La professoressa Teresa Siciliano oggi ci parla dell'opera di un maestro della letteratura italiana: GIOVANNI VERGA.
Venite a leggere il suo articolo "BIANCA E GESUALDO".
Mastro-don
Gesualdo fu pubblicato in
volume nel 1889. Molti non lo sanno, ma una precedente stesura era uscita
l’anno precedente: non mi è mai capitato di metterci gli occhi sopra, ma ne so
qualcosa grazie ad un resoconto di Ghidetti. Il critico si è particolarmente
interessato a quest’opera di Verga e sottolinea che nella redazione definitiva
il mastro perderà molti di quei tratti di irresolutezza, timidezza, gelosia per
la consorte da cui è affascinato “ per assumere decisamente il ruolo arduo
dello spietato primo attore nella costruzione di una società nuova, alienata
nel miraggio dell’accumulazione di ricchezza, condannato, nella sua solitudine,
ad identificarsi con la ‘roba’, nella prospera come nell’avversa fortuna.
Mentre Bianca dovrà rinunciare alla bellezza, al fascino sensuale e quindi alla
sua protervia di nobile insoddisfatta”.
Essa
rannicchiò il capo nelle spalle, simile a una colomba trepidante che stia per
esser ghermita.
―
Ora ti voglio bene davvero, sai!... Ho paura di toccarti colle mani... Ho le
mani grosse perché ho tanto lavorato...non mi vergogno a dirlo... Ho lavorato
per arrivare a questo punto... Chi me l'avrebbe detto?... Non mi vergogno, no!
Tu sei bella e buona... Voglio farti come una regina... Tutti sotto i tuoi
piedi!... questi piedini piccoli! Hai voluto venirci tu stessa... con questi
piedini piccoli... nella mia casa... La padrona!... la signora bella mia!...
Guarda, mi fai dire delle sciocchezze!...
Ma
essa aveva l'orecchio altrove. Pareva guardasse nello specchio, lontano,
lontano.
Gesualdo ha un grande senso della
famiglia, nonostante suo padre e i suoi fratelli siano persone stupide, avide e
davvero ingrate, ed è molto generoso con tutti loro, ma senza essere
minimamente ricambiato. Dalla moglie e dalla figlia, invece, lo divide
irreparabilmente la differenza di classe sociale. Bianca col tempo gli si
affezionerà , gli sarà grata e sottomessa, rispetterà tutti i suoi doveri, ma ci
sarà sempre a dividerli una specie di ripugnanza fisica. Gesualdo ovviamente lo
capirà e lo ammetterà almeno con se stesso:
–
Nulla, nulla gli aveva fruttato quel matrimonio; né la dote, né il figlio
maschio, né l'aiuto del parentado, e neppure ciò che gli dava prima Diodata, un
momento di svago, un'ora di buonumore, come il bicchiere di vino a un
pover'uomo che ha lavorato tutto il giorno, là ! Neppur quello!
–
Una moglie che vi squagliava fra le mani, che vi faceva gelare le carezze, con
quel viso, con quegli occhi, con quel fare spaventato, come se volessero farla
cascare in peccato mortale ogni volta e il prete non ci avesse messo su tanto
di croce prima quand'ella aveva detto di sì... Bianca non ci aveva colpa. Era
il sangue della razza che si rifiutava. Le pesche non si innestano sull'olivo.
Ella, poveretta, chinava il viso, arrivava ad offrirlo anzi, tutto rosso, per
ubbidire al comandamento di Dio, come fosse pagata per farlo... Ma egli non si
lasciava illudere, no. Era villano, ma aveva il naso fino di villano pure! E
aveva il suo orgoglio anche lui. L'orgoglio di quello che aveva saputo guadagnarsi,
colle sue mani, tutto opera sua, quei lenzuoli di tela fine in cui dormivano
voltandosi le spalle, e quei bocconi buoni che doveva mangiare in punta di forchetta,
sotto gli occhi della Trao...
Così sarà per tutto il resto del loro
matrimonio. In tanti anni un unico momento di vicinanza fra marito e moglie,
quando Bianca sta morendo di tisi e si ingelosisce perché per casa girano non
solo Diodata, che l’accudisce, ma anche la famiglia del barone Zacco, che trama
per far sposare a Gesualdo la figlia zitella, non appena la moglie chiuderà gli
occhi.
― Sentite!... sentite!... Non le voglio
più!... Non le fate venir più quelle donne... Si son messe in testa di darvi
moglie... come se fossi già morta.
E col capo seguitava a far segno di sì,
di sì, che non s'ingannava, col mento aguzzo nell'ombra della gola infossata, mentr'egli,
chino su di lei, le parlava come a una bimba sorridendo, con gli occhi gonfi
però.
― Vi portano in casa la Lavinia... Non
vedono l'ora che io chiuda gli occhi... ― Lui protestava di no, che non gliene
importava nulla della Lavinia, che non voleva più rimaritarsi, che ne aveva
visti abbastanza dei guai. E la poveretta stava ad ascoltarlo tutta contenta, cogli
occhi lustri che penetravano fin
dentro, per vedere se dicesse la verità .
In conclusione Verga si rifà ad Ohnet perché anche lui è
partito, anzi ha avuto i suoi più grandi successi commerciali, con il romanzo
sentimentale, ma in tutti gli anni Ottanta ha svoltato decisamente e raggiunto
il suo vertice letterario nelle opere veriste, creando dei veri capolavori:
asciutti ed espressivi.
Ogni volta che rileggo l’ultima parte di Mastro-don Gesualdo, non posso fare a
meno di piangere di commozione. Ecco due persone, Bianca e anche Gesualdo,
senza dubbio fra quelle migliori del romanzo da un punto di vista morale, che,
nonostante la buona volontà , non riescono a trovare un’intesa
e si rendono, reciprocamente e ognuno per conto suo, infelici per tutta la
vita.
Perché la vita non è un romanzo rosa. Non è vero che tutto
si può risolvere e a tutto si può porre rimedio. E, come sancisce il vangelo,
non è possibile amare Dio e mammona. Del resto Verga sapeva bene che
l’attaccamento alla “roba” rende infelici. Perché nella grande figura di
Gesualdo l’autore rappresenta, almeno in parte, anche se stesso.
Bellissimo commento! Ora mi è venuta voglia di rileggere il romanzo, Verga è stato una dei miei primi amori.
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