Per quanto mi riguarda, cominciai a
frequentare il teatro solo nel 1973 perché a casa mia non si usava e quindi non
ci andai neanche con la scuola, cosa comunque allora un po’ rara. Successe
sotto l’influsso dei genitori del mio fidanzato, che erano molto diversi, sotto
tutti i punti di vista, dalla mia famiglia di origine. Infatti i miei erano
democristiani di ferro, mentre loro votavano PCI fin dal
1948. Per cui, non rammento se nel 1974 o 1975, ci accompagnarono al
teatro-tenda di Dario Fo dove poi tornammo altre volte da soli.

All’epoca anch’io come la mia famiglia ero
democristiana, più o meno, e confesso che spettacoli come il Fanfani rapito e perfino Morte accidentale di un anarchico mi
sembravano solo propaganda. A mia giustificazione posso ricordare che, essendo
nata nel 1950, nulla sapevo allora di Scelba e del governo Tambroni e perciò
non condividevo per nulla la campagna
antipolizia dell’autore.

E qui lascio la parola a Isabella
Cosentino che in La scrittura e
l’interpretazione di Luperini e altri scrive: “Se nella prima parte prevalgono la satira e la deformazione grottesca,
con caricature espressionistiche e surreali, nella seconda si impone tuttavia
invece un registro più intimo e raccolto, capace di rievocare i lati umani e
materiali della Passione di Cristo con una commozione non frequente neppure in
testi religiosi di più esibita e dichiarata spiritualità . Soprattutto il punto
di vista della Madonna, identificato nella umana sofferenza di una umile donna
del popolo, propone una raffigurazione autentica ed elementare del dolore che
fa pensare a ‘Donna del Paradiso’ di Jacopone da Todi. Qui la lingua e lo
stile, capaci spesso in Fo di accendersi di una materialità e di una
visceralità virtuosistiche, fondono leggerezza e intensità , disperazione e
dolcezza. Quanti negano la grandezza letteraria di Fo, fermandosi al
riconoscimento dell’attore, dovrebbero meglio considerare il valore di episodi
come questi, dotati di una poeticità del tutto sui generis nella nostra
letteratura e nella ricerca del Novecento.”
Un’altra tappa fondamentale per me fu
quando finalmente, dopo oltre un decennio di assenza dalla RAI, le commedie di
Fo arrivarono sullo schermo di casa, in mezzo ad una bufera di polemiche di
vario segno politico. E quando nel 1997, superando molte difficoltà , un
pomeriggio a scuola feci vedere ai miei alunni una registrazione casareccia del
suo capolavoro. Non che fosse facile per i ragazzi, ma, a parte qualche
eccezione, il messaggio del grande giullare passò. E a chi mi rimproverava perché
avevo introdotto nel liceo classico uno scrittore così politicizzato opposi che
il Nobel ormai l’aveva sdoganato.
Sono passati molti anni da allora. Nel
corso dei decenni tutti abbiamo cambiato posizioni
politiche, ma mi pare che io
e Fo, da questo punto di vista, non ci siamo incontrati mai. Lui passò da un
chiaro fiancheggiamento nei confronti dei partiti extraparlamentari e dell’estrema
sinistra fino al Movimento cinque stelle, io dalla DC al partito socialista, al
PCI di Berlinguer e poi a tutte le sue trasformazioni PDS, DS e infine Partito
democratico. L’ho sempre trovato eccessivo, ma i suoi spettacoli mi sono quasi sempre
piaciuti (me ne ricordo in particolare uno, davvero efficace, sul lavoro a
domicilio).
Era un grande attore, grazie
soprattutto ad una mimica eccezionale: recitava con gli occhi, con ogni
espressione del viso, con tutto il suo corpo. E fino a qualche anno fa (finché
cioè aveva conservato il fiato di una volta)
aveva una voce straordinaria. Che eccelleva nel cosiddetto grammelot con
cui si faceva capire dai pubblici di tutto il mondo e di tutte le lingue.
Non posso negare che la sua adesione ai
Cinque stelle per me sia stata uno scandalo o, se preferite, un tradimento
(perché, secondo me, quel movimento non è di sinistra). Però… avercene di intellettuali
così!
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