IL FINALE NEL ROMANCE
Attenzione: molti spoiler (ovviamente)
Una
delle cose più importanti nel romance è il finale. A prima vista, esso
sembrerebbe scontato: la conclusione deve essere lieta. In realtà questo fatto
si è consolidato nel corso del tempo: potrei citare i precedenti del Conte di Montecristo di Dumas o di Via col vento della Mitchell oppure,
agli albori dei Romanzi, il famigerato Navajo.
Ma
il problema vero è che in merito i gusti sono vari. Quindi ora vi dirò come
dev’essere, SECONDO ME, un finale. O, meglio, come non deve essere.
Innanzitutto
bisogna fare attenzione alla verosimiglianza. Non ridacchiate: intendo la
verosimiglianza nei limiti in cui è possibile nel romanzo rosa. Ad esempio, lo
so che nei telefilm di Zorro tutte ci siamo abituate da ragazzine (io no,
veramente) al fatto che il protagonista, mascherato, non viene riconosciuto
neanche da suo padre. Ma la cosa è davvero insostenibile: va bene che Zorro
cambia la voce nelle due identità (anche se già non è credibile che la sua voce
vera sia quella di Zorro e non quella di Diego). Ma, come è ovvio, le persone si
individuano sulla base di molti elementi.
E che si possa ad esempio non essere
riconosciuti, perché mascherati, durante ripetute scene di sesso è ridicolo:
eppure è successo in Ingannevole bellezza
della Thomas o in Misterioso amante
della Black o in Una dolce conquista
della Balogh.
In
secondo luogo, se per tutto il libro i protagonisti perseguono un obiettivo
(per esempio raccogliere un’eredità come in Capitano
del mio cuore della Hawkins), nel finale non li puoi far rinunciare a tutto
e scambiare Tristan con il fratello. O almeno a me ha dato fastidio.
Scherziamo? Dopo tutta quella fatica?
Se
un aristocratico ha bisogno di un erede e sposa una donna che non può avere
figli, alla fine di solito il bebè nasce. Come è noto, è il caso del Duca di ghiaccio. Mi ricordo solo un
romanzo (L’ultimo segreto della
Masella) dove si ricorre all’adozione (anche se nello specifico, come spesso
avviene nella realtà, ci saranno poi anche gravidanze naturali). Ma è raro.
Quanto
alla grande tematica della malattia, a volte le autrici ricorrono a guarigioni
più o meno miracolose: ad esempio, nella Forza
dell’amore della Heath, Ashton guarisce dalla tubercolosi senza alcuna cura
e l’autrice si premura di informarci che si è ispirata ad un caso reale. A
volte, invece, come in Semplicemente
amore o La luce dell’amore della
Balogh, il lieto fine nasce dalla capacità di trarre il meglio dalle proprie
limitazioni e superarle. Confesso che questo tipo di conclusioni mi piacciono
moltissimo, anche quando devo fare uno sforzo per crederci.
Detesto
invece l’eccessivo buonismo.
In
questo la Balogh è recidiva. In Un vero
dandy è capace di inventare una scena incredibile in cui tutti i nobili del
ton, a cui la protagonista si è
prostituita, intervengono per difenderla dal suo sfruttatore e riabilitarne
(addirittura!) la reputazione. In Un
gioiello raro una prostituta, proveniente da una casa di piacere, diventa
prima una mantenuta, poi la moglie dell’aristocratico di turno e viene
accettata nella piccola cerchia degli amici di lui (tutti persone davvero
superiori). All’epoca il finale mi sembrò ridicolo e mi rammaricai che i due
non fossero almeno andati a nascondersi nell’Africa equatoriale. In verità nel
seguito, Sposa a Natale, si
riprendeva la questione, sottolineando l’emarginazione in cui la coppia si
trovava dopo il matrimonio, ma riuscendo a risolvere sia i suoi problemi sia
quelli della famigerata matrigna di Gerard.
Infatti
in ben due romanzi l’autrice mette in scena delle matrigne spudorate, colpevoli
di aver fatto avance ai giovani figliastri. E, nella Proposta, tutto finisce in una incredibile, risibile
riconciliazione generale.
Però
il caso nello stesso tempo più inverosimile e divertente è quello di Innamorarsi di un lord. Qui abbiamo ben
quattro prostitute, che vediamo esercitare il loro mestiere all’inizio del
volume, tutte simpatiche, tutte che si redimono e si rifanno una vita! Davvero
un po’ troppo anche per la Balogh!
Teresa ha ragione e per molti versi la versomiglianza che lei invoca rimanda non tanto al confronto con il mondo reale quanto al tema della coerenza interna dei personaggi. Un entourage improntato agli stereotipi della rispettabilità non può emendarsi legittimando una moglie ex prostituta. Un personaggio che nel patto narrativo iniziale definiamo mosso dall'obbiettivo di consguire un'eredità non può rinunciarvi nel finale.
RispondiEliminaCara Matesi, hai citato il Navajo, un romanzo che a me è piaciuto moltissimo. Il finale di quella storia di donne sarebbe stato perfetto, se l'autrice non avesse voluto esagerare con una scena troppo cruenta (volendo dimenticare quelle precedenti). Quando avevo letto il libro avevo considerato che nei secoli passati i nativi americani non erano nemmeno considerati uomini (purtroppo), e mi sarebbe parso strano vedere i due protagonisti cavalcare felici verso il tramonto. Ma non ho mai considerato quel romanzo un 'rosa'. Come sempre, complimenti per il tuo articolo. Miriam Formenti
RispondiEliminaEffettivamente, Miriam, all'inizio la collana dei Romanzi non aveva una fisionomia decisa. Ci furono altri romanzi con finale tragico. Rammento ancora Il Navajo solo perché si trattava di una saga su due generazioni che entrambe avevano esito drammatico, in un caso anche ripugnante. Ciò non toglie che il libro era senza dubbio di buona qualità.
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