Non so scrivere in punta di piedi:
spalanco la porta ed entriamo insieme nella
storia
Ci sono
autori, anche autori che scrivono storie che leggo volentieri e hanno creato
personaggi molto interessanti, che guardano questi personaggi da lontano, come
se li riprendessero – se vogliamo fare un’analogia cinematografica – sempre in
campo lungo. Autori che trattano le emozioni con le pinze e dosano i pensieri
dei loro personaggi come se non volessero rivelare troppo al lettore. Una
scelta, senza dubbio.
Io preferisco
il primo piano. Sono un’autrice invasiva, con i miei personaggi, sono nella
loro testa e vi racconto che cosa vedono, che cosa sentono - in termini di
rumori ma anche di sensazioni. Credo di non saper scrivere in altro modo. Io
sono dentro la storia e vi ci trascino, prendere o lasciare. Spostandoci dal
cinema al teatro, potrei spiegarvela in questo modo: io non invito il lettore
ad assistere allo spettacolo seduto nella sala buia, diviso dal palcoscenico
dall’invisibile quarta parete, ma, come in un teatro elisabettiano, lo piazzo a
ridosso del palco, dove diventa quasi parte integrante della rappresentazione, libero
di fare il tifo ed esprimere a voce alta la sua opinione su quello che vede,
che sente.
E cerco
di applicare - all’inizio credo di averlo fatto d’istinto, ormai lo faccio in
modo sempre più consapevole - il principio dello “show don’t tell”. Qualcuno lo
definisce una tecnica, a me sembra un termine troppo freddo per quello che è e,
soprattutto, per l’effetto che crea. Perché il lettore si senta “nella” storia,
l’autore deve mostrare, non raccontare. La storia “raccontata” crea distanza: è
una merce esposta in vetrina che il lettore vede da dietro il vetro. La storia
“mostrata” è il lettore che entra nel
negozio, si guarda attorno a 360°, può sentire, annusare, toccare.
Nelle
parole di E.L. Doctorow: La buona
scrittura dovrebbe evocare sensazioni nel lettore – non il fatto che sta
piovendo ma la sensazione della pioggia addosso.
La
pioggia, addosso. Quella sottile che è solo fastidiosa umidità , quella battente
che nasconde tutto dietro a un velo grigio e riempie di echi le orecchie, le
gocce spesse, grasse, che colpiscono
come piccoli proiettili. I vestiti pesanti, zuppi, i rivoli d’acqua che
scorrono sulla pelle, i capelli appiccicati sulla testa, le pozzanghere che
schizzano, i piedi freddi, l’acqua che provoca strani scricchiolii nelle
scarpe.
Quando
sono in fase di revisione, quando rileggo ciò che ho scritto, se un paragrafo
non mi convince molto spesso è proprio perché sto raccontando, non mostrando.
Perché ho fatto un passo indietro e sono fuori dalla scena. La storia
raccontata è… un po’ come una sinossi molto dettagliata: l’autore che racconta
va un po’ di fretta, come spesso accade nella prima stesura. Che il più delle
volte è buona solo perché permette la seconda.
Diceva
Terry Pratchett che la prima stesura di una storia sei tu, autore, che racconti
la storia a te stesso. Credo proprio che sia così. Una volta che hai il copione,
una volta che hai tutto lo svolgimento della storia non solo in testa ma anche
sulla pagina, puoi darle vita. Davvero.
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