Genere: Romance – New Adult
Serie: La
studentessa e il potatore. Vol 1
Editore: Self
Pagine: 192
Prezzo: 0,99 € per l’eBook; 9,90 € per il
cartaceo
Uscita: 16
Maggio 2016
Sinossi:
Quando Valentina
conosce Won-ho capisce subito tre cose: la prima, che è la persona più
antipatica che abbia incontrato in Corea; la seconda, che le sue labbra
bellissime non possono cambiare questo fatto; e la terza, che se le chiederà di
uscire gli dirà sicuramente di no.
Dopotutto, non
hanno niente in comune: solo un pessimo carattere, un umorismo tagliente, la
profonda insofferenza per tutto ciò che non si possa fare in tuta e la passione
che li consuma ogni volta che si incontrano.
Ma Won-ho è
tanto abile nel convincere Valentina quanto lo è a potare gli alberi di Busan e
così, tra picnic al chiaro di lampione e caldi pomeriggi nei frutteti, la loro
relazione cresce e l’attrazione si fa sempre più intensa.
Anche se la
coinquilina di Valentina insiste che si stanno innamorando e che sono fatti
l’uno per l’altra, la famiglia di Won-ho si oppone e Valentina si trova di
fronte a una scelta difficile.
La storia
d’amore con Won-ho sopravviverà, o lei e il suo appassionato potatore hanno i
baci contati?
Estratto
«American
girl.»
Gli occhi di
Valentina si aprirono veloci, mentre la sua mente passava dal piacevole torpore
del quasi sonnellino alla lucida ma dolorosa chiarezza del doposbornia.
«Non tu» disse,
guardando in su.
Il potatore,
bloccandole il sole, le sorrise. «Vedo che non hai ancora finito il tuo libro.»
Valentina si
tirò a sedere, punta sul vivo. Su una cosa veneti e coreani si sarebbero
trovati sempre d’accordo: la pigrizia come peccato mortale e vergognosissimo.
«Dovevo finire
un saggio.»
«Non ti devi
giustificare con me.»
«Allora non
chiedere.»
«Sei sempre così
gentile.»
«Mi stai
gocciolando addosso.»
Il potatore fece
un passo indietro e piantò nella sabbia la tavola da surf che portava sotto il
braccio. «Adesso no.»
«Mi fa male il
collo a guardare in alto.»
Senza battere
ciglio, il potatore si lasciò cadere accanto a lei.
Valentina
incrociò le gambe, tirandosi indietro. «Sei bagnato» disse, avendo esaurito
ogni altra obiezione.
«Ero in acqua.
Dovresti saperlo, ci stavi guardando.»
«Non penso che
ti avrei riconosciuto se non fossi stato irritante come l’ultima volta.»
«Sono sicuro che
dopo oggi ti ricorderai.»
«Sei molto
sicuro di te.»
Il potatore
sorrise. «Spostati, American girl.»
«Mi dici sempre
di spostarmi.»
«Devo sfilarmi
la muta.»
«O prenderai
freddo? Pensavo fossi un forte uomo di Busan.»
«Pensavo non
volessi bagnarti.»
«Non ti ho
chiesto io di sederti qui.»
«Troppo tardi»
disse lui, e allungando la mano dietro il collo abbassò la zip, allentando la
muta sulle spalle. Gocce d’acqua spruzzarono Valentina, che stava per
ribattere, quando il ragazzo si sfilò le maniche. Nei raggi obliqui dell’ultimo
sole la sua pelle era lo stesso, perfetto colore del caramello appena tolto dal
fuoco e lo stomaco di Valentina si strinse.
«American
girl», disse il ragazzo, «ormai sono qui, parlami.»
L’autrice.
Karen Waves è nata a Vicenza, ma vive a Padova dove studia lingue moderne
all’Università. Scrivere è sempre stata la sua passione, ma Le cesoie di
Busan è il primo romanzo che si è decisa a pubblicare. Come ispirazione ha
avuto i suoi grandi amori: la Corea, le storie romantiche e gli alberi.
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Recensire un libro
autopubblicato è sempre un’incognita, specialmente oggi perché sono in tanti
gli autori esordienti che si autopubblicano sulle piattaforme digitali.
“Le cesoie di Busan” è stato
una sorpresa, non solo per l’ambientazione e per la conoscenza delle usanze del
paese di ambientazione, ma per la storia in sé.
Il fatto che sia il primo
libro di una serie non fa che accendere la curiosità, considerando anche come
questo primo volume si conclude.
Valentina, studentessa
italiana trapiantata per nove mesi a Busan, in Corea, si imbatte in un potatore
bellissimo che le impedisce di fare pausa pranzo sotto il suo albero preferito.
Da lì i due si inseguono, si scontrano e si innamorano, ma Valentina deve
tornare in Italia in anticipo e la fine sembra inevitabile. Lo sarà davvero?
Non lo sapremo fino all’uscita del prossimo volume, purtroppo!
Intanto, care lettrici e cari
lettori, leggere questa storia vi appassionerà.
I protagonisti sono tre. No,
non c’è il terzo incomodo: c’è la migliore amica coreana, nonché coinquilina di
Valentina, che fa da grillo parlante culturale della storia.
La sua coreana eleganza è lo
strumento che l’autrice usa per farci immergere in questo molto così diverso da
quello occidentale. Con le sue battute sulla barbarie di Valentina, mette in
luce le differenze tra i rapporti umani che intercorrono tra la nostra cultura
e la loro. Grazie a questo “strumento”, le spiegazioni e i termini stranieri
non appesantiscono la storia.
Parliamo ora dei nostri piccioncini.
Figlia di una famiglia benestante e snob, Valentina scappa dall’Italia e dai
parenti perché si sente un po’ disadattata nella sua vita. Non vuole
innamorarsi perché sa che il soggiorno in corea sarà temporaneo, ma al cuore
non si comanda e così, attraverso quest’amore e tutti i dubbi che ne derivano,
conosciamo la protagonista.
Insicura da un lato, forte e
caparbia dall’altro: Valentina ha tutte le caratteristiche delle donne
italiane. Simpatia, coraggio, milioni di dubbi e tanta forza d’animo.
Sono queste le cose che
conquistano Won-ho, un coreano atipico che studia italiano e non sembra sia
molto legato ad alcune tradizioni e formalità del suo paese.
I due si incontrano e lui
capisce subito che la ragazza è perfetta per lui. Sa che deve andar via ma non
gli importa. Won-ho è un uomo speranzoso che ama la vita, nonostante le
costrizioni genitoriali sugli studi e alcune delle scelte importanti per il suo
futuro.
Non parla della famiglia, se
non di sfuggita, ma spero che il secondo volume sia dal suo punto di vista.
Il sesso è raccontato con
tenerezza e passione, è veramente frutto dell’amore tra i protagonisti, non
sembra scritto tanto per aggiungere qualcosa alla storia.
Non ci sono scene forti ma
tanti piccoli momenti d’amore.
Per quanto riguarda stile e
lessico il libro è molto interessante da analizzare.
L’uso di termini in lingua
straniera, come precedentemente accennato, non è pesante né noioso. Ogni
termine ha una funzionalità ed è perfettamente inserito nel contesto.
Lo stile è scorrevole e discorsivo
e non ci sono momenti di noia o che non conquistino.
La pecca che ho riscontrato
sta nell’editing. Fino a tre quarti di libro è stato fatto un ottimo lavoro,
senza grosse defaillance. L’ultimo quarto invece, sembra editato
frettolosamente e ne risente sia il lessico in alcuni punti, con frasi poco
chiare, che la.
Se non si è troppo fiscali,
però, il libro si legge velocemente e con immenso piacere. Io aspetto già il
seguito!
Karen, grazie per averci concesso questa intervista!
Iniziamo subito con la prima domanda: perché la Corea?
Converrai con noi che è una ambientazione insolita per un romance, o almeno per
noi lettrici italiane.
Da anni guardo serie televisive coreane, che ho scoperto
da adulta dopo aver passato infanzia e adolescenza a coccolare il mio amore per
il Giappone. È stato semplice appassionarsi alla loro cultura, voler scoprire
di più sulla loro storia, sugli usi e costumi di questo paese quasi
completamente sconosciuto, e così diverso dall’Asia che già conoscevo.
L’amore per la Corea è arrivato all’improvviso, come un
regalo di compleanno in anticipo, ma ho finito per sentirla vicina e familiare
nel giro di pochissimo. C’è una differenza culturale grandissima tra i nostri
paesi, ma forse è per questo – e non per un “fascino dell’esotico” generico –
che la Corea risulta così affascinante.
L’ambientazione ha richiesto sicuramente molta
attenzione. La conoscenza degli usi e costumi coreani è frutto di un’esperienza
diretta o di ricerche accurate?
Non
ho ancora avuto la fortuna di andare in Corea del Sud, ma potrebbe diventare la
meta del mio viaggio di laurea, forse? È sicuramente un sogno nel cassetto, uno
dei più cari, dopo aver scritto di questo paese (e dato che ho intenzione di
continuare a farlo). Non avendo esperienza diretta, quindi, ho letto tanto,
fatto ricerca e chiesto informazioni e chiarimenti a persone originarie di lì o
che ci avevano vissuto. Per esempio, un nodo fondamentale è stato il nome della
protagonista, Valentina, e il modo in cui poteva essere pronunciato dai
coreani.
Ho
ambientato il romanzo a Busan perché già conoscevo la città e volevo scegliere
una località turistica che non fosse Seoul. Inoltre Busan è molto
caratteristica (il forte uomo di Busan, eh, nonché il loro dialetto, di cui
parlo in Bad girl, e la geografia del luogo), e Won-ho non avrebbe potuto
essere un ragazzo della capitale.
Infine,
ho incluso nella storia anche la mia passione per il cibo: dopo aver fatto
numerosi tour mangerecci, ho pensato che sarebbe stato un peccato sprecare
tutta questa conoscenza accumulata. E così il piatto preferito di Valentina
sono diventati i tteokbokki, che piacciono molto anche a me.
Quanto
di Karen c'è in “Ballentina”? Sei solita identificarti nei tuoi personaggi?
Valentina
mi assomiglia davvero poco – a volte le presto un vestito o un’abitudine che mi
appartiene (la dipendenza dalla caffeina!), ma siamo persone molto diverse. È
quello che la rende così interessante da scrivere: seguo la sua evoluzione
attraverso scelte che io non farei mai.
Però,
lo confesso, inevitabilmente c’è un po’ di me in tutti i personaggi che scrivo:
posso generosamente donare qualcosa di me a loro, ma scrivendoli, come ho fatto
con Won-ho in Bad girl, finiscono per insegnarmi qualcosa che non sapevo di me
stessa e di loro.
Sappiamo
che “Le cesoie di Busan” è il primo volume di una trilogia. Conosceremo di più
sulla misteriosa vita dei nostri protagonisti?
Assolutamente
sì! Le cesoie di Busan è stato un esperimento, che ha avuto un riscontro
positivissimo. Non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo se i lettori avrebbero
apprezzato l’ambientazione ma ancora di più una protagonista “cattiva”, con un
carattere molto particolare, e un eroe romantico basso e coreano.
Il
secondo libro è molto più lungo (più di 300 pagine), e potrete vedere Valentina
nel suo habitat naturale, tra Padova e Bassano, e conoscere di più la storia
della sua famiglia.
A
Won-ho, invece, ho dedicato Bad girl proprio per raccontare più da vicino la
sua vita prima di Valentina, i problemi familiari che deve affrontare con padre
e fratello, i desideri e le aspettative di un ragazzo coreano della sua età, il
suo modo di pensare, le sue passioni come la letteratura e la potatura e la
cultura che, alla fine, lo condiziona.
In
questo primo romanzo hai presentato una serie di personaggi secondari molti
interessanti. È nei tuoi progetti indagare le loro storie?
Al
momento mi sto concentrando su Valentina e Won-ho, che minacciano di levarmi
tutte le energie, però dopo il successo unanime di Kim Yae-rim, una storia dove
è la protagonista indiscussa sembra quasi doverosa. Ci penserò.
La
Corea è molto affascinante, conti di dedicare la stessa attenzione anche alla
nostra Italia? Quali sono i limiti dell’una e dell’altra ambientazione?
Il
secondo libro della trilogia è interamente ambientato in Italia, in Veneto,
soprattutto tra Bassano del Grappa (dove ho vissuto) e Padova (dove vivo).
Siccome stavolta gioco in casa, ho parlato di luoghi che conosco bene e spero
di aver reso un buon servizio alle città che mi hanno ospitato.
Scrivere
di luoghi familiari è più semplice e immediato, si può giocare con le
sensazioni e le sfumature di quello che già si conosce, ma l’ambientazione
lontana consente un libero sfogo della fantasia che altrimenti sarebbe
difficile permettersi. Il luogo sconosciuto crea in noi e nei personaggi (come
Valentina, italiana all’estero) uno spaesamento e una sensazione straniante
davvero interessanti, soprattutto per la resa nella scrittura.
Valentina
stessa, in Corea, è una persona diversa: parla un’altra lingua, si esprime con
un idioma che descrive il mondo con espressioni e parole radicalmente diverse
dalle nostre. E poi deve seguire le regole e le consuetudini del paese che la
ospita, quindi anche il suo comportamento ne è influenzato.
I
due volumi riflettono questa radicale differenza. Scrivere di Valentina e
Won-ho in Italia, però, è stato un esercizio di scrittura più doloroso: a
questo punto della loro relazione, ho sentito più da vicino i problemi del loro
rapporto interculturale, anche se entrambi conoscono benissimo l’uno la cultura
dell’altro.
Il
potatore esiste davvero? Se sì, quanto dell’uomo reale c’è nel personaggio?
Vorrei
poter orgogliosamente dire che il potatore coreano è modellato sul mio
fidanzato, ma purtroppo devo dare una delusione a chi ci sta leggendo, perché
non è andata esattamente così. Per l’aspetto fisico di Won-ho mi sono ispirata
a Hoya, attore e membro della boyband coreana Infinite. È un ottimo ballerino con
viso e occhi dolci, a volte, ma che si muove in modo molto sensuale. Ho trovato
questa combinazione inusuale e interessante. Mi ha colpita e ho cominciato a
immaginare un protagonista con queste caratteristiche, che ho poi arricchito
con un background e un carattere particolari. Da un lato Won-ho doveva
assomigliare per il suo – pessimo, anche se le lettrici lo amano – carattere a
Valentina e dall’altro volevo una persona decisamente poco comune, potatore
(quella la sua occupazione principale, anche nel non-cuore di Vale), surfista e
letterato.
Com’è nata l’idea del libro? Cosa ti ispira
solitamente nella scrittura?
Il
libro è nato come una sfida: volevo dimostrare a un’amica recalcitrante che
anche un uomo coreano poteva essere attraente. Però quando ho cominciato a
scrivere mi sono fatta prendere dall’entusiasmo e le idee sulla storia sono
aumentate con il passare del tempo. Scrivere di Valentina e Won-ho è davvero
bellissimo e molto molto divertente, a parte nelle scene drammatiche.
La
mia ispirazione, invece, varia a seconda dei giorni: ci sono scene che non vedo
l’ora di scrivere e appena mi siedo alla scrivania comincio e riesco a finire
un capitolo in maniera soddisfacente. Altre volte mi serve un’immagine o una
canzone per convincermi. Penso spesso ai miei libri ascoltando musica, per
questo inserisco sempre una playlist alla fine. Voglio condividere con i
lettori anche questo aspetto della scrittura.
Da
quanto tempo scrivi? I tuoi romanzi prevedono uno studio accurato o ti lasci
trasportare dai personaggi?
Scrivo
da quando ero bambina, ma Le
cesoie di Busan è il primo libro che ho
deciso di pubblicare. Penso che cominciare a relazionarmi alla scrittura in
modo professionale (con una persona che mi segue e mi edita costantemente) mi
abbia aiutato a canalizzare la mia fantasia e il mio entusiasmo, e non meno
importante a trovare una voce che mi rispecchia e soddisfa. Questa voce non è
sempre uguale, ma si adatta a scene, circostanze, personaggi. Il mio desiderio
è essere riconoscibile come scrittrice, ma senza dovermi fossilizzare su uno
stile o un genere in particolare. Per questo ho cercato di adattare la lingua
al punto di vista di Won-ho, quando lavoravo a Bad girl. È stato naturale,
quindi, scrivere diversamente, lasciando più spazio alla riflessività e
all’introspezione. Insomma, un esperimento più “letterario” delle Cesoie.
Cosa
ci riserva il futuro? Puoi raccontarci qualcosa in esclusiva?
Il
mese scorso ho concluso la stesura del sequel delle Cesoie, che uscirà questo
autunno, e ho cominciato una nuova revisione proprio ieri.
In
queste settimane, poi, sto lavorando al plot del terzo libro e di altre due
novelle. Una dedicata a Valentina e Won-ho (con una storia nuova) e l’altra
storica, ma è una sorpresa.
Grazie
per essere stata con noi. Attendiamo con ansia i tuoi prossimi lavori!
Grazie
a voi! È stato un piacere.
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