L'antica lotta tra Luce e Tenebra vi coinvolgerà in una nuova battaglia che vede in pericolo l'equilibrio tra bene e male.
Per voi "SOLO UN SOSPIRO" di S.G. Sabanna
«Ricorda Carmen,
l’Equilibrio va preservato. La Tenebra non deve essere distrutta: senza di
essa, come faresti a riconoscere la Luce?
Noi siamo le principali
responsabili dell’Equilibrio. Tu sei la Luce, io la Tenebra, ma non per questo
sono il male. Coesistono un po’ di entrambe in tutti noi: in realtà siamo solo
delle sfumature di grigio, infinite e tutte differenti.
Ricordalo sempre Carmen,
non dimenticarlo.»
Uno
scintillio illumina per un istante la tenebra assoluta. Una figura emerge dal
nulla, notte solidificata nel freddo invernale. Un ansito, un gemito,
una vecchia maschera che prende forma, un logoro mantello che fluttua nella
lieve brezza, un bastone, ghermito da una rugosa mano artigliata, che genera un
debole battito.
Un
attimo e la visione sparisce, inglobata dal buio. La luce dei fanali di un’auto
investe il centro della strada, illuminando una chiazza nera e viscosa
sull'asfalto e nient’altro.
«La Tenebra è ghiaccio,
la Luce è fiamma.
Puoi sciogliere il gelo
della Tenebra con l’ardore della Luce, ma c’è il rischio che il tuo fuoco si
spenga con l’acqua che genereresti.
Non c’è Luce abbastanza
sfolgorante da dissipare completamente la Tenebra, ma quest’ultima può essere
tanto fitta da inquinare anche la Luce più pura.»
Il
ticchettio ritmico dei tacchi accompagna la giovane donna dai lunghi capelli
biondi mentre scende la scalinata della piazza, diretta verso un piccolo locale
affollato. È alta, magra, il leggero trucco fa risaltare l’azzurro dei suoi
occhi e la squisita forma delle sue labbra che, tuttavia, di rado si estendono
in un sorriso. È una persona fredda, calcolatrice, distaccata, ma non per
questo non è ammirata dagli uomini: anche in questo momento decine di sguardi
maschili sono puntati sull'abito bianco che indossa, semplice ed elegante, che
mette in evidenza il suo corpo aggraziato e privo di imperfezioni. La profonda
scollatura lascia esposta la delicata pelle diafana, mostrando a tutti un
ciondolo dall'aspetto antico, di sicuro un pezzo unico, finemente lavorato e
completamente in argento, fatta eccezione per una vistosa gemma, uno smeraldo,
adagiato tra le mille sottili spire di metallo, come un rosone.
Si
dirige con passi decisi verso un tavolo chiassoso, attorno al quale sono seduti
quattro uomini e una donna dai capelli corvini. Anche lei è di una bellezza
stupefacente, ma rappresenta quanto di più diverso dalla bionda: se una è la
fredda grazia di un raggio lunare, l’altra è l’incarnazione del nucleo stesso
del sole, capace di ustionare con la sola energia prorompente emanata dalla sua
presenza. Intrattiene un’animata conversazione con i quattro giovani, flirtando
e inebriandoli con una sensualità ipnotica, primordiale. La carnagione scura,
il corpo formoso, la voce suadente, tutto in lei cattura gli ascoltatori.
La
bionda si piazza davanti a lei e in pochi attimi i sorrisi sornioni e le
occhiate complici sembrano solo ricordi sbiaditi. Come burattini privi di
volontà, gli uomini si alzano e se ne vanno, senza una parola, senza apparente
motivo.
«Sei
sempre così...» inizia, le labbra incurvate in una smorfia di sdegno.
«Sexy?»
la interrompe la bruna, divaricando leggermente le gambe fasciate in una
minigonna. «Affascinante?» Butta indietro la testa, facendo svolazzare la sua
folta chioma. Sorride, ma i suoi occhi non si illuminano. «Migliore?»
«Sei
solo una puttana» sputa la prima. «E farai meglio a non intralciarmi.» I suoi
occhi ardono di una luce gelida, tagliente. Si posano un solo istante sul drink
della mora, nel quale galleggia un cubetto di ghiaccio. Subito si consolida,
diventando un unico blocco gelato. Si volta e se ne va, svanendo nella marea di
gente al di fuori del locale.
La
donna, ancora seduta ma per nulla preoccupata, afferra il bicchiere e sorride;
mentre lo avvicina alle labbra il contenuto si arroventa. Beve fino all'ultima
bruciante goccia di liquido ambrato, lasciando poi il recipiente fumante sul
tavolo insieme ad alcune banconote.
L’Equilibrio
non si spezzerà.
«Ci sono entità che
cercheranno di corromperti, di rubarti l’anima, l’essenza vitale. Ma la Luce
deve essere più forte di esse, non dovrà mai, per nessun motivo, soccombere ai
loro tranelli. L’Equilibrio non deve essere infranto.
Ricordalo Carmen, non
farti ingannare.»
Emerge
dalla tenebra senza un fruscio, avvolto nel suo mantello, ombra tra le ombre,
soffio nella brezza. Si trascina in un vicolo, nessuno lo nota, nessuno lo
sente. Pochi minuti dopo una ragazza, ingenua nella sua giovane età e per
questo motivo debole e facilmente soggiogabile, imbocca lo stesso viottolo,
senza neanche saperne il motivo. Preda dell’oscura trance, si abbandona con la
schiena contro la fredda vetrina di un locale, lo sguardo fisso, le labbra
dischiuse. Uno schiocco interrompe l’ipnosi, le pupille si dilatano in preda a
un terrore improvviso, puntate in due fiammelle circondate da una maschera, la
bocca si spalanca in un grido, soffocato da una mano marcescente, mentre
l’altra le strappa i vestiti. Una debole lotta, una dolorosa sottomissione, la
vita le scorre via dal corpo, l’anima viene divelta dalla carne, l’essenza
ingurgitata dal male sconosciuto. Ma non è sufficiente, è solo il primo passo
verso la Rinascita finale del demone.
Un
uomo avvenente esce dal vicolo. La mattina dopo viene ritrovato il cadavere di
una quindicenne, nudo e coperto di sangue. La carne è avvizzita, aderisce allo
scheletro sottostante, e le sue vene sono completamente prosciugate.
«Possiamo essere amiche,
possiamo essere sorelle, ma saremo sempre rivali, così come da sempre lo siamo.
Dal nulla, fino all'eternità. E poi di nuovo.»
I
pallidi raggi del sole invernale baciano la carnagione lievemente abbronzata
dell’uomo in attesa. La donna arriva, sfolgorante nella sua bellezza, e lo
abbraccia. Un fugace bacio sulle labbra e si avviano lungo il sentiero,
apparentemente incuranti dello sguardo che li spia dall'ombra, quasi bruciando
le loro schiene. Si fanno strada tra gli arbusti, addentrandosi nel bosco,
finché attorno a loro non ci sono altro che alberi dal tronco robusto.
La
donna si volta, sembra allarmata, ma non nota nulla di minaccioso. Il vento fa
ondeggiare le chiome dei sempreverdi, creando giochi di luce e ombra, generando
lievi scricchiolii.
L’aria
è satura del profumo dei pini e del muschio, ma ben presto si mescola anche
l’odore dell’eccitazione, del sudore e del sesso, in una miscela primitiva e
inebriante.
Mentre
i corpi giacciono avvinti tra l’erba carbonizzata, gli occhi della donna si
fissano in un punto imprecisato alla sua sinistra, sul tronco di un albero
ricoperto di brina.
Sorride,
vittoriosa.
«A volte, per mantenere
l’Equilibrio, è necessario un sacrificio. Non sempre, però, deve compierlo la
Luce: solo la Tenebra può inghiottire la Tenebra.
Ricordalo Carmen, il tuo
futuro dipende da questo.»
Il
vento gelido soffia impetuoso contro la vetrina del ristorante, ma non disturba
la coppia seduta in fondo al locale. Hanno attirato più di uno sguardo, ma non
può essere altrimenti. Lei continua a giocherellare con i lunghi capelli dorati
e ogni tanto lancia delle occhiate furtive attraverso la vetrata, quando pensa
di non essere vista da lui, che le parla esercitando il suo notevole fascino.
Si
accordano sui dettagli di una festa che sta organizzando la bionda per
carnevale. Parlano dei costumi che indosseranno, definiscono ogni particolare.
Lui sarà il compagno della donna, splenderanno insieme nella villa in festa.
Dopo
aver cenato, si avviano all'esterno, il braccio dell’uno attorno alla vita
dell’altra. La donna riesce ad avvertire ancora un’impronta sul marciapiede,
che manda verso l’altro anomale ondate di calore. Ma al suo passaggio tutto
torna freddo.
L’Equilibrio
deve restare intatto.
«La Tenebra affascina le
sue vittime, risplende quanto la Luce, a volte anche di più. Per rafforzarsi
deve ingannare, deve corrompere, deve nutrirsi. Deve traviare la natura e le
sue leggi, gettare tutto negli abissi della perversione.
E, quando ci riesce, il
risultato è la Morte.»
La
festa di carnevale è appena iniziata, ma il salone è già pieno di persone. La
gigantesca villa dagli alti soffitti, trionfo dello stile barocco, risplende
degli ori dei tempi andati: ogni oggetto, tenda, tappeto e qualsiasi altro
elemento dell’arredo è in prevalenza dorato, senza donare agli ambienti una
sensazione opprimente, ma, al contrario, di ricchezza ed eleganza. Una
monumentale fontana posta di fronte alla villa diffonde nell’aria un piacevole
gorgoglio, in parte sovrastato dalle voci e dalle musiche rinascimentali.
Il
salone si estende su due piani, collegati da un’imponente scalinata. In cima a
quest’ultima si trova una pendola, scolpita in un unico blocco di cristallo,
fatta eccezione per le parti mobili. Sembra quasi uscita da un altro mondo,
dove il ghiaccio primordiale regna su tutte le creature, incastonandole in pose
eterne.
Il
piano superiore del salone non è altro che un ampio ballatoio, circondato da
una balaustra dallo stile identico al corrimano della scalinata. È lì che si
trova la padrona di casa, in perfetta sintonia con il mondo che la circonda: si
distingue tra le centinaia di invitati, tutti accuratamente mascherati da dame
e gentiluomini dei secoli passati, dal vestito aderente che indossa, che sembra
fatto di puro oro scintillante, di una tonalità più intensa dei suoi capelli
sciolti. Serpeggia sinuosa tra la folla vociante, senza dispensare più di
qualche sorriso di circostanza, il minimo per non apparire scortese.
L’elaborata maschera che indossa, quasi di sicuro un manufatto veneziano unico,
è un trionfo di lustrini e arabeschi di tutti i toni dell’oro. Le copre solo
gli occhi, ma dal diadema incastonato al centro della fronte si estende un
raffinato piumaggio che oscilla da un lato, vistoso senza essere pacchiano.
Si
sta dirigendo verso la scalinata, quando la figura più misteriosa della festa
la affianca per la prima volta. Per tutti è impossibile riconoscere l’uomo
dietro la maschera, ma non per lei. Non per lei, che è in grado di ricostruire
nella sua mente ogni dettaglio di quel corpo magnifico e perfetto celato dal
lucido mantello in raso nero. Indossa una bauta riccamente decorata con stucchi
bianchi, dorati e neri, sormontata da un tricorno del colore della notte
bordato di candido marabù. Per un attimo i suoi occhi sembrano ardere come
braci attraverso la maschera, uno strano riflesso della luce o, forse, della
sua anima tenebrosa e perversa.
Le loro mani si congiungono proprio quando sono in prossimità della pendola; sembrano emettere scintille di ghiaccio. Nello stesso momento entra nel salone una donna mora, fasciata in una tunica di seta nera, le braccia coperte da un leggero scialle dello stesso materiale e un’elaborata maschera, fatta di luce e tenebre strettamente avvinte, che nasconde la sua identità. Quando vede i due con le mani giunte, accade.
Lei
capisce di aver perso. E grida.
Lui
capisce di aver rotto l’Equilibrio. E sorride.
Don.
La
pendola di cristallo batte il primo dei dodici rintocchi, saturando l’aria con
il suo rumore possente e misterioso.
Don.
Al
secondo colpo, tutti i presenti si immobilizzano. I contorni delle persone e
degli oggetti si fanno più sfumati, iniziano a svanire nell'oscura magia del
momento.
Don.
La
bruna fissa lo sguardo sulla bionda, pronta per lo scontro finale. Raccoglie le
energie, digrigna i denti, i capelli le si arricciano, svolazzandole attorno
sulle ali di una brezza innaturale.
Don.
Al
quarto rintocco, l’aria ha già iniziato a condensarsi, mentre le mani della
donna rimasta all'entrata del salone sfrigolano tra due sfere di fiamme
azzurre.
Don.
La
bionda si irrigidisce, le manca il fiato, fatica a muoversi. Non può
difendersi, la Tenebra che divora la Tenebra non si può arrestare.
Don.
Le
sue ciglia si cristallizzano, scintillando. Le conferiscono un’espressione
triste, ma forse non è quello il motivo. Dopotutto, ha fallito due volte.
L’Equilibrio si sta lacerando, e lei non
si rende conto della macchina infernale che ormai ha messo in moto.
Don.
Un
sottile strato di brina le riveste la carne e i capelli, trasformandola in una
regina dell’inverno, un inverno che non vedrà più. Gli invitati hanno cessato
di esistere, la realtà non ha spazio per nessuno oltre le due donne e l’uomo
ghignante.
Don.
Tra
le due si instaura una connessione. La condividono da tempi immemorabili, ma da
molti anni non le univa più. Un flusso di pensieri, immagini, scene di vita si
riversa dalla mente della bionda, facendo vivere i ricordi dell’una all'altra.
E allora il mosaico si ricompone, ogni tessera del puzzle trova la sua
collocazione. Inganni e tradimenti sbocciano sotto una nuova luce, mutando in
sacrificio e incomprensione.
Don.
Il
legame si indebolisce. La mora sta per annullare il maleficio, ma l’uomo spinge
la bionda dalle scale. Il corpo congelato colpisce il marmo degli scalini,
fratturandosi in molteplici punti. Arriva in fondo alla scalinata come una
pioggia di schegge scintillanti, completamente frantumato.
Don.
Ha
spezzato l’Equilibro tra Luce e Tenebre, solo ora se ne rende conto. Ha venduto
la sua anima al demone che già in vita aveva fatto strage di giovani ragazze
travestito da gentiluomo, che approfittava delle folle del carnevale di Venezia
per rapirle e fare di loro ciò che preferiva, gustando quell'attimo, appena il
tempo di un sospiro, mentre le sue vittime comprendevano il proprio destino.
Don.
L’uomo,
il mostro, si volta verso di lei e pianta gli occhi nei suoi. La donna vede un
grumo nero uscirle dal petto, dal cuore, la propria anima bruciata dal male. Si
stacca dal suo corpo e vola verso di lui, gli entra dentro, gli accende
tutt'intorno un’aureola di malvagità, pallido riflesso dell’immenso potere
appena acquisito. La donna si accascia a terra, senza anima non ci può essere
vita.
Don.
L’incantesimo
si spezza, il salone torna visibile, ma non c’è più musica, non ci sono più
voci e risate: ogni singolo invitato giace a terra, i corpi avvizziti e privi
di vita, lacerati, svuotati di tutto. La pendola è ferma, una fenditura
trasversale la separa in due blocchi. L’uomo scende la scalinata, serpeggiando
nel mare di cadaveri scomposti, con calma esce dal salone e si ritrova nel
giardino, di fronte alla fontana completamente ghiacciata. Osserva i getti
d’acqua bloccati in un istante protratto per l’eternità, il gelo della Tenebra
che ha consacrato il suo potere, che ha spezzato l’Equilibrio e che mai nessuno
potrà sciogliere.
S.G. Sabanna dice di se:
Sono un cyborg, precisamente modello SBB9213. La mia mente cibernetica si nutre di romanzi, per la maggior parte urban fantasy, ma anche fantasy, horror, gialli, thriller e storici. I miei circuiti si arrugginiscono senza Christopher Pike, Lisa Jane Smith, Keri Arthur e Jeaniene Frost. Rischio di perdere il controllo e di distruggere il mondo quando una casa editrice interrompe la traduzione di una serie e quando esce una trasposizione cinematografica che non segue il romanzo dalla quale è tratta. Ho iniziato a scrivere racconti per farli criticare dal mio vicino di banco delle superiori, un vampiro – o forse uno zombie? – che non aveva voglia di leggerli e rimandava sempre “a domani”. Il mio corpo metallico non sopporta il calore estivo, a differenza del mio morbido gatto nero: per lui il caldo non è mai troppo. Anche se sono una creatura di laboratorio e non avrei bisogno di mangiare, mi piace farlo e mi cucino quello che voglio mentre riproduco Nelly Furtado con il mio lettore CD integrato. Eh sì, i miei strumenti in dotazione sono stati studiati proprio bene...
Assolutamente fantastico!!!
RispondiEliminaInquietante... una macchia cupa sullo spirito allegro.
RispondiEliminaUn bel racconto, condotto bene, che lascia tutti in ansia fino alla fine.
Fantastico, coinvolgente fin dalle prime righe. Scorrevole, mi sono sentita come fossi lì e vivessi anch'io gli eventi.
RispondiEliminaQuando si dice il VERO talento. Una scrittura impeccabile, priva di sbavature, un'idea originale portata avanti in modo inedito.
RispondiEliminaUn giovane autore da seguire!