Com'era l'educazione sessuale prima del Sessantotto? Ce lo spiega Teresa Siciliano e ci segnala qualcosa che nei romanzi non quadra. Cosa? Scopritelo!
Avevo 18 anni nel 1968 e, dal momento
che ero nata in una famiglia di origini meridionali, non occorre dire che non
ricevetti nessuna educazione sessuale, a parte l’ordine generico di tenermi
lontana dai maschi. Non rammento quando si aggiunse l’informazione che da tali
contatti poteva nascere un bambino illegittimo, prospettiva allora
terrificante. Del resto solo con la riforma del diritto di famiglia del 1975,
se ricordo bene, i figli naturali furono sostanzialmente equiparati dalla legge
a quelli nati nel matrimonio.
Non mi fu detto altro, ma questo non mi
toglieva la curiosità di sapere qualcosa di più. Per l’esattezza tutte noi
ragazzine tenevamo sempre le orecchie ritte per cogliere al volo ogni parola
sul tema che sfuggisse a madri e zie. Nessuna mi avvertì che lo sviluppo fisico
per una donna coincideva con l’arrivo della prima mestruazione, ma, quando
successe anche a me (e avevo 12 anni), non mi spaventai affatto, come altre mie
coetanee, che pensarono di essere in punto di morte. In un’epoca in cui non
esistevano gli assorbenti usa-e-getta, non avevo tardato ad accorgermi che ogni
mese mia madre metteva a bagno in acqua saponata (non c’erano ancora i
detersivi) dei pannolini insanguinati. Non mi ricordo di aver mai chiesto
informazioni in merito perché certe domande provocavano sgridate. Mi limitai a
fare due più due. Perciò, quando mi arrivarono le mie cose, come si diceva allora, chiamai mia madre in bagno
riservatamente (perché avevo una sorella di quasi cinque anni più piccola) e a
lei, che mi rassicurava dicendo che era una cosa naturale e che ero diventata
donna, risposi con un’aria di superiorità: “Lo so, lo so!”. Sempre stata
supponente anche a 12 anni! A mio padre la notizia fu data separatamente e da
quel momento, senza bisogno di parlarne insieme, tutti demmo la situazione per
assodata.
Ma mia madre mi espresse tutta la sua
contentezza e per festeggiare di lì a breve mi comprò il primo servizio da
tavola ricamato per il mio corredo, come usava all’epoca. E manco a dirlo, lo
conservo ancora. Se paragono la mia esperienza a quella di tante altre ragazze del
tempo, posso dire di essere stata fortunata: niente maledizione della donna,
niente “poverina, hai cominciato a soffrire!”. Forse è per questo che, quando
tanti decenni dopo andai in menopausa, la cosa non mi causò nessuna
depressione: faceva parte dei normali cicli della vita.
Mi ricordo un episodio curioso: una
volta in cucina, mentre asciugavo i piatti, chiesi a mia madre come mai noi
figlie assomigliavamo ai nostri genitori. Mia madre arrossì imbarazzata e mi
sgridò dicendo che lei non si sarebbe mai azzardata a fare una domanda simile a
sua madre. Mi si accese in testa la disneyana lampadina e, guardandomi bene dal
dire altro, pensai: “Ah! Riguarda quella roba là!”. Cosa che fino ad allora non avevo neanche sospettato: avevo parlato con la maggiore
innocenza del mondo, sotto la spinta di una curiosità puramente scientifica.
Insomma la nostra istruzione in merito
avveniva tutta così: non c’era nessun libro di fisiologia in casa e neanche a
scuola e ancora alle medie, nel III volume di economia domestica, si parlava
diffusamente di come allevare un neonato, ma manco un accenno a come veniva
concepito e partorito. Immagino lo portasse la cicogna.
Informazioni più precise e dirette
(tenetevi forte!) le ebbi molto più tardi, quando avevo QUINDICI anni e la mia
compagna di banco mi riferì quello che aveva saputo, naturalmente non da sua
madre, ma da una cugina più grande, appena tornata dalla luna di miele. E a
quel punto mi fu finalmente chiara, almeno in linea generale, la meccanica del
rapporto sessuale.
Oggi sembra impossibile, ma c’è stata
un’epoca in cui c’era molta più ignoranza di oggi e soprattutto si riteneva che
una ragazza perbene non solo non doveva fare certe cose, ma neanche saperle:
altrimenti cosa avrebbe pensato suo marito? Era lui che doveva spiegarle tutto!
E il sistema funzionava quasi sempre: bisognava incontrare un gran seduttore
(non so dove, non so quando) ed essere molto innamorate e determinate per
tralignare. Perché eravamo sorvegliate con grande attenzione e quindi le
circostanze erano piuttosto difficili. Nel mio caso particolare sarebbero state
praticamente impossibili. Ci veniva poi inculcata una grande paura dell’uomo e
venivamo avvertite che ai maschi interessava solo quella cosa là (mai sentita
in quegli anni la parola sesso) e che saremmo state abbandonate incinte senza
un rimorso al mondo. Eravamo noi a dover stare attente!!!
All’inizio del romanzo (e siamo dalle
parti del 1824) la protagonista Philippa si presenta in una sala da gioco (?!),
che si chiama (guarda un po’!) L’angelo
caduto, e si rivolge al proprietario.
—
Devo ripetermi? — domandò la ragazza, poiché il silenzio continuò.
Lui
non rispose. Non era necessario ripetere. La richiesta di lady Philippa gli si
era incisa nella mente.
Tuttavia,
la ragazza alzò una mano e si sistemò gli occhiali sul naso, poi inspirò a
fondo. — Voglio essere sedotta. — Le parole erano semplici, il tono deciso come
poco prima, senza traccia di nervosismo.
Sedotta.
Cross osservò come le labbra di lei si arrotondassero attorno alle sillabe,
accarezzassero le consonanti e indugiassero sulle vocali, rendendo inquietante
ed erotica quella parola.
All’improvviso,
nell’ufficio divenne molto caldo.
—
Siete pazza.
La
giovane arretrò, stupita. Bene. Era giusto che qualcun altro fosse stupito
dagli eventi della giornata. Finalmente, Philippa scosse la testa. — No. Non
credo.
E perché?
— Tra quindici giorni sposerò un uomo con il
quale ho ben poco in comune. Lo farò perché è quello che ci si aspetta da me.
L’intera Londra parteciperà al matrimonio. Inoltre, non credo che avrò mai
l’opportunità di sposare qualcuno di più adatto a me. E, soprattutto, lo farò
perché ho promesso di farlo e io mantengo sempre la parola.
In realtà Philippa non vuole essere
sedotta (lapsus freudiano?), ma solo informarsi.
— Però,
capite, voglio sapere. Dato che voi siete ritenuto uno dei massimi esperti
sull’argomento, chi meglio di voi potrebbe assistermi nelle mie ricerche?
—
Sui bambini?
La
giovane sospirò, frustrata. — Sulla riproduzione.
—
Cercate qualcun altro. Un tipo diverso.
Lei
lo scrutò, ferita dal suo tono beffardo. — Non c’è nessun altro.
—
Come fate a saperlo?
—
Chi credete che potrebbe spiegarmelo? Mia madre no, di sicuro.
— E
le vostre sorelle? Avete provato a chiederlo a loro?
—
Non sono certa che Victoria o Valerie abbiano molto interesse o esperienza al
riguardo. E Penelope… Cambia discorso appena le si chiede qualcosa che abbia a
che fare con Bourne. Si mette a blaterare di amore e cose simili. — Philippa
alzò gli occhi al cielo. — Non c’è posto per l’amore nella mia ricerca.
Naturalmente tutto sarà inutile.
Scosse
la testa e pronunciò le uniche parole che si fidava a proferire. Brevi.
Precise. — Temo di non poter accettare la vostra richiesta, lady Philippa. Vi
suggerisco di porgerla a qualcun altro. Forse al vostro fidanzato. — Detestava
quel consiglio, ma resistette all’impulso di rimangiarselo.
Lei
rimase in silenzio per qualche istante, battendo le palpebre dietro le lenti
spesse, quasi a ricordargli che era intoccabile.
Cross
attese che la giovane insistesse ancora. Che lo attaccasse di nuovo con le sue
occhiate dirette e i termini espliciti.
Naturalmente,
però, quella donna era del tutto imprevedibile.
—
Vorrei davvero che mi chiamaste Pippa — disse. Si volse e se ne andò.
Intendiamoci, la scena è molto, molto
più lunga. Immaginerete anche facilmente che Philippa non consulterà affatto il
suo fidanzato. E come andrà a finire la faccenda.
Articolo davvero simpatico. Quanti ricordi. Stessa età, ma so di essere stata un po' più libera di te. Mio padre era poco presente a causa del lavoro e mia madre non mi negava nulla. Potevo uscire con i miei amici, andavo a ballare tutte le domeniche e mi era concesso uscire il sabato sera fino alle ventitré. Tuttavia nemmeno io avevo risposte alle mie domande. Leggevo imbarazzo negli occhi della mamma e della nonna. Tutto quello che ho saputo è stato grazie ai compagni di scuola. Ora vorrei aver avuto il telefonino per registrare e ritrovare quelle conversazioni assurde. Grazie, Teresa, per avermi riportato indietro.
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