Quando ero bambina, di prostituzione
non si parlava quasi mai, tranne che sottovoce, e forse qualcuno ricorderĂ con
quale giro di parole il telegiornale RAI (l’unico nel 1958) annunciĂ²
l’approvazione della legge Merlin, che sanciva l’abolizione delle cosiddette
case chiuse. Un giro di parole che riusciva a non usare mai il termine
prostitute, sostituito da pappagalli e pappagalle (?!).
A maggior ragione mai veniva
rappresentato il tema nel rosa, genere indirizzato alle brave ragazze magari
anche di buona famiglia. In cambio esistevano due classici: La signora delle camelie di Dumas e Manon Lescaut di Prévost, anche se ammetto
che per la veritĂ all’epoca non avevo ben capito quale fosse il mestiere di
Manon: allusioni troppo sottili per me.
La mia generazione è stata educata a
ritenere che quel genere di fine aspettasse le ragazze ingenue che si lasciavano
sedurre (e abbandonare). Invece oggi mi pare si tenda talvolta a pensare che si
tratti di un lavoro come un altro, estrema realizzazione del principio
femminista sessantottino “il corpo è mio e ne faccio quello che mi pare”,
principio ovviamente nato con scopi di tutt’altro tipo. Al momento si condanna certo
la tratta delle donne (almeno da parte di quanti ne ammettono l’esistenza), la
schiavitĂ¹ sessuale, la prostituzione per bisogno, mentre si sostiene che, se si
tratta di una libera scelta della donna, tutto è non solo consentito (perché la
legge non lo vieta), ma in fondo non colpito da vera riprovazione sociale.
Insomma è un modo per far soldi come tanti altri.
Ormai, quindi, almeno da una decina
d’anni, il tema è stato sdoganato anche nel romance in contemporanea con
l’avanzare della narrativa erotica.
La Michaels ha dedicato all’argomento
una serie intitolata Mistress Matchmaker. Vivien è un’ex prostituta,
proprietaria non proprio di un bordello, ma di una specie di agenzia dove si va
per procurarsi una mantenuta, una mistress appunto. Ovviamente afferma: “Qui nessuno viene costretto a fare niente”.
E tutte le protagoniste dei tre romanzi (l’ultima è la stessa Vivien)
troveranno alla fine un’ottima sistemazione matrimoniale. Gli storici citano i
casi (ammetto molto piĂ¹ numerosi di quanto mi aspettassi) in cui ciĂ² si è
davvero verificato: cioè che una prostituta diventasse prima mantenuta e poi
moglie. Ma certo era tutt’altro che la regola generale.
Nella recensione di Educazione al piacere osservavo:
Com’era
possibile trovare il lieto fine, in una vicenda di questo genere?, mi chiedevo.
Ebbene l’autrice c’è riuscita alla grande, ispirandosi alla Signora delle
camelie di Dumas, ma con una diversa conclusione. Ed è stata così brava da
rendere la cosa accettabile, naturalmente trattandosi di un rosa. Perché
immagino che nella realtĂ i nostri protagonisti avrebbero dovuto andare a
nascondersi all’estero, preferibilmente nell’Africa equatoriale. Ma qui il
patto narrativo ha funzionato perfettamente: la Michaels ha finto che la sua
storia fosse realistica e noi fingiamo di crederle.
In realtà ero troppo severa: non è che
sempre la coppia dovesse trasferirsi in Italia o in Francia, ma certo era
esclusa dai salotti piĂ¹ importanti e tendeva ad orbitare nel cosiddetto
demi-monde.
Forse fra le prime scrittrici ad
avviare questo filone è stata quella da cui meno me lo aspettavo, Mary Balogh, con
Un gioiello raro, uscito in inglese
nel 1993, ma tradotto in Italia (badate bene!) solo nel 2014. La protagonista
lavora in una casa di piacere, tenuta dalla sua ex istitutrice Katherine, scelta
che ha fatto, noi immaginiamo, per bisogno, anche se poi scopriremo che in
realtĂ aveva avuto altre possibilitĂ a disposizione. Ed ecco il ritratto della
maitresse:
Miss
Katherine Blythe aveva otto ragazze che lavoravano per lei, tutte scelte con
cura e ben addestrate non soltanto a offrire servizi fisici essenziali, ma
anche a farlo in un’atmosfera d’una certa ricercatezza. Le sue dipendenti erano
giovani donne che intrattenevano i gentiluomini per guadagnarsi da vivere.
Questo concetto era l’argomento principale della loro prima lezione.
Non
a tutti i gentiluomini era consentito visitare la sua casa (insomma, una cosa tipo Almack o
White’s). Miss Blythe aveva un colloquio
privato con ciascuna delle ragazze ogni mattina e si faceva dare un rapporto di
quelli che erano stati gli incontri del giorno precedente. E qualsiasi
individuo che venisse giudicato inadatto alla raffinatezza della sua casa, da
quel momento in poi se ne vedeva negare l’accesso. C’erano regolamenti molto
rigorosi riguardo a ciĂ² che era consentito e a ciĂ² che non lo era.
Insomma tutte ragazze consenzienti,
sgridate ma assistite anche se avevano la disgrazia di rimanere in stato
interessante, e clienti sadomaso esclusi per sempre dalla casa.
Qualche volta puĂ² succedere che una
prostituta migliori la sua condizione.
— Lo
so — rispose lui con aria assorta. — Se io mi offrissi di portar via Priss e
farla diventare la mia mantenuta, voi, signora, sollevereste qualche problema,
qualche ostacolo?
—
Effettivamente potrei farlo, anche se ho soltanto la mia influenza da usare con
lei. Vorrei capire se i suoi interessi sarebbero protetti con voi a occuparvene
come ho cercato di fare fintanto che sono stati i miei. Non volete accomodarvi,
signore? Mi pare che abbiamo un affare di cui discutere.
Sir
Gerald si sedette.
E sir Gerald firmerĂ un vero e proprio
contratto con precise garanzie per la ragazza. Quanto mi piacerebbe sapere se
questo genere di situazione abbia almeno qualche riscontro nella realtĂ ! Ma
personalmente ne dubito. Immagino che in questi casi ci fosse una specie di
vendita mascherata in cui la maitresse avesse il suo bel guadagno. E non credo
che in nessun modo le stessero a cuore gli interessi della prostituta. Anzi di
regola erano ammessi rapporti sessuali di tutti i generi, perché le donne erano
carne in vendita e difficilmente riuscivano ad emanciparsi, spesso trattenute e
ricattate sulla base di presunti debiti da esse contratti. Così come avviene
oggi soprattutto per le straniere.
Se qualcuna di voi avesse dubbi, basta leggere
Splendore e miseria delle cortigiane
di Balzac o, meglio ancora, consultare i numerosi saggi storici a disposizione
a partire da quelli piĂ¹ semplici, La vita
quotidiana in Inghilterra ai tempi della regina Vittoria di Chastenet oppure
La vita quotidiana nelle case chiuse in
Francia (1830-1930) di Adler.
All’epoca dell’uscita di Un gioiello raro, sul blog Mondadori si
svolse una discussione appassionata fra le lettrici a proposito delle esigenze
di Gerald, che in veritĂ sono molto semplici. Lui non cerca le prestazioni piĂ¹
varie, stuzzicanti e lussuriose, ma l’assoluta passivitĂ . Priss deve stare
sdraiata e rilassata e lasciar fare tutto a lui. E, se qualcuna si stupisce,
ovviamente dietro c’è una motivazione psicologica che l’autrice spiegherĂ a suo
tempo. Ma sul blog ci fu una specie di insurrezione con accuse di maschilismo,
egoismo e insensibilitĂ nei confronti del protagonista e di stupiditĂ e
masochismo per quanto riguardava Priss. Tuttora io penso che a noi donne ‘perbene’,
e particolarmente a quelle piĂ¹ giovani, sfugga il senso dell’attivitĂ di
prostituta. Significa che rinunci ad ogni rispetto, orgoglio e dignitĂ , dal
momento che vendi la prestazione piĂ¹ intima esistente al mondo. Diventi un
oggetto, devi adeguarti totalmente alle esigenze del cliente e perfino fingere
che tutto quello che avviene ti piaccia e inscenare ogni volta un orgasmo travolgente.
Ora un cliente come Gerald, che pretende poco sessualmente parlando, cioè solo
che la donna sia assolutamente passiva e disponibile, è davvero una fortuna:
non si tratta solo di denaro e comoditĂ , ma vuol dire un solo cliente, e
neppure tutti i giorni; vuol dire anche un sacco di tempo libero e perfino una
parte della casa del tutto privata e riservata. Insomma, sostenevo con foga, “certo
che lei deve essere sempre a disposizione: è per questo che viene pagata!
Succede anche oggi in tanti altri lavori. E per molti meno soldi!”
Quanto al matrimonio finale citavo i
casi storici della Contessa di Blessington e di lady Berwick, che avevano
cominciato come mantenute, salvo poi sposare il loro protettore. Quindi
situazioni come quelle illustrate dalla Balogh si erano davvero verificate, naturalmente
fra difficoltĂ non compatibili con un romance. Ma il problema, come ripeto
sempre, è che in letteratura le cose non devono solo essere vere, ma anche
verosimili. Zola si ispirĂ² a casi veri per raccontare, in Al paradiso delle signore, come una commessa possa arrivare a
sposare il suo padrone milionario, ma l’autore non riuscì (e si trattava di
Zola!) a rendere la cosa psicologicamente accettabile per i critici nel contesto narrativo. E per questo è stato sempre molto
criticato. In realtĂ la Balogh non aveva risolto tutto con un finale semplicistico,
anzi aggiunse un seguito, Sposa a Natale,
dove si scopriva che non erano rose e fiori neanche per Gerald e Priss.
Purtroppo non so se il secondo volume rientrasse giĂ nel piano iniziale o fosse
dovuto ad un ripensamento a seguito della pressione delle lettrici, ma i
quattro anni trascorsi fra i due volumi mi fanno inclinare verso la seconda
ipotesi.
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