Buongiorno Insaziabili!
Oggi per la rassegna "Romantic Xmas", l'immensa ROBERTA CIUFFI ci porta a Bagni nel 1882.
In "LE LUCI DI SAN SILVESTRO" Matilde e Danilo si terranno compagnia l'ultima notte dell'anno, regalandovi una lettura ricca di ironia, magia e speranza.
Non resta altro che leggere questo bellissimo racconto!
Buona lettura!
Bagni,
1882
Le voci allegre si stavano
avvicinando. Matilde sollevò il libro dalle ginocchia, un istante prima che la
porta si spalancasse e sua sorella Vittoria e il cognato entrassero nella
stanza. Non dovevano capire che aveva passato l'ora precedente a fissare nel
fuoco.
«Diamine, Matilde, quel romanzo
deve essere proprio interessante» disse Alberto, avvicinandosi alla rigida
poltroncina su cui era seduta. Cercò di sbirciarne il titolo ma lei lo nascose
tra le gonne.
«Non essere indiscreto!»
esclamò. «Ãˆ un romanzo francese.»
«Ah, allora capisco perché tu
non voglia farmelo vedere.»
Vittoria pose le mani sulla
spalliera della poltroncina. «Sei sicura di non voler venire?» chiese, la voce
di colpo seria. «Non sarà un grande ricevimento, sono sicura che nessuno
penserà male di te se parteciperai.»
Matilde sollevò una mano su
quella della sorella e la strinse, sorridendo. «Sono sicura. Per quest'anno
preferisco starmene tranquilla qui accanto al camino. Non ho grandi motivi per
festeggiare, vero? E non voglio mettere in imbarazzo nessuno con la necessitÃ
di porgermi le condoglianze o di moderare il divertimento per rispetto del mio
lutto, in una sera come questa.»
«Ma se vuoi, possiamo
restare...»
«Voi andate. Io starò
benissimo.»
Riuscì a mantenere il sorriso
finché la porta non si richiuse alle spalle della coppia, poi rilassò
faticosamente le labbra irrigidite. Grazie al cielo se ne erano andati. Grazie
al cielo era di nuovo sola.
Tornò a posare il libro in
grembo e, crollando con la testa contro la spalliera, chiuse gli occhi. Non ne
poteva più dei loro affettuosi tentativi di consolazione che la costringevano a
un atteggiamento di serenità che non provava e che le graffiava l'anima. Il
cielo volesse che si arrendessero e tornassero a casa loro.
Quello per lei non era il tempo
per essere serena, ma per soffrire. Perché pretendere che stesse bene, in un
momento simile? A due mesi dalla morte improvvisa del suo adorato Guglielmo? Era
una cosa troppo atroce da esigere, anche per garantire la tranquillità di chi
la circondava.
Si portò le mani sugli occhi,
respirando forte. Non doveva piangere. Nelle settimane passate aveva imparato
che piangere poteva essere non uno sfogo ma un'attività sfibrante, cui lei a
volte non sembrava in grado di mettere fine.
Due mesi erano passati, da quel
giorno terribile in cui le avevano portato il corpo di suo marito ormai privo
di vita. Lei aveva gridato senza controllo, si era aggrappata a lui
implorandolo di tornare indietro, gli aveva afferrato la testa pesante e
abbandonata cercando di guardare negli occhi spenti, finché qualcuno non
l'aveva strappata a lui, trascinandola in un'altra stanza dove le avevano dato
qualcosa che l'aveva fatta addormentare.
Aveva vissuto la settimana
seguente in una nebbia, mentre altri si prendevano cura degli obblighi
necessari: i contatti con la polizia, i documenti, le pratiche per il funerale
e l'inumazione. Aveva solo un ricordo vago di quei giorni, simile al sogno.
L'unico pensiero che occupava la sua mente era che Guglielmo, il suo adorato,
il suo amore, non c'era più. Morto! Assassinato sulla strada a colpi di pistola
da un folle che doveva averlo scambiato per un altro.
Che importava che i giorni si
succedessero, che il sole sorgesse e tramontasse? E che tutta quella serie di
giorni trascinasse alla fine un anno che lei avrebbe sempre ricordato come il
più tragico della sua vita, per poi rinascere con la falsa etichetta di anno
nuovo?
Con la morte di Guglielmo era
morta anche lei. La sua vita si sarebbe fermata per sempre in quel giorno del
1882. Non ci sarebbe mai più stato un anno nuovo per lei.
Il rumore delle tavole di legno
che scorrevano davanti al negozio trovò i commessi della gioielleria Barca
intenti a prepararsi per uscire. In quella giornata speciale ‒ al
contrario di essere accorciato ‒ il loro orario era stato
allungato di necessità , per gli ultimi clienti che venivano ad acquistare
gioielli da presentare alle loro amate allo scoccare della mezzanotte. Tutti
erano ansiosi di correre alle loro case o ai divertimenti.

Fu con un senso di panico,
perciò, che il capocommesso vide estrarre da quelle profondità un oggetto rettangolare
avvolto nella raffinata carta argento del negozio. Un articolo ordinato non era
stato ritirato! Né consegnato.
«E questo cos'è?» chiese il
signor Barca con la sua voce profonda. «Sul biglietto non c'è scritto.»
Costantino, il capocommesso, s'immobilizzò
con un braccio infilato nella manica del cappotto, mentre la sua mente lavorava
freneticamente per ricordare. S'illuminò in volto. «Ah, sì. Era l'ordine di
quel signore, Guglielmo Martini, il giornalista. Un regalo.»
«E perché è ancora qui?» Barca
sollevò un sopracciglio nero, cosa che faceva di frequente e gli conferiva
un'espressione diabolica.
«Non lo sa? È morto, è stato
assassinato due mesi fa. Era su tutti i giornali.»
«Non leggo la cronaca.» Barca
soppesò l'oggetto nella mano. «Di cosa si tratta?»
«Un ritratto. Voleva che fosse
incorniciato in una cornice d'argento smaltato, granati e lapislazzuli.»
Costantino fece un debole sorriso. «Era un uomo affabile.»
«Non ne dubito. Ma la cornice è
stata pagata?»
«Doveva pagare al ritiro. Non
l'abbiamo rimessa in vendita perché aspettavamo di sapere se qualcuno degli
eredi sarebbe passato.»
«Capisco.» In quella parola
erano contenuti talmente tanti sottintesi che nessuno dei commessi osò muoversi
o parlare, finché il loro datore di lavoro non sollevò lo sguardo all'orologio
alla parete. «Qualcuno dovrebbe andare a portare questo ritratto alla vedova»
disse in tono grave.
Un panico sottile e silenzioso
corse per il vasto negozio. Gli sguardi dei commessi si volsero alla signora
Natalina, che continuava inconsapevole nel suo lavoro di riordino.
«Andrò io» annunciò il signor
Barca, rompendo il silenzio e la strana immobilità che lo circondava.
Furono emessi sospiri, braccia
proseguirono il loro percorso nelle maniche, giacche furono strappate agli
appendiabiti, cappelli furono infilati e sciarpe avvolte attorno a colli
freddolosi. Costantino gli scrisse l'indirizzo del cliente e poi si sbrigò a
uscire, temendo che il padrone cambiasse idea.
«Allora noi andiamo. Buon anno
nuovo, signor Barca.»
«Buon anno nuovo a voi.»
Danilo Barca restò solo con la
signora Natalina. «Signora, è meglio che vada anche lei» disse. La donna
sollevò la testa con espressione stupita. «Si è fatto tardi. Non vorrÃ
incappare nelle comitive di festaioli?»
La signora, una vedova anziana
che probabilmente non aveva nessuno ad aspettarla a casa, se ne andò quasi a
malincuore. Lui stesso non aveva nessuno ad aspettarlo. Danilo spense le ultime
luci, uscì e chiuse a chiave la porta. Finì di tirare le tavole di legno
davanti alle vetrine e, infine, chiuse la doppia cancellata di ferro che,
durante il giorno, ospitava i manifesti dei café-chantant cittadini.
Il pacchetto gli gonfiava la
tasca interna del cappotto.
Almeno avrebbe avuto modo di
impiegare un'ora di quella notte che sembrava eterna. Dopo sarebbe andato a
casa, dove la sua governante doveva avergli preparato una cena fredda che
avrebbe mangiato nello studio, davanti al camino, con un buon bicchiere di vino
rosso, per poi passare a un trattato di storia che stava prendendo la polvere
da troppo tempo sulla sua scrivania. Sembrava un buon momento per affrontarlo.
Così, forse, si sarebbe addormentato prima dei fatidici dodici colpi della
mezzanotte, che la sua pendola avrebbe suonato in una casa vuota.
Era un peccato non poter andare
in un teatro, o a un ristorante, ma di sicuro vi avrebbe trovato qualche
conoscente che si sarebbe sentito in dovere di trascinarlo in un trattenimento
che non gli interessava. Durante le festività i solitari suscitano sempre molta
pietà e i tentativi dei volenterosi di mettere fine a quella solitudine sono di
solito imbarazzanti e inopportuni. Da lungo tempo ormai lui considerava la
faccenda del cambio dell'anno come un mero artificio che, per quanto lo
riguardava, comportava solo la sostituzione del calendario in ufficio.
Una serata di San Silvestro
particolarmente illuminante, quanto straziante, anni prima, l'aveva lasciato
con un senso di fastidio verso quel particolare evento che rasentava la
repulsione. Le spiegazioni, le lacrime e le recriminazioni si erano perse nel
tempo, così come i sentimenti che aveva provato per quella signora, mentre
l'avversione per quel particolare periodo dell'anno sopravviveva, intatto. Non
desiderava compagnia, per quella sera. Nessuna donna da corteggiare, nessuno
sguardo allegro da incontrare.
E poi, aveva una buona azione
da compiere.
Guglielmo Martini. Ricordava il
nome, dai suoi registri, ma non pensava di averlo mai incontrato. Chissà se era
giovane o anziano. Il lutto comunque era recente e sua moglie avrebbe avuto
piacere di ricevere il suo regalo. Sperava che le fosse di qualche
consolazione.
L'indirizzo segnato sul
biglietto non era lontano. Ci si poteva arrivare tranquillamente a piedi. Meglio
che prendere una carrozza e trovarsi intrappolato nel traffico dei gaudenti che
si recavano a cene e intrattenimenti. Davanti al portone di un nobile locale
c'era una tale ressa di vetture che i lacchè stavano impazzendo per riuscire a
districarle e mandarle alle rimesse sul retro del palazzo.
Danilo scosse il capo. Tanta
frenetica ricerca di allegria gli metteva tristezza.

Nessuna luce illuminava le
finestre della facciata e le torce inastate sulla parete erano spente. Danilo suonò
il campanello e dopo qualche istante un anziano custode in livrea da lutto arrivò
ad aprire.
«Vengo dalla gioielleria Barca»
annunciò. «Ho un pacchetto da consegnare alla signora.»
L'uomo tese la mano. «Potete
dare a me.»
Danilo stava per sfilare il
pacchetto dalla tasca interna, quando qualcosa lo fermò. «No» disse. «Ãˆ una consegna
personale.»
Il custode lo considerò per
qualche istante, prima di decidersi a spalancare il portone. Intanto Danilo si
chiedeva cosa gli avesse fatto uscire quelle parole di bocca. Perché non si fosse
limitato a consegnare il ritratto al domestico per poi andarsene per i fatti
suoi.
L'uomo lo affidò a un lacchè,
anche questo in lutto, che lo condusse attraverso un cortile privo di segni di
festività e su per una scala ricurva, fino a un lungo corridoio buio. Si fermò
davanti a una porta chiusa.
Il senso di oppressione che era
andato via via crescendo in Danilo arrivò al culmine quando la porta si aprì su
un salotto illuminato solo da una lampada fioca e il fuoco di un caminetto. Ovunque
c'erano i segni del lutto. Quadri coperti, tende tirate, paramenti scuri. Anche
la figura presso il caminetto, che si girò a mezzo nel sentirli entrare, era
come affogata nel lutto, immersa in quelli che gli parvero metri e metri di
stoffa nera. Una cuffia di merletto nero le copriva il capo, lasciando ricadere
dei pizzi sulla fronte e sulle tempie. Le mani, minuscole e delicate, erano
ricoperte da mezzi guanti pure neri. Tra tutto quel trionfo di tetraggine, il
suo viso triangolare risplendeva, giovane e pallido. Non c'era abbastanza luce
per capire di che colore fossero i suoi occhi, infossati nelle orbite, sopra
gli zigomi sporgenti e le guance smunte. Più che una vedova in lutto, la donna
stessa sembrava un cadavere appena levatosi dalla tomba.
Danilo rabbrividì. Lui non
amava il clima festoso di quella notte, ma questo era eccessivo.
«Sì, Luigi, cosa c'è?» chiese
lei con voce sottile.
«C'è un signore che chiede di
voi. Ha una consegna da fare.»
E con questo il lacchè si
ritirò, lasciandolo solo in quella sorta di sala funeraria. La donna lo fissò,
senza alzarsi, e Danilo non vide altra soluzione che avanzare verso di lei.
«Una consegna?»
«Sì, signora. Io sono Danilo
Barca, proprietario della gioielleria Barca.»
«Oh sì. La conosco. Mio
marito...» Lei si fermò, per proseguire con un mezzo singhiozzo. «Il mio
defunto marito ci si serviva spesso. Apprezzo molto i vostri gioielli.» Fece un
sorriso così tirato che Danilo temette le spaccasse le labbra.
«Certo. Immagino. Ecco, il signore...
il povero signore aveva fatto un ordine presso di noi, per il Natale, ma
naturalmente... Un regalo, immagino. Mi dicono che sia un ritratto, che abbiamo
incorniciato secondo le sue disposizioni. Naturalmente non è stato ritirato ed
io ho pensato... sono venuto...» S'impappinò e non riuscì a proseguire, vedendo
gli occhi della donna riempirsi di lacrime.
«Un regalo di Natale.» Lei si
affrettò a sollevare un fazzoletto e tamponarsi gli occhi.
Danilo si rese conto che era
molto giovane. Venticinque anni, forse neppure trenta.
La donna alzò gli occhi su di
lui. «Deve essere pagato?»
Per quale motivo quella piccola
affermazione ‒ sì ‒ gli
restò incollata alla gola? «No signora. È tutto a posto.»
«Oh.» Lei lo fissò e Danilo
capì che stava aspettando.
Estrasse goffamente il
pacchetto dalla tasca e andò a deporlo sul tavolino rotondo accanto alla
poltrona. Nell'avvicinarsi sentì il suo profumo, qualcosa di fresco e giovane,
quasi casalingo, come un buon sapone alle erbe. Si era quasi aspettato che da
lei salisse un odore di muffa. Sembrava un brutto fungo informe, pensò
spietatamente.
La donna, la signora Martini,
sollevò il pacchetto e lo tastò leggermente tra le mani. Di nuovo i suoi occhi
si riempirono di lacrime, mentre sulle labbra invece saliva un sorriso, che
trasformò il suo volto.
Era graziosa, si rese conto
Danilo. In un'altra situazione sarebbe apparsa luminosa. E doveva avere gli
occhi chiari, mentre i capelli sotto la funebre cuffietta sembravano castani.
«Un regalo» mormorò lei. «Noi
avevamo l'abitudine di aprire i nostri regali la notte di Capodanno, al battere
della mezzanotte.»
«Non a Natale?»
«No. Il Natale era per la
famiglia e gli amici, i conoscenti. Il San Silvestro lo passavamo da soli.»
Ci furono alcuni istanti di
silenzio, durante i quali Danilo pensò a qualche parola di congedo che non
apparisse insensibile.
La signora Martini sollevò lo
sguardo. «Io la sto trattenendo» disse con le labbra tremanti. «Lei avrà una
famiglia, degli amici che la aspettano.»
«Per la verità no» rispose lui
senza pensarci. «Non amo le festività .»
«Davvero? E preferisce restare da
solo?»
Sembrava veramente interessata.
E, per un istante, distratta dal suo dolore. «Non è la compagnia peggiore»
sorrise Danilo.
«Non voglio offenderla ma...
c'è di meglio.»
Dei colpi rapidi alla porta gli
impedirono di replicare. Un lacchè entrò, con al seguito una cameriera che
sorreggeva un vassoio carico di piatti coperti da cloche. «La sua cena, signora
Matilde.»
La donna rivolse al vassoio uno
sguardo quasi spaventato. «Mio Dio, quanta roba...» Poi si girò verso di lui.
«Dal momento che non è atteso da nessuna parte, ed è stato così cortese da
portarmi il... il pacchetto, non vorrebbe restare a mangiare qualcosa con me?
Anch'io questa sera non ho altra compagnia che me stessa.»
L'animo di Danilo si dimenò
come se fosse un serpente preso in trappola. L'invito era il meno gradito che
potesse ricevere. La propria compagnia era di sicuro preferibile a quella di
una vedova inconsolabile perennemente sul punto di scoppiare a piangere, in
quella stanza tetra e deprimente. Ma come poteva rifiutare? Decisamente, era in
trappola.
«Lei è troppo gentile» proferì
a denti stretti. «Non vorrei incomodarla.»
«Oh no, se si contenta di
quello che ha preparato la cuoca. Di solito cucina sempre cibo in quantità e
temo che abbia ritenuto che stasera sia una serata troppo speciale per non
abbondare ulteriormente.»
Il lacchè si avvicinò per
prendere in consegna cappotto, cappello e guanti e, al cenno della signora,
Danilo sedette sulla poltrona di fronte a quella di lei. Un seggio rigido
imbottito di crine duro. Santo cielo, perfino in una condizione di lutto si
doveva aver diritto a qualcosa di più comodo. Non era necessario soffrire nel
corpo come nello spirito.
«Le sono molto grato» disse,
perché riteneva che lei se lo aspettasse. «Vorrei solo pregare di aumentare un
po' l'illuminazione perché temo che non riuscirei a trovare la mia bocca, con
questa luce.»
«Davvero?» La signora sbarrò
gli occhi, prima di capire che si trattava di uno scherzo. Il dolore doveva
averle ottenebrato i sensi.

Danilo dovette ammettere che la
cuoca si era data da fare. Le pietanze non erano solo numerose e abbondanti, ma
anche molto gustose. Si chiese perché la sua governante non riuscisse mai a
ottenere un risultato simile. Forse influiva la mancanza di una donna, in casa.
Di tanto in tanto la signora
Martini lanciava un'occhiata al pacchetto avvolto in carta d'argento, che la
cameriera aveva sistemato al posto d'onore sulla mensola del caminetto. Era il
solo oggetto che ricordasse le festività correnti, nella stanza. In tutta la
casa, probabilmente.
Lei doveva morire dalla voglia
di aprire l'ultimo regalo di suo marito, ma continuava ad aspettare per
rispettare la tradizione. Danilo ammirava il suo controllo ma non aveva
intenzione di aspettare con lei fino a quel momento.
«Lei è sposato, signor Barca?»
chiese la signora, mentre la cameriera cambiava i piatti.
«No. Non... non c'è stata
occasione.» Che cosa stupida da dire. L'occasione c'era stata ma era finita in
una stilettata che gli aveva trapassato il cuore, lasciandolo incapace di
tornare a battere. «Eravate sposati da molto?» chiese a sua volta.
«Quattro anni. Non avevamo
figli, però. Il Signore non ce li ha donati.» Di nuovo quel sorriso tirato.
«Capisco che lei amava molto
suo marito. Mi dispiace per la sua perdita. Il colpevole è stato arrestato?»
Lei irrigidì le spalle. «No. La
polizia pensa che Guglielmo sia stato scambiato per un altro. Nessuno aveva
motivo di odiarlo. Uno stupido errore che mi ha tolto il migliore dei mariti.»
Danilo avrebbe voluto dirle che
il tempo curava le ferite, che un giorno il dolore si sarebbe attutito e lei avrebbe
ripreso a vivere, ma sapeva che in quel preciso istante era l'ultima cosa che la
donna volesse sentirsi dire. Chinò il capo per ringraziare la cameriera che
stava servendo l'arrosto di maiale nel suo piatto e poi riprese a mangiare.
Matilde era leggermente
irritata perché la presenza di quell'uomo la stava distraendo dal pensiero
persistente di Guglielmo. Che cosa le era venuto in mente di invitarlo a cenare
con lei? Come se poi avesse previsto di cenare. Da settimane erano più le sere
che andava a letto con una tisana al laudano che quelle in cui mangiava
qualcosa. E l'ampiezza dell'abito che indossava ne dava testimonianza.
Il signor Danilo Barca era un
uomo particolare. Alto, magro, con naso aquilino e occhi duri, bocca sottile,
sembrava sempre sul punto di calare su qualche preda che avesse attirato la sua
attenzione, e invece doveva avere un cuore gentile. Non era da tutti sprecare
una notte come quella per tenere idealmente per mano una creatura deprimente
come lei. Benché, come aveva ammesso lui stesso, era solo e avrebbe trascorso
la serata da solo. Un uomo simile. Non aveva senso.
Il suo sguardo fu di nuovo
attirato dal pacchetto sulla mensola del caminetto. Un ritratto. L'ultimo
ritratto del suo Guglielmo. Le mani le dolevano dallo sforzo di trattenerle
dall'afferrare il pacchetto, aprire il nastro, strappare l'elegante carta
d'argento e posarsi il ritratto sul cuore, ma aveva deciso di attendere. Non
mancava ancora molto.
L'orologio stava battendo il
secondo quarto delle dieci.
Quanti anni poteva avere il
signor Barca? Di sicuro più di trenta, ma dubitava che avesse superato i
quaranta. I suoi capelli erano nerissimi e così i suoi occhi. Anche se forse
poteva essere un'impressione dovuta alla scarsità di luce. Ricordò il suo
velato scherzo di poco prima.
«Rosa, vorresti accendere
qualche altra lampada per piacere?» chiese, girandosi verso la cameriera che
stava poggiando il vassoio della carne sul tavolino a parete. «Sembra che la
forchetta non riesca a trovare la bocca, con questa penombra.»
Sia l'uomo sia la ragazza le
lanciarono un'occhiata stupita, poi quest'ultima si affrettò a obbedire. Oh, e
adesso lui avrebbe visto i suoi occhi macerati dal pianto, il volto stremato
dalle veglie interrotte solo dal sonno drogato del laudano, il suo corpo
smagrito dai digiuni. Ebbe un moto interiore di ribellione, prima di ricordare
che tutta quella vanità non aveva più scopo, perché l'uomo cui era destinata
non c'era più e questo cortese estraneo non contava.
Per quanto fosse cortese, però,
lei non poteva approfittare di lui trasformando quella cena improvvisata in una
veglia funebre. Lottò con i suoi sensi ottenebrati per ritrovare le sue
capacità di stare in società e fare conversazione, ma era come se la mente
fosse riempita di una materia soffice che soffocava le idee. Qualunque cosa
sarebbe andata bene.
«Lei ha un aspetto piuttosto
intimidatorio» disse, prima di rendersi conto di cosa le era uscita dalla
bocca.
Lui sollevò lo sguardo dal suo
piatto. «Davvero? La sua affermazione mi confonde.»
«Invece è una persona gentile.
Chi si sarebbe incaricato di portare un pacchetto in una notte simile,
potendone fare a meno? Le apparenze ingannano.»
Lui poggiò il coltello e la
forchetta sul vassoio sulle sue ginocchia e la fissò. «Sta cercando di fare
conversazione o di insultarmi?»
Matilde sentì un angolo del
labbro sollevarsi in un sorriso, stavolta spontaneo. «Intendo solo dire che non
appare affabile. Scommetto che tutti i suoi dipendenti sono terrorizzati da
lei» disse.
«E perché dovrebbero? Non ho
mai frustato nessuno né mai licenziato qualcuno che non lo meritasse.»
La replica era stata porta in
modo così enfatico che le labbra di Matilde iniziarono a fremere.
«Cosa c'è?» chiese lui,
accorgendosene.
Lei scoppiò a ridere e fu come
se un coltello le tagliasse la carne. Smise di colpo. «Mi scusi. È che lei l'ha
detto in modo così... pomposo!»
L'uomo parve pensarci sopra un
istante, prima di sorridere. Si strinse nelle spalle. «Ho rilevato il negozio
da mio padre, ed era in fallimento. Io ero molto giovane. È stato necessario stabilire
delle distanze. L'affabilità sarebbe stata interpretata come una debolezza e
avrebbe diminuito il rispetto.»
«Ed è riuscito a risanare la
situazione finanziaria del negozio?»
La guardò quasi con
compatimento. «Naturalmente.»
Naturalmente. Lei corse il
rischio di ridere di nuovo. Quell'uomo le piaceva, si rese conto con stupore. E
non solo perché era stato cortese con lei, una perfetta estranea, ma anche
perché, con lo sguardo distaccato di un'esperta d'arte, lo trovava un uomo
attraente. Era strano che qualcuno potesse apparirle tale, dopo Guglielmo. E
soprattutto un uomo come il signor Danilo Barca, tanto diverso da lui.
Guglielmo aveva posseduto la
classica bellezza maschile che non ha bisogno d'interpretazioni. Qualcuno lo
definiva un eterno ragazzo, ma solo perché era sempre pronto al riso e alle
battute, non perché fosse infantile. Amava vestirsi in modo elegante e di certo
non avrebbe mai indossato capi dall'aspetto così severo come quelli dell'uomo
che le stava di fronte e sorseggiava un bicchiere di vino con l'aria di star
eseguendo una funzione religiosa. Pomposo, pensò, sorridendo internamente. La
divertiva.
Lui non sembrava quasi rendersi
conto di come apparisse. Quando glielo aveva detto, si era stupito. Un uomo
attraente e dotato di mezzi economici, e tuttavia solo. Doveva esserci qualcosa
nel suo passato ‒ una delusione, un lutto ‒ ma non
si conoscevano abbastanza perché potesse chiederglielo.
Mentre la cameriera serviva
loro il caffè, pensò alla casa vuota cui Danilo Barca sarebbe tornato, quella
sera, se lei non lo avesse invitato a restare. Aveva fatto bene.
Terminarono di bere. Nel
momento in cui Matilde poggiò la tazzina sul vassoio, si rese conto che adesso
lui sarebbe dovuto andare. Non era rimasto altro a trattenerlo. Di certo
l'occasione non richiedeva un brindisi. Lo champagne che Guglielmo aveva
comprato tempo prima a profusione sarebbe stato giudicato inopportuno.
La pendola batté le ore. Erano
le undici.

Matilde fu colta da un senso di
panico. Solo un paio d'ore prima non aveva desiderato altro che restare sola e
adesso non riusciva a tollerarne l'idea. «Quando uscirà da qui, davvero non
andrà a unirsi a qualche ricevimento?» chiese in fretta, notando che lui stava
accennando ad alzarsi.
Lui sollevò un sopracciglio
severo. «Gliel'ho già detto. E comunque è tardi.»
«No, ci sono sempre locali
aperti, teatri, feste che accolgono ospiti dell'ultimo minuto. È ancora in
tempo a fare di questa una serata memorabile.»
Lui la fissò intensamente per
un istante. «Lo è già . Glielo assicuro.»
La donna arrossì così
lentamente che fu come vedere il sole sollevarsi all'alba e tingere di rosa un
cielo grigio. Quando aveva riso, Danilo si era accorto che aveva deliziosi
piccoli denti candidi. E quando arrossì, anche le sue labbra si accesero di
colore, gli occhi scintillarono, prima di essere nascosti dalle palpebre
palpitanti e... sì, la sua impressione era stata giusta, erano chiari, ma non azzurri,
piuttosto un castano dorato, e giovani e pieni di vita. Lei poteva seppellirsi
sotto merletti e pizzi, metri e metri di bambagina nera, ma non sarebbe
riuscita a negarsi a lungo alla vita. Era giovane e i giorni avrebbero
raschiato pian piano gli strati di lutto riportando alla luce la sua vivacità e
la voglia di vivere.
Danilo si curvò un poco in
avanti e allungò una mano sulla sua, quasi del tutto coperta dai guanti.
«Lei adesso potrà non credermi,
e di sicuro è qualcosa che non ha voglia di sentire, ma un giorno questo dolore
passerà . Glielo giuro. Non permetta che quel giorno la trovi sola e desolata
perché nel suo dolore avrà allontanato da sé qualunque possibilità di
resurrezione.»
«Ãˆ quello che fatto lei?»
chiese la donna con le labbra tremanti.
Ritrasse di scatto la mano. Non
era quello che aveva inteso e la possibilità gli fece salire un gusto d'amaro
alla bocca. Si alzò in piedi.
«Adesso credo sia ora che io mi
congedi. Lei ha un appuntamento importante» disse, accennando col capo in
direzione del pacchetto argentato, sul caminetto, «ed io non vorrei essere di
troppo.»
Anche lei si alzò. Aveva
un'aria spaventata, del tutto inattesa. «Oh no, la prego. Vorrei che fosse qui,
quando lo aprirò. Vorrei che... che conoscesse mio marito.» S'impappinò quasi,
sulle ultime parole.
Danilo batté le palpebre. Che
inconsueta, inopportuna proposta. «Ma non è ancora mezzanotte.»
«No, ma ho deciso che non
aspetterò. Lo aprirò subito, perché non posso più aspettare.» Lei sorrise, una
luce implorante nello sguardo.
Lui capì che quella piccola
operazione ‒ tirare il nastro, togliere la carta ‒
costituiva in realtà un impegno penoso per lei. Un tornare a scavare nelle
memorie e nel dolore. «Va bene» disse. «Come desidera.»
«Sì, lo farò subito.» La donna
andò ad afferrare il pacchetto e poi sedette di nuovo nella poltrona, il
pacchetto in grembo, le dita un po' goffe nello sciogliere il nastro e svolgere
la carta. «Mio marito era un bell'uomo» farfugliò. «E aveva un grande talento.
Era un giornalista, lo sapeva? Un giorno sarebbe diventato un grande scrittore.
Tutti lo ammiravano. Tutti...» Sollevò un bigliettino, sorrise. «Oh. Al mio unico, grande amore. Lui era...» Tacque
di colpo.
La sua mano sinistra lasciò
cadere a terra un pezzo di carta strappata. Danilo vide il suo petto alzarsi e
abbassarsi affannosamente, mentre gli occhi si spalancavano in maniera
innaturale.
«No» disse, di gola. E poi
dalla bocca le uscì un urlo straziante. «Nooo! Nooo!» Balzò in piedi e con
tutta la forza lanciò la cornice in direzione del camino, strofinandosi poi
frenetica le mani sulla gonna. Il grazioso rettangolo d'argento granati e
lapislazzuli cadde a terra prima di raggiungere il fuoco, colpì il gradino e il
vetro si infranse.
Danilo si chinò rapido a
sollevarlo e riuscì a dargli un'occhiata, prima che le mani rapaci della donna
glielo strappassero, per lanciarlo di nuovo a terra e piantarvi sopra il tacco
dello stivaletto.
Sbarrò gli occhi. La foto aveva
mostrato un uomo in piedi con le mani sulle spalle di una donna... che non era Matilde
Martini. Danilo aveva fatto a tempo a riconoscere quegli occhi di fuoco, quella
bocca carnosa, il sorriso provocante di Caroline Cherie, una famosa cantante pseudo
francese che si esibiva alla Torre di Belisario, uno dei tanti café-chantant sorti
in città negli ultimi tempi. L'artista, si diceva, aveva un marito geloso.
L'errore di uno sconosciuto un
corno.
Continuando a urlare come se le
stessero strappando il cuore dal petto ‒ il che in un certo
senso era vero ‒ la signora si avventò su una
delicata lampada a stelo sul piccolo scrittoio ad angolo, e poi su una serie di
foto incorniciate su un tavolino, ruotando follemente come se fosse decisa a
portare la distruzione nella stanza. Mentre uno stuolo di domestici faceva
irruzione nel salotto, Danilo andò rapidamente ad aprire un mobiletto da
liquori, alla ricerca di qualcosa di forte da farle bere. Prese una bottiglia
di cognac e un bicchiere. Dietro di sé sentiva le voci delle cameriere che
cercavano di calmare la padrona.
«Signora, signora, che succede?
Le hanno mancato di rispetto?»
Ecco, ci mancava solo che se la
prendessero con lui. Versò il liquore e portò il bicchiere alla donna, che adesso
stava strappando la foto dall'interno della cornice e la faceva in pezzi sempre
più piccoli.
«Avanti, beva questo» disse.
«Le farà bene.»
Lei lo guardò con occhi folli.
«Maledetto...» sibilò.
«Che le ha fatto?» gridò un
lacchè.
«Non ce l'ha con me.» Almeno,
lo sperava. Il latore di cattive notizie era stato lui. Diamine, che serata.
Una che non avrebbe dimenticato facilmente.
Portò il bicchiere alle labbra
della donna e lei, dopo una breve esitazione, bevve. Poi, come lui si
aspettava, sputacchiò, tossì, le salirono le lacrime agli occhi e le sue guance
divennero rosso fuoco. Stavolta non trattenne le lacrime, che scesero copiose
per il volto.
«Lui... lui...» Un singhiozzo le
bloccò la voce.
Uno dei domestici si chinò a
raccogliere i pezzi della foto.
«Ehi voi, fermo!» intimò
Danilo. «Lasciate stare. Ci penserò io.»
L'uomo lo fissò incerto, poi la
sua aria intimidatoria ‒ come aveva detto la signora ‒
dovette convincerlo perché lasciò ricadere i brandelli.
Non c'era bisogno che quella
povera donna diventasse lo zimbello anche dei suoi domestici. Sempre che la
reputazione del defunto non fosse nota, il che era possibile. Guglielmo Martini
doveva essere stato un libertino.
Ecco qua, tutto quel dolore,
quella casa affogata nel lutto, nella disperazione, e per cosa? Per un essere
indegno. Danilo strinse le labbra e corrugò le sopracciglia. Il tradimento e
l'inganno erano i peccati che meno si sentiva disposto a perdonare.
«Non voglio più bere» disse la
donna. La sua voce era raschiante ma chiara. Stava tremando e gli occhi erano
febbricitanti.
La pendola batté undici
rintocchi, e poi il colpo singolo del primo quarto.
Lei si volse di scatto ai
domestici, un ruotar di gonne che la fece sembrare una ragazzina che saltava alla
corda. «Sta per arrivare il nuovo anno» disse con voce che si sforzava di
restare alta e ferma. «Non lo inizieremo con questa tetraggine. Togliete i veli
ai quadri e agli specchi. Accendete le lampade in ogni stanza del palazzo e
anche le torce sulla facciata. Dobbiamo entrare brillando nel 1883, brillando
come una stella cometa.»
I domestici, uomini e donne, la
fissarono gelati, a bocca aperta. Una cameriera si fece il segno della croce e
lei la fulminò con lo sguardo. La ragazza si ritrasse sullo sfondo.
In effetti, pensò Danilo, in
quel momento la signora aveva come un'aura luciferina attorno a sé. Era
bellissima, magnifica e... terribile. La sua ammirazione era sconfinata.
Matilde Martini si girò verso
di lui. Gli occhi nel volto acceso brillavano illuminati da un fuoco interno.
«Credo, signore, che siamo ancora in tempo per andare a rendere onore all'anno
che se ne va e a quello che arriverà » disse, tenendo il mento sollevato.
Danilo chinò il capo in un
cenno. «Al suo servizio, mia signora.»
Strappandosi dalla testa la
cuffietta nera, lei ordinò alle cameriere di portarle un cappotto: «Quello
azzurro!» disse con sfida, e guanti di pelle e cappellino.
Mentre i domestici sciamavano ad
adempiere i suoi comandi, loro restarono soli nel salotto. La signora si sfilò
i guantini di pizzo nero.
«Peccato non aver tempo di
cambiarmi» commentò. «Mi sentirei di vestirmi di rosso.»

I domestici tornarono con i
loro indumenti e li aiutarono a indossarli. Strano, come le se addicesse l'azzurro.
Aveva davvero pensato che fosse il rosso il suo colore. Le porse il braccio e
lei vi poggiò sopra la mano coperta dal guanto di capretto beige.
«Allora, signore, ha idea di dove
mi porterà ?» gli chiese con uno sguardo di sfida.
Guardando in quegli occhi chiari,
lui non ebbe dubbi. «Naturalmente, per prima cosa, a bere un bicchiere di
champagne.»
«Si prepari, signore: io adoro
lo champagne.»
Lui stirò le labbra in un
sorriso. «Non avevo dubbi.»
E si avviarono, un uomo e una
donna quasi sconosciuti, diretti verso la notte, il baccano, la festa. Il 1883.
Un nuovo anno. E una nuova vita.
L'autrice:
ROBERTA CIUFFI Romana, una
laurea in psicologia che a suo dire l'aiuta nella definizione dei
personaggi, Roberta Ciuffi esordisce nel 1997 nei Romanzi Mondadori, con
un 'Un matrimonio perfetto'. A quello segue una ventina di
romanzi con la stessa casa editrice (di chui l'ultimo è 'Una rondine nella tempesta'), e due con Harlequin, per cui traduce anche testi dall'inglese. Collabora
con riviste di novelle femminili e nel 2012 esce il primo dei suoi
romanzi paranormali incentrati su una famiglia di stirpe Lykaon, i
Coulter. La saga termina con il terzo, pubblicato nel 2013 in formato
ebook e novembre 2015 in cartaceo: 'Passione nelle tenebre'. Ha pubblicato
dei racconti nella Collana Romantiche Passioni Delos. E da adesso in
poi... chissà . C'è un mondo da scoprire...
Visita il sito dell'autrice:
Meraviglia!!!
RispondiEliminane volevo ancora!!!!è stato troppo corto!bellissimo racconto!
RispondiEliminaAdoro tutto di questo racconto...per non parlare della cover! Spettacolare *.*
RispondiEliminaBellissimo. Lo stile di Roberta Ciuffi è inconfondibile.
RispondiEliminaDavvero originale! l'aria luciferina e sensuale della protagonista nel finale è stata sorprendente! Molto bello!
RispondiEliminaBellissimo!!!! Peccato fosse solo un racconto!!
RispondiEliminaMolto interessante! E un filo inquietante! Grazie per avecelo regalato!
RispondiEliminaGrazie a tutte dei bei commenti, ragazze! E' stato un piacere!
RispondiEliminaCome sempre, grande Roberta! Un piccolo gioiellino: delicato, intenso, raffinato, originale ^_^
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