresse, lui aveva bisogno che lei provasse qualcosa per lui. Qualcosa che non fosse l’indifferenza.
Doveva esserci un modo per smuoverla.
Si fermò sulla soglia della cucina mentre lei attraversava la stanza per mettere il grembiule e i vetri in un contenitore di legno per i rifiuti. “Se ti siedi al tavolo e ti togli lo stivale, tornerò subito con l’unguento per le scottature.”
Scomparve in una stanza dietro la cucina.
O’Connell percorse la stanza fino al tavolo. Vi appoggiò sopra il cappello, si tolse lo spolverino, poi si sedette a cavalcioni sulla panca di legno e fece come lei gli aveva ordinato.
Con una smorfia di dolore, rimosse la calza bruciata. Doveva ammettere che il suo piede aveva avuto giorni migliori. E sicuramente si era sentito meglio.
Soffiò sulle dita pulsanti di dolore, notando che sulla pelle arrossata stavano già comparendo delle vesciche.
Dannazione se faceva male. Anche più del suo naso quando per caso lei lo aveva colpito in faccia con il manico della scopa a causa della tela di un ragno che non poteva sopportare stesse in un angolo della stanza. Personalmente avrebbe preferito sopportare il ragno che il naso rotto.
Stare intorno a Catherine poteva essere piuttosto pericoloso per la salute di una persona. Però, per essere giusti con lei, non l’aveva mai vista essere maldestra con nessuno che non fosse lui.
E poi, non aveva mai veramente fatto caso alla sua goffaggine, dal momento che aveva dei modi così meravigliosi di farsi perdonare.
Il respiro gli si mozzò in gola al ricordo di come si era fatta perdonare per il suo naso. Chiudendo gli occhi, poteva ancora vederla chinarsi su di lui, sentire la sua bocca stuzzicare la sua carne. I suoi denti mordicchiarlo dappertutto.
E il suo corpo si eccitò, si tese, fino quasi a non poterlo sopportare.
Dio del cielo, aveva una bocca così piccola e dolce che sapeva di miele e sembrava seta calda mentre scivolava sulla sua carne.
Era proprio vero che un corpo non poteva provare dolore e piacere allo stesso tempo. Perché quando lo stuzzicava con la lingua e con i denti, tutto il dolore evaporava come rugiada in una calda mattina di luglio.
Catherine tornò in cucina, un piccolo cesto di vimini in una mano. Lo mise sulla tavola di fianco al cappello e si chinò per esaminare il piede.
Le sopracciglia si unirono in un cipiglio severo. “Ho fatto io tutto questo?”
“Sì, lo hai fatto tu” disse lui petulante.
“Mi dispiace” rispose lei. “È meglio che prenda del burro per te.” Mentre prendeva il contenitore di porcellana del burro sul tavolo, sfiorò accidentalmente il cestino di vimini, che cadde.
Atterrò direttamente sul piede ferito di lui.
O’Connell trattenne il respiro tra i denti mentre il dolore esplodeva nella sua gamba.
“Scusa” ripeté lei, piegandosi a raccogliere il cestino.
Il suo sguardo famelico banchettò alla vista del suo sedere rotondo mentre lei cercava di prendere il cestino sotto il tavolo. Oh, ma aveva un così bel sedere rotondo. Così incredibile da sentire tra le mani, o contro i suoi lombi.
Si dimenticò completamente del piede finché lei si raddrizzò, vacillò un attimo, poi afferrò il suo piede per tenersi in equilibrio.
Questa volta imprecò ad alta voce.
Lei si fece di tutti i colori. “Mi…”
“No” scattò lui, interrompendola. “Lo so che non lo hai fatto apposta, ma per favore dai al mio piede abbastanza tempo per recuperare prima di fargli qualsiasi altra cosa.”
Le sue guance si fecero ancora più rosse mentre rimetteva il cestino sulla tavola. “È solo colpa tua, lo sai.”
“E come potrebbe?”
“Mi rendi nervosa” confessò lei.
“Io rendo te nervosa?” chiese lui attonito. Se qualcuno aveva il diritto di essere nervoso, quello era lui, dal momento che non si poteva mai sapere quale altra ferita avrebbe potuto infliggergli in seguito.
“Sì, è così. Il modo in cui te ne stai lì seduto a fissarmi come se fossi un arrosto di prima qualità e tu non avessi toccato cibo da una settimana. È abbastanza sconcertante, Mr. O’Callahan, se proprio vuoi saperlo.”
Lui smise di sventolarsi il piede e la guardò. “Perché non me lo avevi mai detto?”
“Ero abituata a non fare caso al modo in cui mi guardavi.”
“E adesso?”
“Ora ci faccio caso e vorrei che la smettessi.”
O’Connell serrò le mascelle alle sue parole. Allora c’era un modo per scalfire il ghiaccio che la ricopriva.
Certo, nella sua vita non aveva mai dovuto scalfire il ghiaccio intorno a una donna. Le donne si erano sempre sciolte in sua presenza. Avevano solo dimostrato una resistenza simbolica prima di sollevarsi le gonne per lui.
Catherine era stata l’unica che aveva corteggiato. Ma comunque, lei era sempre stata un caso a parte per lui. La sua timida innocenza era ciò che l’aveva conquistato. Il modo in cui sorrideva portava con sé il calore del sole.
Pete lo aveva preso in giro per il suo amore per lei: “Quella donna è insipida come il pane del giorno prima.”
Ma per lui, lei era sempre stata bellissima.
Catherine si chinò su di lui e spalmò gentilmente il burro sul piede. Il suo tocco leggero lo raggiunse al cuore, e migliaia di piacevoli aghi lo punsero ovunque.
Pur non volendo, sorrise. L’assistenza che lei stava dando al suo piede gli fece ricordare come si erano conosciuti.
Lui aveva appena compiuto diciannove anni e lavorava per il padre di lei solo da poche settimane. Il cancello principale di casa sua era stato danneggiato da una tempesta e stava provando a rappezzarlo quando tutto a un tratto lei era arrivata a cavallo giù dalla collina come se il diavolo in persona la stesse inseguendo. Era riuscito per un pelo a farsi da parte prima che il cavallo di lei lo travolgesse.
Il palo che stava conficcando nel terreno si era inclinato e quando lui aveva provato ad afferrarlo, il martello gli era scivolato dalle mani ed era caduto sulle dita del suo piede, rompendo il mignolo. Come se questo non fosse stato già abbastanza doloroso, anche l’intero palo gli era caduto addosso.
Lei si era immediatamente girata ed era tornata indietro per controllare. Anche ora poteva vederla nel suo completo da equitazione verde scuro, che senza dubbio costava più di un anno della sua paga, mentre lo aiutava a rimuovere il palo dalla sua gamba. Senza badare all'abito, si era inginocchiata sul terreno fangoso, aveva rimosso con attenzione il suo stivale, e aveva controllato il suo dito anche se lui le aveva detto di non farlo.
Quindi aveva insistito sul fatto che siccome era stata lei ad averglielo rotto, se ne sarebbe occupata.
Quella era stata la prima volta nella sua vita in qualcuno era stato gentile con lui senza aspettarsi nulla in cambio.
Più tardi quella sera, quando lei gli aveva portato un vassoio con una bistecca, patate e biscotti alla baracca che divideva con gli altri manovali del ranch, aveva capito di essersi innamorato.
Sembrava un angelo che entrava dalla porta con un largo vassoio d’argento in mano.
E quella stupida margherita che ci aveva messo sopra… Gli altri uomini l’avevano preso in giro per settimane. Ma a lui non era importato.
Nulla aveva importanza, eccetto il suo sorriso.
“Lo stai facendo di nuovo” sbottò Catherine, riportando l’attenzione di lui al presente mentre lei prendeva l'unguento per le ustioni. Con un tocco ancora più gentile, lo spalmò sulle sue dita ustionate.
“Facendo cosa?”
“Mi stai fissando.”
O’Connell le sorrise. “Sai perché ti fisso?”
“Non ne ho idea.”
“Perché sei ancora la più bella donna del mondo.”
La sorpresa era dipinta sul suo volto quando si raddrizzò e lo guardò. “È questo il motivo per cui mi hai lasciato?”
“No”
“Allora dimmi perché.”


CAPITOLO TRE


 di Deborah Tessari


O'Connell si fermò giusto in tempo prima di rivelarle tutta la verità. Adesso come allora, non sopportava il pensiero che lei sapesse quello che lui era stato.
Quello che era diventato.
Non era mai stato orgoglioso di ciò che la disperazione e gli obblighi verso la sua famiglia lo avevano spinto a fare. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi da Pete e suoi folli progetti anni prima. Ma ogni volta che ci provava, ripensava alla sua infanzia, a quando Pete era stata l'unica cosa che si frapponeva tra lui e la fame.
Il mondo era un luogo freddo e difficile per due orfani soli, pieno di gente senza scrupoli che si sarebbe subito approfittata di loro. Ma Pete, che aveva sette anni più di lui, lo aveva sempre tenuto al sicuro.
Se solo Pete fosse riuscito a lasciarlo andare! Purtroppo, il fratello maggiore li considerava come due gemelli inseparabili.
E non importava quanto volte fosse riuscito a scappare, suo fratello l'aveva sempre rintracciato, neanche fosse un cane segugio.
No, non c'era modo di poter avere Catherine mentre Pete era sulle sue tracce. Alla fine, suo fratello si sarebbe ripresentato e l’avrebbe usata contro di lui... proprio come aveva fatto cinque anni prima in Nevada.
O'Connell riusciva a contrastare Pete soltanto quando erano da soli.                                      
Catherine lo rendeva debole. Vulnerabile.
Inoltre, era una brava donna, con un buon cuore e preferiva che lei lo credesse un farabutto buono a nulla piuttosto che scoprire che aveva sposato un fuorilegge. Sapere la verità non le avrebbe portato nulla di buono.
Così rispose alla sua domanda con la prima cosa stupida che gli venne in mente. "Non lo so."
Lei inarcò un sopracciglio scuro sollevando lo sguardo dal suo piede al viso. "Non lo sai?"
"Sembrava la cosa giusta da fare" spiegò a mo’ di scusa.
Dall'espressione irata sul suo viso, si rese conto troppo tardi che avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa.
Catherine affilò lo sguardo. "Perché non te ne vai e..." la sua voce si spense.
Aspettò che concludesse la frase.
Ma non aggiunse altro. Invece, gli fissò stranamente il braccio destro.
"E?" la sollecitò lui.
Lei girò intorno alla panca fermandosi al suo fianco. Afferrò la manica della camicia nera e si chinò per guardare più da vicino. Quel tipo di contatto portò la testa della donna proprio sotto il suo naso. Si sentì attorcigliare le budella. Lei profumava ancora di primavera. I suoi capelli avevano ancora la stessa fragranza fresca e deliziosa di fiori e di sole.
E in quel momento, tutto ciò che voleva fare era sdraiarla sul tavolo della cucina, sollevarle la gonna e seppellirsi nel profondo del suo corpo caldo.
Ci volle tutta la sua forza di volontà per non cedere a quel desiderio mentre il profumo di lei lo avvolgeva, facendogli venire le vertigini. Rendendolo affamato. Istigandolo oltre ogni pensiero o ragione.
Passò un intero minuto prima che si rendesse conto che lei stava fissando il sangue sulla sua mano.
"Stai sanguinando?" gli chiese.
Non aveva nessuna intenzione di rivelarle che Pete gli aveva sparato mentre scappava con il denaro rubato, quindi si alzò in piedi. "Probabilmente dovrei andare adesso."
"Siediti!" Il tono acuto così inaspettato e non suo, lo fece inaspettatamente ubbidire.
"Togliti la camicia e fammi vedere cos’hai combinato oggi."
"Sì, signora" mormorò sarcastico mentre si sbottonava la camicia assecondandola.
Catherine aprì la cesta, poi commise l'errore di rivolgere gli occhi di nuovo su di lui.
I suoi movimenti lenti e languidi catturarono il suo sguardo mentre quelle lunghe, forti dita sfilavano i bottoni dalle asole. Aveva sempre amato quelle mani. Il modo in cui le sentiva su di lei, il piacere e il conforto che erano sempre riusciti a darle.
Sentì la gola seccarsi al ricordo.
Aprì la camicia, poi si diede da fare con i bottoni dell’intero intimo bianco. E a ogni bottone bianco slacciato, lei intravedeva sempre di più la sua perfetta pelle bruna.
Aveva dimenticato quanto potesse essere logorante la vista della sua pelle nuda. Gli anni non avevano fatto altro che rendere i suoi muscoli più sodi, più definiti. E ricordava fin troppo bene come ci si sentiva a far scivolare la mano su quelle nervature tese. Il modo in cui sentiva il suo stomaco duro scivolare contro il proprio ventre quando lui si teneva sopra di lei e la portava in paradiso con spinte lunghe e sensuali.
Sentì il suo corpo eccitarsi, le ci volle tutta la sua concentrazione per costringersi a toccare la benda improvvisata sul bicipite destro dell’uomo. Lui fletté il braccio con fare seducente mentre gli sfiorava la pelle con le dita, e lei si sentì pervadere da un'ondata di lussuria. C'erano poche cose sulla terra migliori di quei duri bicipiti forti sotto le sue mani.
Catherine strinse i denti per la frustrazione. Come poteva farle mancare il fiato dopo quello che le aveva fatto passare?
Perché il suo corpo era così determinato a tradirla? In quel momento, avrebbe voluto disperatamente un interruttore per spegnere il travolgente desiderio che le scorreva nelle vene.
Occupati della ferita, occupati della ferita... si ripeté mentalmente più e più volte, sperando di riprendere un certo controllo su se stessa.
Non devo cedere!
Per l’amor del cielo, non avrebbe ceduto.
Sciogliendo la benda, Catherine notò immediatamente la ferita da arma da fuoco. "Ti hanno sparato?"
"E pensare che non sei nemmeno stata tu."
Lei si irrigidì al suo tono giocoso. "Non sei divertente."
"Nemmeno un po’?"
"Te l’ho già detto, Mr. O'Callahan, sono immune al tuo fascino."
Ti piacerebbe! Se solo avesse potuto tener fede a quelle parole coraggiose.
"Vorrei che la smettessi di chiamarmi così" sbottò lui. "Ho un nome ed eri solita usarlo."
Non osava servirsene in quel momento, perché se lo avesse fatto, non aveva dubbi che sarebbe stata  sua e lui l'avrebbe usata a suo piacimento. Solo il suono di quelle sillabe sulla lingua sarebbe stato sufficiente per vincerla.
Lottò per riprendere il controllo di se stessa. "Facevo un sacco di cose con te che ora non faccio più."
"Ad esempio?"
"Usa l’immaginazione."
Quello sguardo grigio argento si tuffò tra i suoi seni, stretti e pesanti sotto quell’esame scottante.
"Oh, la sto usando, decisamente. E posso ben immaginare il suono dei tuoi sospiri di piacere nel mio orecchio mentre ti stuzzico il collo. Ti ricordi?"
"No" mentì lei, la voce incredibilmente calma.
Ma nonostante i suoi dinieghi, sentì il suo corpo sciogliersi al calore di quello sguardo grigio argento. Peggio ancora, poteva sentire l'odore del suo caldo profumo maschile. Usò tutte le sue forze per non affondare il volto nell'incavo del collo e respirare la fragranza inebriante.
Occupati della ferita, occupati della ferita! Si costrinse a concentrarsi sul compito che si era prefissata.
"Il proiettile è ancora lì dentro?" chiese mentre esaminava il buco nel braccio.
"Donna" rispose lui con voce roca, lo sguardo che non abbandonava i seni, "in questo momento ho una pistola carica che aspetta solo di ..." la sua voce si spense.
Alla fine alzò gli occhi e incontrò il suo sguardo, ma non riusciva a leggere nulla nelle profondità ardenti dei suoi occhi, eccetto la fame selvaggia che la incendiò. "L’ho detto ad alta voce?"
Lei annuì.
Lui si schiarì la voce e fissò lo sguardo dall'altra parte della stanza. "No" disse in fretta. "La pallottola è passata attraverso."
Trascurando la sua risposta, esaminò cautamente la ferita. Come aveva previsto, sembrava pulita. "Bisogna ricucirla."
Incontrò di nuovo il suo sguardo. C'erano solo pochi centimetri tra i loro volti e lei poteva sentire il suo respiro sul viso mentre parlava. "E allora dacci dentro. Sono sicuro che non ci sia niente che ti darebbe maggiore piacere che bucherellarmi con un ago."
Avrebbe dovuto farle piacere, ma lei sapeva che non sarebbe stato così. Come poteva provare piacere a fare del male all'uomo che le aveva rubato il cuore?
Non glielo avrebbe mai fatto sapere. Non dopo il male che lui le aveva fatto. No, non gli avrebbe mai fatto sapere quanto potere aveva ancora su di lei.
Mai.
"A dire il vero, io non proverò niente" ribatté lei, allungandosi verso il suo cestino.
O'Connell strinse i denti per la frustrazione repressa.
Non proverò niente, le fece il verso in silenzio mentre lei prendeva ago e filo.
Chiudi la ferita e, quando avrai finito, ti prometto che proverai qualcosa, credimi.
Lei si sarebbe ricordata del suo tocco, fosse anche l'ultima cosa che avrebbe fatto.
O'Connell sentì l'erezione indurirsi ancora di più mentre la guardava appoggiare il filo tra le labbra e leccarlo.
La punta della lingua fece capolino mentre cercava di infilare l'ago.
Non posso farcela! urlò la sua mente persa in quell’inutile tormento. Se non l’avesse conosciuta così bene, avrebbe giurato che lo stava facendo apposta.
Quando lei si mise a lavorare sulla sua ferita, non provò dolore, solo il piacere delle sue mani morbide contro la pelle nuda. Il suo respiro contro la spalla mentre si sporgeva così vicino da poter sentire l'odore di sole su di lei.
Più e più volte riuscì a immaginare di scioglierle i capelli e passare le dita tra le onde folte. La sensazione di sentirle scivolare sul petto mentre se la metteva sopra per banchettare con i seni gonfi e succulenti.
Catherine riusciva a malapena a tenere ferma la mano mentre chiudeva la ferita. Il ricordo di quando toccava i suoi muscoli duri e caldi non potevano certo competere con la realtà della mano sulla sua pelle.
Sentiva la testa fluttuare al contatto. Peggio ancora, poteva sentire il suo calore avvolgerla, il respiro sul collo. La spalla contro il suo seno destro.
Si sentiva attraversata da un migliaio di brividi. Dovette lottare con tutte le forze per non gemere e supplicarlo di prenderla lì e ora. Oh, era una vera tortura. Specialmente dopo tutti quegli anni in cui aveva desiderato vederlo ancora una volta, tutti gli anni in cui era rimasta sveglia la notte a ricordare la sensazione di lui sdraiato al suo fianco. La sensazione di sentirlo scivolare dentro di lei.
Dopo quella che sembrò un'eternità, terminò i quattro piccoli punti che chiudevano la ferita. Li aveva appena bloccati quando lui si allungò, le prese il viso tra le mani e si impossessò delle sue labbra.
Catherine sospirò al contatto.
Era stato l'unico uomo che l’avesse mai baciata e il suo sapore le si era impresso nella memoria moltissimo tempo prima.
Lui la attirò a sé, possessivo, e la fece sedere sulla panca di fronte a lui mentre le saccheggiava la bocca.
Catherine seppellì le mani tra i capelli di seta e premette il seno contro il petto caldo e nudo. Avrebbe dovuto fermarlo, lo sapeva. Ma non voleva farlo, le fosse pure costata la vita. Tutto quello che voleva era assaporarlo come aveva fatto tanti anni prima.
Un calore impetuoso le attraversò il corpo concentrandosi tra le gambe mentre lo bramava nel più primitivo dei modi. Lo voleva disperatamente. E solo lui poteva placare il doloroso calore che reclamava il suo corpo.
Lui era suo marito e la parte di lei che ancora lo amava si precipitò alla ribalta. Sotto l’assalto del suo bacio rovente, quella parte di lei prese il sopravvento sul buon senso costringendolo a rifuggire dalla mente.
Prima che si rendesse conto di quello che stava succedendo, sentì i suoi capelli ricadere sulle spalle e solo allora lui si tirò indietro staccandosi dalle sue labbra per baciarle la guancia, le palpebre, la punta del naso. Le sue labbra calde e umide marcarono una scia di fuoco sul suo viso.
"La mia preziosa Catherine" le sussurrò in un orecchio. "Lascia che ti ami nel modo in cui meriti di essere amata."
Sentì le sue mani slacciare l'abbottonatura della camicetta. Avrebbe voluto dirgli di no, ma non ci riuscì. Le parole le si fermarono in gola perché in fondo lei lo voleva. Lo aveva sempre voluto, e non importava quanto l'avesse ferita, c'era ancora una parte di lei che aveva bisogno di lui.
E le si arrese.
Lui le aprì la camicetta, poi seppellì quelle labbra calde contro i suoi seni mentre allungava le mani verso la schiena per slacciarle il corsetto. Lei sospirò di piacere nascondendo il viso nei suoi capelli e inspirò il caldo profumo malizioso di suo marito.
La testa di O'Connell si immerse nella fragranza di lei mentre affondava il viso tra le turgide montagnole morbide del seno leccandole la pelle salata. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva assaggiato il suo sapore, che l’aveva toccata, e sapeva che avrebbe trascorso il resto della notte a recuperare i cinque anni in cui erano stati separati.
I cinque lunghi anni in cui era rimasto senza una donna.
Tra le sue braccia, aveva sempre pensato che tutto fosse possibile. Che poteva fare qualsiasi cosa, essere qualsiasi cosa.
Nessun’altra lo aveva mai sollevato a quel livello di bontà e piacere come aveva fatto lei.
Lei era l'unica cosa vera nella sua vita su cui poteva fare affidamento. L'unica persona di cui aveva veramente bisogno.
Passò la lingua sulla cima dei seni, adorando il modo in cui lei tremava tra le sue braccia mentre lottava con i lacci del corsetto.
E in quel momento detestò chi aveva inventato quel maledetto attrezzo. Doveva essere stata una vecchia matrona zoppa nel tentativo di preservare la virtù della figlia, perché nessun uomo avrebbe mai potuto progettare un aggeggio così scomodo.
Alla fine riuscì ad allentarlo fino a poter liberare i seni e portarli alla sua bocca affamata.
Catherine gli prese la testa tra le mani, soffocando un gemito di puro piacere. La sua mano le accarezzò i seni pieni, stringendo così tanto i capezzoli turgidi che a malapena riusciva a sopportarlo. L'eccitazione inondò il suo corpo come un dolore celato in profondità.  Era un desiderio familiare che provava solo per lui.
Mai nessun altro uomo aveva suscitato in lei quelle sensazioni. Nessuno. E dubitava che qualcuno ci sarebbe mai riuscito.
E poi le sue mani si fecero strada sotto la gonna, accarezzandola e stuzzicandola mentre scorrevano sui polpacci e sulle cosce. Con una mano le coprì le natiche avvolgendole l'altro braccio intorno per poi stringerla a sé.
Reclamò le sue labbra per un bacio affamato e vibrante, poi si tirò indietro.
Le prese il viso tra le mani e le inclinò la testa per far in modo che lei lo guardasse. Le sue labbra erano gonfie per i baci, la fissò come se stesse sognando.
Il bisogno e la fame in quello sguardo grigio argento la ipnotizzavano. Con il respiro irregolare, lei non poteva fare altro che guardarlo meravigliata.
"Di' il mio nome" ordinò, accarezzandole delicatamente con le nocche le labbra gonfie.
Lei esitò.
Ma qual era il punto? Lei si era già arresa. E per qualche strana ragione che non riusciva a capire, voleva accontentarlo.
"Michael" sussurrò.
Lui sorrise, poi tornò a torturarle la bocca con incredibile rapimento.
Si alzò con lei tra le braccia. "Dov'è la tua camera?"
"Laggiù" rispose lei, indicando il corridoio sul retro e una delle stanze sulla sinistra.
Zoppicando per tutto il tragitto, la trasportò fino alla stanza indicata, poi chiuse la porta con il calcagno del piede ustionato.
"Dov'è la lampada?"
Catherine si liberò dal suo abbraccio e si avvicinò alla cassettiera sulla sinistra della porta.
Troppo buio per vedere, lei cercò a tentoni lungo la superficie liscia mentre lui la raggiunse da dietro appoggiandole le mani a coppa sui seni.
Lei gemette mentre lui giocava con lei e un calore divampò nel suo corpo.
"Mi stai rendendo le cose difficili"disse lei, poi sospirò alle labbra sulla nuca mentre le premeva sesso gonfio contro il fianco.
Diede un'ultima stretta possessiva al seno, poi la lasciò andare. "Accendi la lampada" ribatté, la voce irregolare. "Voglio vederti. Tutta quanta."
Rapidamente lei trovò il vetro della lampada. Sollevò il paralume, prese uno dei fiammiferi appoggiati lì accanto e la accese. Abbassò lo stoppino per produrre una luce bassa e calda che faceva danzare le loro ombre lungo la parete.
Michael le arrivò di nuovo alle spalle e le diede un bacio sulla spalla avvolgendole le braccia intorno alla vita per tirarsela al petto. Catherine appoggiò indietro la testa, assaporando la sensazione di lui.
La forza e il calore delle sue braccia possenti. Il suo profondo gemito le echeggiò nelle orecchie e sospirò soddisfatta.
Lentamente, lui cominciò a toglierle i vestiti.
"Michael, che cosa..."
"Shh" disse, mettendole un dito sulle labbra. "Voglio scoprirti come un pacco regalo. Lentamente. Con cura e con gusto.”
E così fece. Lei non si mosse mentre le toglieva la camicetta, poi la gonna e la sottoveste. Poi toccò al corsetto, che mise in mostra la parte superiore del suo corpo. Rabbrividì all'aria fredda sulla pelle, ma lo sguardo caldo di lui la riscaldò proprio mentre le scioglieva i mutandoni e li lasciava cadere a terra.
Deglutì, nuda, in piedi davanti a lui.
O'Connell credeva di essere diventato pazzo mentre fissava il suo corpo svestito. Neppure nei suoi ricordi più nascosti era stato in grado di mantenere vivo il ricordo della vera bellezza della sua Catherine.
E per quella notte lei era sua.
Tutta sua.
Allungò la mano e la passò sul seno destro, deliziato dal modo in cui il capezzolo si induriva al suo tocco. Poi, la lasciò scivolare sull'addome fino ai riccioli alla congiunzione delle cosce.
Lei gemette al tocco delle dita.
La sua mente vacillò al calore del suo corpo, alla lucida umidità nella sua mano. Era pronta per lui, come lui lo era per lei, ma non voleva correre.
Voleva che quella notte le durasse tutta la vita.
"Ho voglia di assaggiarti" le disse. "Ogni singolo centimetro di te."
Catherine non riusciva a rispondere a parole. Con la mente intorpidita, non riusciva a far altro che guardarlo mentre lui osservava lei.
La sollevò di nuovo e la portò sul letto, dove le tolse le scarpe, poi accuratamente le srotolò le calze, mordicchiandole le gambe.
Lei fece per alzarsi ma lui la tenne giù con una mano, scuotendo la testa. "Fatti vedere distesa. Voglio vederti nuda nel tuo letto."
E la osservò. Il suo sguardo si spostò dalla parte superiore della testa in basso verso il seno, lo stomaco, i fianchi e le gambe, poi ritornò al centro del suo corpo vibrante di una calda necessità esigente.
Alzò le mani alle cosce e le allargò le gambe.
"Michael..."
"Lascia che ti guardi."
E lei glielo permise, il suo sguardo bruciava ancora più del suo tocco. Chinò la testa e pose un tenero bacio appena sotto l'ombelico. Il respiro caldo bruciava mentre con i denti la tormentava le carni. Lasciò una scia di baci più basso, fino alla parte interna delle cosce. Catherine chiuse gli occhi e gemette mentre le labbra di Michael sfioravano il centro del suo corpo.
Poi si tirò indietro.
Come se avesse percepito quanto lei lo anelava, si liberò in fretta dei vestiti, e salì tra le sue gambe. L'intero corpo sfiorò il suo con una lunga, sensuale carezza.
Catherine gemette al piacere erotico che ne derivò, inarcando la schiena per incontrare lui. Lo sentiva dalla punta dei piedi ai seni doloranti, fino alla fronte, dove depose un tenero bacio.
Il suo membro, caldo e duro, premuto contro il ventre.
Lo voleva troppo, non riusciva ad aspettare, per cui si allungò tra i loro corpi per accarezzare la vellutata virilità dell’uomo. Sentì il sibilo in un orecchio mentre lei lo prendeva con dolcezza, cercando di guidarlo dentro di sé.
Ma lui non voleva andasse così.
Senza entrare in lei, Michael rotolò sul fianco prima di impossessarsi nuovamente della sua bocca. Le passò una mano sul corpo per poi seppellirla tra le sue gambe.
Catherine boccheggiò di piacere mentre i fianchi si sollevavano istintivamente verso la sua mano.
Si tirò indietro per osservarla. "E allora?" sussurrò mentre con le dita le accarezzava la carne sensibile tra le cosce. Tuffò un dito dentro di lei, stuzzicandola con puro, assoluto piacere. "Ti ricordi di me, adesso?"
"Sì" ansimò, mentre quelle dita facevano cose strepitose al suo corpo.
Lui la stuzzicò e giocò, le sue dita volteggiavano dentro di lei, sempre più velocemente, fino a farla rimanere senza fiato e in preda a un doloroso bisogno.
"E ti ricordi di questo?" chiese raggiungendo il nucleo del suo corpo con il pollice.
"Sì" esclamò lei ancora una volta, il corpo pulsante.
Lui sorrise con tenerezza. "Ora dimmi cosa vuoi."
"Voglio sentirti dentro di me. Adesso."
Lui la lasciò.
Catherine piagnucolò fino a che non la prese in braccio e la sistemò ancora una volta. "Cosa stai facendo adesso?"
Lui la portò davanti allo specchio posizionato in un angolo. "Vedrai" le sussurrò in un orecchio, facendole venire i brividi sulle braccia.
La sistemò davanti allo specchio, dove poté guardare le sue mani accarezzarle il corpo, massaggiarle i seni, e coccolarle magistralmente l'addome.
Le scostò i capelli dalla spalla destra e seppellì le labbra nella curva del suo collo.
Allungandosi fino sopra la testa, lei gli nascose una mano tra i capelli gemendo di piacere.
“Profumi ancora di sole" le sussurrò in un orecchio prima di agitare la lingua sulla carne sensibile. E quando le infilò la lingua nell'orecchio, si sciolse e gemette mentre tutto il corpo le si incendiava.
Catherine tremava tutta mentre guardava quelle mani possessive sui suoi seni. Lui li premette, li massaggiò, li accarezzò fino a che lei non riuscì più a sopportarlo.
"Voglio toccarti" disse lei con voce roca, cercando di girarsi tra le sue braccia.
Lui la fermò. "Certamente" rispose. "Ma non ancora. Non finché non ti avrò divorato."
"E allora divorami."
La sua ricca risata echeggiò nel suo orecchio. "Sì, signora"sussurrò. "Sono più che felice di accontentarti."
E poi tracciò una serie di baci lungo la schiena. Lentamente, con cura, coprendo ogni centimetro della sua pelle. Lei non riusciva a capire come facessero le gambe a reggerla ancora in posizione, tremavano talmente tanto che era certa che sarebbe caduta.
Il suo alito caldo l'accarezzò, mentre la bocca umida titillava la pelle. Si fermò sulla parte bassa della schiena, poi con la lingua le accarezzò delicatamente le natiche. La cinse da dietro con le mani inginocchiandosi sul pavimento ai suoi piedi.
Con le sue labbra baciò la parte posteriore delle cosce, le ginocchia, i polpacci, e quando arrivò alle caviglie, lei sussultò di piacere.
Lui rise, poi le allargò le gambe.
Con frenesia lei lo accontentò e guardò nello specchio mentre lui si posizionava tra le sue gambe baciandole le ginocchia, le cosce.
Si fermò lì.
Il suo sguardo trasfigurato dalla vista di lui nello specchio, l'intero corpo di Catherine pulsava mentre il suo alito caldo le bruciava la pelle. Lui passò la mano sinistra tra i suoi corti riccioli scuri, aggrovigliandoli eroticamente. Poi, usando entrambe le mani, separò delicatamente le pieghe e seppellì la bocca al centro del suo corpo.
Fu scossa da tremori di estasi.
O'Connell avrebbe voluto urlare in segno di vittoria, mentre assaggiava la sua parte più intima. Lei era sua e quella parte di lei era solo per lui.
Non l’avrebbe mai condivisa! Mai.
Passò la lingua su di lei, godendo dei gemiti e dei sospiri. Del sapore del suo corpo, caldo e umido contro la sua lingua affamata.
"Per favore" lo pregò. "Non resisto più."
Lui morse la carne tenera. "Oh, sì, resisti, amore mio. Sono solo all’inizio."
Decidendo di aver torturato entrambi abbastanza per il momento, passò a mordicchiare la carne sensibile dei fianchi. Lei affondò la mano tra i suoi capelli. Lui adorava sentire le dita sul suo cuoio capelluto.
Più in fretta di prima, si fece strada a forza di baci lungo il suo corpo finché non riuscì a seppellire le labbra nell’incavo della gola.
La strinse forte contro di sé, godendosi la sensazione della carne nuda contro la sua, dei capezzoli turgidi che gli bruciavano il petto.
Catherine sollevò una gamba per avvicinarsi a lui inarcandosi contro di lui, aveva un disperato bisogno di essere più vicino al suo calore. Le sue labbra bruciavano sulla gola. Strofinò i fianchi contro di lui supplicando silenziosamente che lui avesse pietà di lei e spegnesse il fuoco che la devastava.
Con suo grande dispiacere, lui si tirò indietro. Poi le prese le mani e le appoggiò sul telaio dello specchio mentre si metteva dietro di lei.
Lei incrociò i suoi occhi lussuriosi, lo sguardo caldo nello specchio. Non aveva mai visto un tale sguardo d’amore e lussuria. Con il respiro affannoso, le sussurrò: "Voglio vedere che mi guardi mentre ti faccio mia."
E poi con un colpo potente entrò dentro di lei. Lei trattenne il fiato all’acuta sensazione di pienezza.
“Oh, sì, Michael, sì!" gridò.
O'Connell pensava che sarebbe morto al suono del suo nome sulle sue labbra mentre si arrendeva a lui.
In quel momento seppe come doveva essere il paradiso. Niente sarebbe potuto essere più piacevole di stare con la donna che amava, sentire i suoi sospiri, e sentire il corpo contro il suo.
“Fammi vedere" le sussurrò in un orecchio. "Fammi vedere che ti ricordi di me."
Lei esitò solo un istante prima di alzarsi in punta di piedi e avvicinarsi alla punta del suo membro. E proprio come era sicuro che lo avrebbe fatto impazzire, lei si lasciò cadere contro di lui, strappandogli un profondo gemito di piacere.
Strinse i denti al dolce tormento di lei che stringeva il suo corpo. Al diavolo i sogni! pensò rabbiosamente. Non erano nulla in confronto a quella realtà. La vera sensazione del corpo di lei che scivolava contro il suo.
Catherine sorrise allo sguardo di estasi sul suo volto mentre lo guardava nello specchio. Imperturbabile, gli diede ciò che voleva e si prese quello di cui aveva bisogno.
Il sudore gli imperlò la fronte quando incrociò il suo sguardo nello specchio.
Catherine sentiva il corpo vacillare, sfiorare picchi che solo lui le aveva mostrato. Ma prima che li raggiungesse, voleva qualcosa di diverso da lui. Diede un ultimo, lungo affondo, poi si bloccò. Lui inarcò un sopracciglio incuriosito.
"Hai mai pensato a me?" gli chiese.
"Ogni minuto di ogni ora. Non ho mai smesso di volerti."
La sincerità nel suo sguardo le disse che diceva la verità. La gioia si diffuse in lei e ricominciò a muoversi contro di lui, poi si liberò. La guardò con aria interrogativa.
"Voglio stringerti a me quando succede."
Non volendo percorrere la breve distanza verso il letto, Michael la stese sul pavimento e si immerse di nuovo in lei. Catherine gemette alla spinta tra le cosce mentre gli circondava il corpo con le gambe. Avvolgendogliele intorno alla vita, lasciò scorrere le mani lungo la sua schiena, gli afferrò le natiche e lo spinse contro di sé.
Il piacere salì sempre più in alto fino a quando sentì che stava per librarsi di nuovo. Questa volta si lasciò andare oltre il limite. E gridò, scossa da tremori di puro piacere.
Lui continuò a spingere, intensificando la sua estasi fino a che non rovesciò la testa all'indietro con lo stesso grido.
Con un sospiro di soddisfazione, si accasciò su Catherine, che si beò del suo peso. Era passato troppo tempo. Troppo. O'Connell non riusciva a respirare, neppure a muoversi. Non fino a quando senti nuovamente pulsare il braccio e il piede.
"Ahi" sussurrò.
"Ahi?" ripeté lei.
"Il mio piede" spiegò, rotolando via da lei. "Fa male di nuovo."
Un rossore le imporporò le guance. Si alzò lentamente da terra e gli porse una mano. "Credo di conoscere un modo per farti dimenticare il dolore."
Sorrise e si alzò al suo invito. Lei lo accompagnò sul letto e lo depose contro il morbido materasso di piuma. Arrendendosi ai suoi capricci, la osservò strisciare lungo il suo corpo come un gatto selvatico nudo. Lei dimenò i fianchi e gli si mise a cavalcioni.
O'Connell gemette alla sensazione dei peli contro l'inguine che l'accarezzarono quando lei gli si sedette sullo stomaco. Si sporse in avanti, appoggiando i seni sul suo petto mentre dimenava quel delizioso fondoschiena contro di lui. "Ora vediamo quanto mi ricordo" sussurrò prima di seppellire le labbra appena sotto il suo orecchio. "Questo aiuta il dolore?"
"Un po'" si lamentò.
Lei tracciò baci sulla sua pelle fino a quando arrivò al petto. Gli accarezzò il capezzolo con la lingua e lui sibilò di piacere. Lo mordicchiò delicatamente.
"E questo?" chiese.
"Un po' meglio di prima" rispose.
"Ancora non è andato via del tutto?"
Scosse la testa.
"Bene, allora, vediamo cosa ci vuole."
Si sdraiò al suo fianco e mentre si chinava su di lui i suoi capelli accarezzavano la sua carne, facendolo rabbrividire. Gli frustò il petto con la chioma, più e più volte, e lui inarcò la schiena a quella piacevole tortura.
"Meglio?" chiese.
"Un po’."
Lei inarcò un sopracciglio. "Un po'?"
Lui si strinse nelle spalle.
Il suo sorriso era malizioso e caldo. "In questo caso..."
Abbassò la testa e lo prese in bocca. O'Connell premette la testa nel cuscino, il corpo attraversato da un brivido di piacere.
"Catherine" disse con voce rauca. "La prossima volta puoi darmi fuoco completamente se questa è la cura."
Lei rise contro di lui. "Non tentarmi" disse lei, alzando gli occhi un attimo prima di tornare a quella parte di lui in costante crescita. Più forte.
Prima che potesse muoversi, lei si mise nuovamente a cavalcioni su di lui e si abbassò sul suo sesso. "Com'è?"
"Caldo e umido, proprio come piace a me" rispose.
E questa volta, vennero all'unisono.
O'Connell non avrebbe saputo dire a che ora si fossero finalmente addormentati. Sapeva solo che, per la prima volta in cinque anni, il suo corpo era stato pienamente soddisfatto. Non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentito così bene. Così libero.
Cullò Catherine addormentata contro il suo petto e seppellì il viso tra i suoi capelli. Se avesse potuto, sarebbe morto lì e subito.
Perché con l'alba, che sarebbe inevitabilmente arrivata, sapeva che avrebbe dovuto lasciarla. E lui avrebbe preferito morire che abbandonarla un’altra volta.
Ma non aveva scelta.



CAPITOLO QUATTRO
            
di Valentina Zucchet

 
Catherine si svegliò al suono e alla sensazione del respiro di Michael nell'orecchio, al calore del suo corpo premuto contro il proprio.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva avuto il piacere di dormire accanto a lui. Come poteva dirgli che non ricordava, quando tutto ciò che faceva era ricordare il suo tocco? Il suo profumo? La sua essenza?
E come avrebbe mai potuto respingere l’uomo che amava con tutto il cuore?
Catherine aprì gli occhi e lo vide disteso sul fianco, il viso rivolto verso di lei. La gamba sinistra accoccolata fra le sue, il braccio sinistro appoggiato di traverso al suo corpo in una stretta possessiva.
D’impulso, gli scostò le ciocche castane dei capelli dalla fronte su cui depose un dolce bacio.
“Ti amo ancora” sussurrò lei, sapendo che lui non poteva sentirla. Era una caratteristica di Michael - una volta addormentato, solo la fine del mondo avrebbe potuto svegliarlo.
Lei sentì dei passi provenire dalla cucina.
Spaventata che fosse uno dei bambini oppure Rebecca a entrare nella stanza per svegliarla, si alzò in fretta e si vestì. Con un ultimo sguardo, assaporò l’immagine di lui nudo che dormiva nel suo letto, lanciò il copriletto sopra quel corpo dormiente e in punta di piedi uscì dalla stanza.
Non vide nessuno entrando in cucina.
Che strano.
Aveva sentito con chiarezza qualcuno poco prima.
Con un’espressione torva, entrò nel salotto dove avevano posizionato l’albero di Natale e i giocattoli. A destra dell’albero, nascosta nell’ombra, trovò sua figlia, Diana, mentre cullava la bambola ricevuta da Santa Claus.
Catherine si fermò, guardando il risultato del suo amore per Michael. Diana era un po’ piccola per i suoi quattro anni.
Aveva i capelli scuri, lunghi e mossi di Catherine e gli occhi grigio argento di Michael. Catherine non finiva mai di stupirsi di come una cosa così bella e intelligente fosse venuta fuori da lei.
Sorridendo, si avvicinò alla figlia che sollevò lo sguardo, gli occhi colmi di lacrime.
“Diana, cosa c’è?” chiese, preoccupata inginocchiandosi accanto a lei. Spostò la frangia scura dal viso di sua figlia.
“Non è venuto” piagnucolò Diana mentre una lacrima solitaria le rigava il viso.
“Ma certo che Santa Claus è venuto, tesoro. Hai la bambola e tutto il resto.”
“No, mami, lui non è venuto” ripeté, abbracciando la sua bambola ancora più stretta mentre altre lacrime rotolavano giù. “Era tutto ciò che volevo per Natale ma lui non è venuto.”
“Chi, tesoro?”
“Papà” singhiozzò lei.
Il respiro di Catherine si strozzò in gola nel sentire quella parola inaspettata. Diana aveva iniziato a chiedere di suo padre solo alcuni mesi prima, e il fatto che lui si fosse rifatto vivo durante la notte...
Era sufficiente a far rabbrividire una persona.
“Di che cosa stai parlando?” chiese Catherine alla figlia.
“Mi hai detto che Santa Claus poteva fare miracoli, ricordi, mami?”
“Sì.”
“E ti ho detto che volevo un miracolo speciale.”
“Credevo parlassi della bambola.”
Diana scosse la testa. “Volevo che Santa Claus mi portasse il mio papà. Volevo vedere i suoi occhi simili ai miei.”
Catherine circondò con le braccia la figlioletta e la strinse a sé. Non era sicura di cosa fare.
Una parte di lei voleva portare Diana a letto per farle incontrare il padre, e l’altra era troppo impaurita dalla possibile reazione di Michael.
Avrebbe dovuto dirglielo la notte scorsa, ma era diventata una codarda.
Una cosa era se abbandonava lei. Questo poteva affrontarlo. Ma ferire Diana era un’altra storia.
No, era meglio aspettare e dirglielo quando Diana non era presente. In quel caso sarebbe stata lei l'unica a soffrire se Michael avesse imboccato la porta. Di nuovo.
Con la punta dello scialle, Catherine asciugò gli occhi di Diana. “Niente lacrime a Natale, okay?”
Diana tirò su con il naso.
Depose un bacio sulla testolina scura di Diana e la strinse forte a sé. “Dopo colazione parlerò con Santa Claus e vedrò cosa posso fare.”
“Ma è già tornato al Polo Nord.”
“Lo so, tesoro, ma nessuno ti ha mai detto che le mamme hanno un modo speciale per informare Santa Claus su cosa vogliono i loro bimbi?”
Diana si asciugò le lacrime con il dorso della mano. “Dopo colazione?”
Catherine annuì. “Tieni le dita incrociate e magari lui riuscirà a fare qualcosa.”
“Lo farò. Promesso.”
Sorrise a quegli occhi grigio argento che brillavano pieni d'innocenza. “Brava bimba. Ora vai a controllare le tue calze e vedi cos’altro ti ha lasciato Santa Claus, intanto io preparo la colazione.”
Diana si liberò in fretta dall’abbraccio e Catherine si alzò lentamente in piedi.
In realtà, si sentiva male. Lo stomaco stretto in una morsa. Come avrebbe fatto a dirlo a Michael?
Gli sarebbe importato?
Prese un profondo respiro per farsi coraggio, sapeva che in un modo o nell’altro doveva dirglielo. Persino un furfante come lui aveva il diritto di sapere di essere il padre di una bellissima bambina che non voleva altro che conoscerlo.
“Solo non ferirla” bisbigliò. “Perché se lo farai, ti ucciderò.”

 
O’Connell si risvegliò lentamente all’aroma di pancetta e caffè, e al suono di risate fanciullesche al di là della porta.
All’inizio pensò fosse un sogno.
Quante volte aveva desiderato con tutto se stesso vivere un risveglio come questo?
Più di quante ne avesse potuto immaginare.
“Catherine, devo aggiungere qualche posto a tavola per chiunque fosse alla porta la scorsa notte? Non sapevo se lui, lei o loro si sarebbero trattenuti, oppure no.”
Lui sentì Catherine borbottare una risposta attraverso i muri, ma non riuscì a capire nessuna delle sue parole.
All’improvviso il ricordo della notte precedente irruppe dentro di lui.
Era reale. Tutto. Non si trattava di un sogno. Difatti, era la mattina di Natale e lui stava dormendo nel letto di Catherine.
O’Connell riappoggiò la testa sul cuscino pervaso da un’intensa gioia. Aveva voglia di gridare o di cantare, di fare qualcosa.
Qualunque cosa pur di festeggiare questo evento glorioso!
D’impulso, avvicinò il cuscino di Catherine a sé e inalò il suo dolce profumo che sapeva di sole.
Intossicato, ascoltò i bambini cantare “God Rest Ye Merry Gentlemen” mentre qualcuno faceva tintinnare la porcellana e l’argenteria.
“Non è un sogno” mormorò.
Si lasciò scappare una risatina mentre un’ondata di pura euforia invadeva ogni parte di lui. Aveva ricevuto il suo miracolo di Natale.
Sorridendo, si alzò dal letto e si vestì, poi rifece il letto. Catherine si era sempre lamentata del fatto che lui appallottolava le lenzuola e lei odiava un letto disordinato.
Questo sarebbe stato il suo regalo per lei.
Lasciò la camera con prudenza, assicurandosi che nessuno lo vedesse nel timore che Catherine avesse dovuto spiegare la faccenda. L’ultima cosa di cui lei aveva bisogno era una reputazione infangata, e l’ultima di cui aveva bisogno lui erano le noiose domande a cui non poteva rispondere.
Vide le scale alle sue spalle e fece finta di arrivare da una delle stanze al piano superiore.
Quando arrivò alla porta della cucina, vide Catherine di fronte ai fornelli che friggeva le uova.
Si deliziò alla vista della figura slanciata. Aveva legato i lunghi capelli in una treccia avvolta sulla sommità della testa per non averli davanti agli occhi.
Il vestito verde scuro abbracciava ogni curva a cui lui si era avvinghiato la notte precedente.
E uno scialle bianco le avvolgeva piacevolmente le spalle.
Non aveva mai visto una figura così magnifica, e desiderò di poter rimanere lì per sempre.
“Rebecca?” chiamò Catherine, allontanandosi dai fornelli e guardando verso l’ingresso dalla parte opposta della stanza. “I bambini sono già fuori?”
“Stavano facendo gli angeli sulla neve, l’ultima volta che ho controllato” disse una donna, entrando nella stanza. La graziosa brunetta si fermò di colpo non appena lo vide.
Catherine colse lo sguardo della donna e si voltò per guardarlo.
“Giorno” le salutò.
Catherine arrossì, e a lui non sfuggì la luce che comparve negli occhi della piccola brunetta.
“Giorno” rispose la brunetta in modo allusivo.
Catherine si schiarì la voce. “Rebecca, è lui il visitatore della notte scorsa.”
“Piacere di conoscervi” disse Rebecca. “Mr...?”
“Burdette” replicò lui, scegliendo il suo ultimo pseudonimo. “Tyler Burdette.”
Lanciò un'occhiata a Catherine, che disapprovò il suo nome.
“Aggiungo un piatto a tavola per voi, Mr. Burdette” esclamò Rebecca.
Quando furono di nuovo soli, Catherine gli si avvicinò, sventolando pericolosamente una spatola gocciolante grasso caldo accanto al suo naso.
“Tyler Burdette?” chiese con un tono stizzito. “Devi dirmi qualcosa?”
Si trattava di una domanda tendenziosa e non era sicuro di come rispondere. Fortunatamente un altro visitatore, un uomo, gli concesse alcuni secondi per riflettere.
Ma a essere onesti, tutto ciò a cui lui riuscì a pensare fu che l’elegante uomo brizzolato aveva fissato la sua Catherine un po’ troppo a lungo.
“Miss Catherine?”
“Sceriffo McCall” disse lei, enfatizzando il titolo, senza dubitare della sua reazione.
E funzionò. O’Connell si mise subito in guardia.
Dall'espressione sul viso dell’uomo era chiaro che voleva chiedere qualcosa di personale a Catherine.
Peggio, l’uomo balbettò e si mosse nervosamente prima di uscirsene con un “Sono venuto solo per la mia quotidiana tazza di caffè.”
Lo sguardo di O’Connell si fece più sottile. Quel maledetto uomo si era innamorato di sua moglie.
Trasalì quando un’immagine di lei nelle braccia dello sceriffo investì la sua mente.
Sarebbero mai terminate le offese?
Mentre Catherine andava a preparare una tazza di caffè, lo sceriffo guardò O’Connell. “Come va?” chiese sufficientemente affabile.
“Va bene, Sceriffo” rispose O’Connell, cercando di rimanere calmo nonostante la voglia di strangolare quell’uomo. “E voi?”
Lo sceriffo aggrottò le sopracciglia mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. “Ci siamo già visti da qualche parte?”
Probabilmente su uno dei centinaia, o giù di lì, mandati di cattura, ma non osò dirlo. Invece, O’Connell scosse la testa. “Non conosco nessuno sceriffo.” Era diventata un’abitudine evitarli in qualsiasi modo.
“No?” chiese lo sceriffo. “Mi siete veramente familiare. Avete qualche parente a Reno?”
O’Connell scosse la testa. “Non che io sappia.”
Sembrò accettarlo. Malgrado ciò fece un passo in avanti e tese la mano. “Dooley McCall.”
“Tyler Burdette” rispose stringendola nella sua.
“Burdette” ripeté il capitano. “Nah, non credo di ricordarti dopo tutto.”
Catherine porse il caffè allo sceriffo.
“Grazie, Miss Catherine. Continuo a ripetere ai miei vice che nessuno al mondo prepara un caffè migliore del vostro.”
“Grazie, Sceriffo.”
A O’Connell non sfuggì il rossore sulle guance di lei. Per un attimo dovette sforzarsi di respirare.
Come si permetteva di arrossire per un altro uomo! Anche se era stato lontano per cinque anni, non le dava comunque il diritto di farlo per un altro.
Lei era sua moglie, non dello sceriffo.
Lo sceriffo annuì, prese il suo caffè e andò via.
O’Connell non perse tempo a sbirciare verso l’ingresso per vedere lo sceriffo sedersi in salotto con un giornale, sorseggiando il suo caffè come se fosse tutto a posto.
“Cosa diavolo ci fa qui uno sceriffo?” chiese a Catherine a bassa voce.
Gli diede un’occhiata altezzosa. “Lui vive qui.”
“Vive qui?” ripeté O'Connell.
“Gestisco una pensione, ricordi? È uno dei miei inquilini fissi.”
“E perché lo lasceresti vivere qui?”
“Non so” esclamò sarcastica. “Magari mi piace averlo qui perché tiene lontane le canaglie” concluse fissandolo, “e paga due mesi di affitto in anticipo.”
A Catherine non sfuggì lo sguardo d’odio di Michael nei suoi confronti. Leccando le sue labbra, lei provò una sensazione di diffidenza correrle giù per la schiena.
Michael era fin troppo interessato allo sceriffo.
C’era qualcosa che non quadrava.
“Sei ricercato?” chiese improvvisamente.
Lui la fissò con quegli occhi trasparenti grigio argento. “Dipende” disse con voce seria. “Speravo fossi tu a cercarmi.”
Le si mozzò il respiro. Osava davvero sperare che lui potesse realmente vivere con lei e Diana?
“E se l’avessi fatto?” chiese.
Guardò di nuovo lo sceriffo. “Non è un buon momento. Devo proprio andare via.”
“Via?” annaspò lei. “Non puoi andartene.”
“Perché no?”
“Perché sei appena arrivato. Non puoi semplicemente presentarti alla porta d’ingresso, rigirarti nel mio letto, e poi andartene quando sorge il sole. Pensavo avessimo condiviso qualcosa di speciale la notte scorsa. Oppure erano ancora tutte bugie?”
Lui fece una smorfia di dolore come se lei l’avesse colpito. “Non ti ho mai mentito, Catherine.”
“No. Ma hai mentito al mio inquilino e alla mia governante. Non è forse vero, Mr. Tyler Burdette?”
“Miss Catherine, miss Catherine?” Un bambino agitato entrò di corsa in cucina con le bisacce di Pete in mano. La testolina bionda andava su e giù mentre il bambino saltava. “Ho appena trovato questo di fronte alla porta, e guardi” disse, mostrandone una aperta.
“Sono piene di soldi! Posso tenerli?”
O’Connell si paralizzò mentre tutti i pezzi venivano messi insieme nella sua mente.
“Ho trovato questo piccolo orfanotrofio in un paese chiamato Redwood” aveva detto Pete. “Ti piacerebbe moltissimo, ragazzo. Ci si sente proprio come a casa.”
O’Connell imprecò mentre il suo stomaco si contorceva. Pete sapeva! L’aveva mandato di proposito a cercare Catherine.
Il panico dilagò dentro di lui. Questo significava che Pete non era lontano. Doveva portarla in salvo prima che suo fratello si facesse vivo e la usasse per costringerlo a rapinare di nuovo. Ma come? Lei non avrebbe mai lasciato il suo lavoro o gli orfanelli.
“Va male” mormorò. “Molto male.”
Catherine guardò dentro le bisacce. “Da dove provengono?” chiese al bambino.
“Mi è stato detto che sono stati rubati a te” si intromise O’Connell mentre ricontrollava dov’era seduto lo sceriffo.
Guardandolo, Catherine si accigliò. “Da chi?”
“Sono tuoi?” chiese O’Connell, cercando di rimandare l’inevitabile spiegazione su come quei soldi fossero finiti in mano sua. “Sei stata derubata?”
“Sì.  Ma come li hai avuti?”
Qualunque cosa pur di rimandare l’inevitabile.
Lo guardò con severità. “Li hai presi tu?”
“No!” urlò. “Come puoi anche solo chiederlo?”
“Beh, cosa dovrei pensare?” chiese lei, appoggiando le bisacce sopra il tavolo e mandando fuori il bambino. Si spostò fino a mettersi di fronte a lui, le mani sui fianchi. “Credevo di conoscerti, e invece ogni volta che sbatto le palpebre imparo qualcosa di te che mi spaventa. Ora dimmi perché hai proprio tu il denaro.”
O’Connell non ne ebbe il tempo. Prima che potesse dire una parola, la porta sul retro si aprì mostrando Pete con in braccio una delle bambine di Catherine.
“Toc, toc” biascicò Pete. Lanciò un sorriso maligno a O’Connell, poi sollevò il visino della bimba in modo che O’Connell potesse vedere i suoi occhi colmi di lacrime. “Guarda cosa ha trovato in giardino il vecchio zio Pete.”


CAPITOLO CINQUE

di Valentina Zucchet

 
O’Connell sentì l’aria abbandonare i suoi polmoni quando incontrò un paio di occhi indistinguibili dai suoi.
Erano posizionati in un viso uguale a quello di Catherine, proprio sotto i riccioli castano scuro sparpagliati lungo le braccia di Pete.
In un baleno, riconobbe sua figlia.
Singhiozzando senza controllo, la bambina guardò verso Catherine. “Aiutami, mami! Fa' che l’uomo cattivo mi lasci andare!”
Catherine fece un passo verso la bambina, ma O’Connell le strinse il braccio e la fece fermare.
Nessuno si avvicinava a suo fratello. Se Catherine avesse provato a prendere la bambina, nessuno sapeva cosa Pete avrebbe potuto farle.
“Lasciala andare, Pete” disse O’Connell, la sua voce calma tradiva lo stato labile del suo corpo e della mente.
Pete fece un ghigno. “Te l’ho detto a Oak River, non puoi sfuggirmi, ragazzo. Ora te lo chiedo di nuovo, hai intenzione di venire con me o cosa?”
“Oak River?” sentì Catherine, il fiato corto.
Era il paese in cui lui l’aveva lasciata. Solo allora, Pete aveva fatto leva su Catherine. O andava con Pete a derubare un’altra banca oppure avrebbe fatto del male a sua moglie.
Dopo la rapina, O’Connell non aveva avuto la forza di tornare da lei. Non poteva affrontarla dopo ciò che aveva fatto per Pete.
Peggio, sapeva che prima o poi Pete si sarebbe fatto vivo di nuovo con la stessa minaccia.
E l’ultima cosa che voleva era uccidere suo fratello per aver fatto del male a sua moglie.
Finché ci fosse stata vita nel suo corpo, avrebbe protetto la sua Catherine.
Tu sei la mia seconda possibilità.  Era ciò che O’Connell le aveva detto durante la notte di nozze. Catherine non sapeva a che cosa si riferisse. Ma lui sì.
Per un periodo, era stato abbastanza stupido da crederci. Ma le seconde occasioni sono per gli sciocchi.
E Catherine non sarebbe più stata sua.
“Verrò con te, Pete. Solo, mettila giù.”
Pete annuì. “Bravo, ragazzo. Sapevo che avresti visto le cose come me, se le avessi rincontrate. Pete toccò le guance della bambina e voltò la testa per poterla guardare negli occhi. “Non trovi sia carina?”
La collera pervase ogni cellula del corpo di O’Connell. “Toglile le mani di dosso, Pete, o ti ucciderò.”
Suo fratello incrociò il suo sguardo e per molti secondi si fissarono capendosi alla perfezione. “Sai, ragazzo, credo che lo faresti.”
“Ci puoi scommettere.”
O’Connell non riprese a respirare finché Pete non lasciò andare la bambina, e lei corse tra le braccia aperte di Catherine.
Pete guardò Catherine e la bambina. “Visto che dopotutto è Natale, ti lascio cinque minuti con loro. Ti aspetto fuori accanto ai cavalli.”
O’Connell aspettò che uscisse prima di girarsi ad affrontare Catherine, che stringeva la bambina al petto.
Sua figlia.
Sentì così tanto orgoglio e gioia che pensava che il cuore potesse esplodere. Ma la sua felicità morì quando si ricordò che suo fratello lo stava aspettando fuori.
O’Connell allungò una mano per toccare i riccioli castano scuro. La morbidezza dei capelli di sua figlia penetrò dentro di lui, scavandosi un posto nel suo cuore.
“È bellissima” sussurrò.
Catherine vide il dolore nel suo profondo e notò la tensione della sua mano sui capelli di Diana.
“Si chiama Diana.”
Lui sorrise amaramente. “Il nome di tua madre?”
Lei annuì.
“Perché non mi hai detto di lei in Nevada?” chiese, gli occhi velati.
“Non sapevo di essere incinta fino a quando te ne sei andato.” Lei socchiuse gli occhi guardandolo perché aveva finalmente capito cosa che era successo. “Te ne sei andato per colpa sua, vero?”
“È mio fratello” disse semplicemente. “Non avevo altra scelta.”
“Abbiamo sempre una scelta.”
Lui scosse la testa. “No, non è vero. Non sai che tipo di uomo è mio fratello, ma io sì. So che è crudele, ma glielo devo. Se non fosse stato per Pete, non sarei mai sopravvissuto alla morte dei nostri genitori. È duro perché è il mondo che l’ha reso così.”
“È duro perché lui è...”
O’Connell fermò le sue parole posando un dito sulle sue labbra. Con il cuore a pezzi, si avvicinò, la baciò dolcemente sulle labbra, e mormorò: “Fino al giorno in cui morirò, vi ricorderò sempre.”
Toccò i capelli di Diana per l’ultima volta, poi si girò e andò via.
O’Connell incontrò Pete vicino al suo pinto, che Pete doveva aver sellato. Suo fratello era tanto biondo e di carnagione chiara quanto O’Connell era scuro.
Loro due erano sempre stati opposti in tutto.
Persino gli occhi di Pete erano diversi, color nocciola.
E mai prima d’ora O’Connell aveva provato così tanto risentimento e odio per il fratello che lo aveva protetto in passato.
“Perché non mi lasci semplicemente andare?” chiese a Pete. “Ho pagato il mio debito con te centinaia di volte oramai.”
Pete lo fulminò con lo sguardo. “Tu sei la mia famiglia, ragazzo. Volente o nolente, siamo solo tu e io.”  Pete fece un ghigno. “In più, sei l’unico uomo che riesca a far saltare in aria una cassaforte senza distruggere metà del denaro.”
“Non sei divertente.”
Pete gli diede una pacca sulla spalla. “Ora, non ti arrabbiare con me, ragazzo. Puoi avere di meglio che lei. Te l’ho detto anni fa. Non è neanche abbastanza carina per te.”
Afferrò il davanti della camicia di Pete. “Non sono più un ragazzo, Pete, e non ho più paura di te. Catherine è mia moglie e lei merita il tuo rispetto. Se mai dovessi dire qualcos’altro contro di lei, Dio mi è testimone, ti farò fuori.”
Per la prima volta in vita sua, vide una scintilla di paura negli occhi di Pete. “Va bene, ragazzo. Tutto ciò che vuoi.”
O’Connell lo lasciò andare. Aveva appena fatto un passo quando sentì la porta principale della pensione aprirsi. Lo sceriffo uscì a grandi falcate attraverso il porticato con due uomini in divisa.
E tutti e tre avevano il fucile in mano.
Dalle espressioni dure e determinate sulle loro facce, lui sapeva cosa volevano.
Lui e Pete.
Gli si gelò il sangue.
Lo sceriffo fissò Pete mentre gli puntavano i fucili contro. “Pete O’Connell” disse lentamente.
“Non mi sarei mai aspettato di ricevere un così bel regalo di Natale. Immaginate la taglia di entrambi i fratelli O’Connell.”
Pete imprecò, e poi andò in cerca della sua pistola.
O’Connell non pensò. Si limitò a reagire. Era stanco degli schemi di suo fratello, stanco delle vite che Pete aveva preso senza nessuna ragione.
Era tempo di porre fine alla cosa. Afferrò la pistola di suo fratello e i due combatterono per averla.
Catherine guardò i due uomini azzuffarsi dalla finestra del salotto. Aveva mandato Diana
al piano di sopra con Rebecca, subito dopo aveva fatto un cenno allo sceriffo per fargli capire che fuori poteva esserci un ricercato.
Premette la mano sulle labbra mentre il terrore si diffondeva in lei guardando i due uomini combattere per il possesso dell'arma. Che cosa aveva fatto?
Un colpo di pistola sibilò.
Catherine smise di respirare. Michael e Pete si pietrificarono e bloccarono lo sguardo.
Il tempo sembrava sospeso mentre lei aspettava.
Chi era stato colpito?
Poi Michael barcollò all’indietro, e lei vide la macchia rossa sul davanti della camicia proprio prima che lui crollasse al suolo.
“No!” urlò lei mentre le lacrime le velavano gli occhi. Non poteva essere Michael! Non poteva.
Pete abbassò semplicemente lo sguardo verso di lui, la faccia indecifrabile.
Lasciando cadere lo scialle, Catherine corse verso la porta, scese giù per le scale e uscì in giardino per raggiungere Michael.
Suo fratello era in piedi, agghiacciato, mentre lo sceriffo e i suoi uomini gli mettevano le manette ai polsi.
Piangendo, Catherine si inginocchiò accanto a Michael. Terrorizzata e tremante, gli toccò la fronte fredda. “Michael?” ansimò.
Lui aprì gli occhi e la guardò. In quello sguardo Catherine vide il suo amore per lei. Aprì la bocca per parlare, ma lei gli premette le dita sulle labbra.
“Risparmia le forze” mormorò, poi rivolse lo sguardo allo sceriffo McCall, che stava fissando rabbioso Pete.
“Ho sempre sentito dire che eri malvagio, ma diamine, sparare a tuo fratello a Natale? Sei un uomo malato, O’Connell” disse lo sceriffo a Pete.
Con il viso pallido, Pete diede un’occhiata a lei e a Michael, poi di nuovo allo sceriffo.
“Cosa sei, stupido? Sembriamo fratelli?” disse Pete lentamente. “Mio fratello è stato ucciso a Shiloh il mese scorso durante la nostra ultima rapina. E c'è addirittura qualche allevatore di vacche che lo crede un cacciatore di taglie. Il bastardo mi è stato alle calcagna per settimane. Neanche conosco il suo nome.” Pete incrociò lo sguardo di lei, e poi le fece venire un colpo quando disse “Ma credo che la signora laggiù lo conosca. Chiedete a lei chi è.”
Lo sceriffo la fissò con uno sguardo indagatore. “È la verità, Miss Catherine? Conoscete quest’uomo?”
Un'ondata di panico la travolse quando capì che l'intero destino di Michael era nelle sue mani.
Cosa doveva rispondere?
Guardò in basso lo sguardo calmo e ponderato di Michael. Si aspettava che lo tradisse. Poteva leggerglielo chiaramente negli occhi mentre aspettava che lo denunciasse.
Ma lei non poteva. Non sapeva ancora tutto, ma prima che lo cedesse allo sceriffo, voleva delle lunghe risposte arretrate. Risposte che non sarebbe stato in grado di darle chiuso dietro le sbarre.
“È mio marito” rispose onestamente. “Michael O’Callahan.”
Lo sceriffo la fissò con uno sguardo severo. “Pensavo aveste detto che vostro marito se l’era filata”.
“L’ha fatto” confermò, guardando di nuovo Michael. “Ma è tornato a casa da me la notte scorsa.”
“Farley” urlò lo sceriffo al suo vice. “Aiutami a portare dentro il marito di miss Catherine mentre Ted sbatte in cella O’Connell.”
Lo sceriffo la aiutò ad alzarsi.
“Dove vuole che lo portiamo?” chiese lo sceriffo.
“Nella mia stanza” replicò, facendo strada verso la pensione.
           
 
Michael O’Connell non disse niente per il resto della giornata. La sua testa era colma dei fatti che erano successi.
Perché Pete aveva mentito?
Perché Catherine l’aveva protetto, quando poteva benissimo vederlo marcire in prigione per i prossimi dieci o vent’anni?
Niente aveva senso, e peggio, Catherine aveva evitato di entrare nella camera per non dover rispondere alle sue domande. Se ne fosse stato capace, le sarebbe corso  dietro, ma era troppo debole per fare qualcosa di diverso dal respirare.
La porta della camera si aprì scricchiolando. Lui guardò e vide una testolina scura entrare.
Sorrise alla vista della figlia all’entrata.
Quando Diana lo vide guardare dalla sua parte, il suo volto si aprì in un sorriso da un orecchio all'altro.
Apriva e chiudeva la porta mentre si rigirava sulla porta d’ingresso. “Sei veramente il mio papà?” chiese.
“Cosa ha detto la tua mamma?”
“Ha detto che Santa Claus ti ha portato da me la notte scorsa.”
O’Connell sorrise alle sue parole, ma non poté fare di più perché il dolore lo lasciò senza respiro. Pete era stato chiamato in molti modi durante gli anni, ma questa era la prima volta che qualcuno si riferiva a suo fratello con il nome di Santa Claus.
“Sì” rispose con una smorfia. “Penso l’abbia fatto.”
Lasciando il pomello della porta, la bimba corse per la stanza per andarsi a sedere accanto a lui nel letto.  Trasalì al dolore che gli provocò smuovendo il materasso, ma in realtà non gli interessava. Per avere sua figlia accanto a lui, avrebbe sofferto molto di più di così.
“Sei davvero un bell’uomo.”
O’Connell sorrise alle sue parole. Nessuno glielo aveva mai detto prima d’ora.
Lei allungò una manina per toccargli le palpebre. “Hai gli occhi come i miei. Mami me l’ha detto.”
Lui circondò la sua guancia soffice, stupito da ciò che vedeva nel suo viso.
Era così strano vedere parte di lui combinata con parte di Catherine. Mai nella sua vita aveva visto una bambina così bella. “Li abbiamo presi dalla mia mamma.”
“Anche lei era bella?”
“Come te, era bella come un angelo.”
“Diana!”
Lui sobbalzò al suono del rimprovero di Catherine.
“Ti avevo detto di non disturbarlo.”
“Mi dispiace, mami.”
“Non mi sta disturbando” disse lui, togliendo la mano dal viso di lei.
Catherine la condusse fuori lo stesso. All’inizio pensò che anche lei se ne sarebbe andata, ma restò esitante sulla porta.
“Perché non mi hai detto chi eri in realtà?” chiese.
Lui la fissò. “Mi piaceva l’uomo che vedevi in me. Ai tuoi occhi, ero un uomo decente, non un signor nessuno rapinatore ricercato dalla legge. L’ultima cosa che volevo, era farti cambiare idea su di me e farmi odiare da te.”
“Quindi mi hai mentito?”
“Non proprio. Solo non ti ho detto tutto.”
Lei scosse la testa. “Ho sempre saputo che mi stavi nascondendo qualcosa. Ma non ero mai sicura di cosa fosse. Buffo, pensavo amassi un’altra donna, non che avessi un fratello lunatico.”
Lui la fissò con uno sguardo severo e pieno di significato. “Non avrei mai potuto amare un’altra se non te.”
“Lo giuri?”
“Sulla mia vita.”
E poi lei gli regalò uno dei suoi sorrisi innamorati che l’avevano riscaldato nei momenti più bui. “Quindi, dimmi, Michael, dove andiamo adesso?”


EPILOGO

di Valentina Zucchet
           
Vigilia di Natale, due anni dopo
           
“Ehi, papi, dove andiamo adesso?”
Michael alzò lo sguardo alla domanda di Frank, nove anni. Dopo che Catherine gli aveva concesso la sua seconda occasione, loro due avevano deciso di adottare gli orfani di cui si occupava. E ogni giorno degli ultimi due anni, lui aveva trascorso ogni minuto libero per rimediare al tempo in cui erano stati separati.
Lei non avrebbe mai più dubitato di lui, e lui si sarebbe goduto la sua famiglia e la sua casa.
“Credo che faresti meglio a chiedere a tua madre” disse a Frank. “Catherine?”
“È la grande casa bianca alla fine della strada” disse lei camminando come una papera al loro fianco lungo la stazione ferroviaria.
Michael sorrise alla vista del suo corpo gravido. Non l'aveva potuta vedere portare in grembo Diana, ma ora se la stava godendo appieno.
Dal modo in cui Catherine appariva, avrebbero avuto ancora più di due mesi di tempo prima della nascita del bambino. Era un tempo sufficiente per andare a trovare i genitori di lei con la loro sfilza di bambini, e poi tornare a casa per la nascita del più piccolo.
Quattro degli orfani vivevano ancora con loro. Cinque bambini in totale compresa Diana. Michael sorrise quando li vide salire a bordo del carro che aveva affittato. Aveva sempre desiderato una famiglia numerosa.
“Sei nervosa?” chiese a Catherine mentre le metteva un braccio rassicurante intorno alle spalle.
Lei non vedeva i suoi genitori dal giorno in cui erano fuggiti per sposarsi quasi sette anni prima.
“Un po’. E tu?”
“Un po’.”
Anche così, lui era troppo riconoscente per la sua vita per preoccuparsi anche solo minimamente della visita ai suoi suoceri. Stentava ancora a credere che Pete avesse mentito per salvarlo.
“Ho rovinato abbastanza la tua vita, ragazzo. Questo è un posto dove penso farei meglio ad andare da solo” gli aveva detto Pete.
Pete sarebbe rimasto in prigione per molto tempo. Forse avrebbe reso suo fratello un uomo migliore. Tutto ciò che poteva fare era sperare che un giorno suo fratello avrebbe trovato la pace che meritava.
Michael stampò un bacio gentile sulla fronte di Catherine e prendendo la mano di Diana nella sua, la aiutò a salire sul carro.
Ogni giorno degli ultimi due anni, era stato riconoscente di avere sua moglie accanto, anche se era l’ultima cosa che meritava.
“Grazie, Cathy” mormorò, aiutandola a salire sul carro.
“Per cosa?” chiese lei.
“Per aver reso la mia vita degna di essere vissuta.”
Il sorriso di lei lo riscaldò fino alla punta dei piedi. “È stato un piacere, Mr. O’Callahan. Buon Natale.”
E sarebbe stato proprio un buon Natale. In questa vita esistevano le seconde occasioni e questa volta, Michael non avrebbe sprecato quella che gli era stata donata.


L'autrice:
EvJV1fbSherrilyn Kenyon è un'autrice ormai di culto in Germania, Inghilterra e Australia. Il suo sito internet registra 120.000 contatti la settimana. Fanucci Editore ha già pubblicato i primi 13 volumi della serie paranormal romance Dark Hunter. Con lo pseudonimo di Kinley MacGregor ha firmato romanzi storici, alcuni dei quali pubblicati in Italia nella collana I Romanzi Mondadori.


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3 commenti:

  1. Grazie alle ragazze per aver tradotto un racconto che è sì lungo, ma bellissimo. Buon Natale!

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  2. ecco l'ultima perla!davvero grazie a tutte per lo splendido lavoro che avete fatto!tantissimi auguri a tutte!

    RispondiElimina

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