Un nuovo, interessante articolo di Teresa Siciliano, che affonda le radici nel passato per spiegare la sua apprensione per il futuro. Leggete e fateci sapere la vostra opinione!
Il
processo di globalizzazione in atto ci ha fatti uscire dall’ambito provinciale
italiano fino a guardare tutto il resto del mondo. Per questo ci è impossibile
non vedere che la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è sulla terra largamente
disattesa.
Per
esempio molti paesi islamici (non tutti) non riconoscono la parità di diritti
fra uomo e donna e contemporaneamente sono lacerati da guerre di religione fra
sunniti e sciiti, fra mussulmani e cristiani, fra mussulmani e qualunque altra
religione.
Non
che noi europei possiamo fare lezione a qualcuno. Ricordiamoci che fino alla
Rivoluzione francese ci siamo distinti per eccidi di massa fra cattolici e
protestanti e all’interno di ogni confessione fra ortodossi ed eretici. Abbiamo
illuminato l’Europa con il rogo cattolico di Giordano Bruno e quello calvinista
di Michele Serveto (e tanti altri di cui non abbiamo serbato memoria). Perfino
il grande Galileo dovette abiurare le sue teorie scientifiche per salvarsi la
vita. Non parliamo poi dei ricorrenti pogrom contro gli ebrei e della sorte
delle cosiddette streghe. Come mai da noi gli stati (salvo eccezioni, ad
esempio la guerra civile nell’ex Jugoslavia) non fanno più queste cose? Perché
noi abbiamo avuto l’illuminismo, gli altri no.
In
tale ambito l’opera italiana più importante è Dei delitti e delle pene, pubblicata nel 1764 da Cesare Beccaria, probabilmente
sulla base di lunghe discussioni nell’ambito del gruppo milanese cui
apparteneva. Qui troviamo quasi tutte le basi del diritto moderno. Mi pare
opportuno riassumerne i principi, dal momento che si sta diffondendo anche da
noi una certa intolleranza. E basta un’occhiata a facebook per accorgersene.
Alle
radici c’è il concetto rousseauiano di contratto sociale: lo stato è nato
perché ogni cittadino ha rinunciato ad una parte della propria libertà
individuale, per avere in cambio sicurezza e pace. Il principio più importante
è la legge: essa deve essere uguale per tutti, chiara (quindi scritta in modo
semplice nella lingua compresa da tutti) e colpire in modo diverso le offese
alla proprietà e quelle alla persona. Le pene devono essere proporzionate al
delitto, che deve essere un reato e non un peccato: dei peccati si occupano Dio
e la Chiesa (anche se non credo che Beccaria fosse praticante), dei reati
poliziotti, giudici e giurati.
Il
fine delle pene è quello di impedire al reo di fare ancora del male e
distogliere gli altri cittadini dall’imitarlo. NON è quello di far soffrire
fisicamente il colpevole. La colpevolezza deve essere accertata sulla base di
prove e di testimonianze valide, che devono essere pubbliche: quindi, fa
intendere Beccaria, bisogna abolire i processi inquisitoriali, imperniati sul
segreto della confessione. Le opinioni non sono mai reato, in modo particolare
le opinioni su questioni teologiche.
Ma
gli obiettivi polemici del trattato sono la tortura e la pena di morte.
Allora
la tortura era una crudeltà, consacrata dall’uso e riconosciuta dalle leggi nella
maggior parte delle nazioni, allo scopo di costringere l’accusato a confessare
e indicare i complici: è il mezzo sicuro, dice Beccaria, per assolvere i
robusti scellerati e condannare i deboli innocenti. Non ha nessuna reale
possibilità di scoprire la verità, dal momento che, per sfuggire alla
sofferenza, quasi sempre si è disposti a confessare qualunque cosa. Per giunta
avviene nel segreto delle carceri e quindi non serve a distogliere gli altri
dal commettere certi atti. In questo ambito rientra anche, secondo lui, il
cosiddetto interrogatorio di terzo grado.
Fondamentale
la prontezza della pena, che invece dev’essere dolce: l’atrocità dei supplizi
da una parte rende più crudele il comportamento sia dei delinquenti che dei
cittadini onesti, dall’altra rischia di innescare negli spettatori un
atteggiamento di pietà e di solidarietà con il reo.
Più
cauto si dimostra l’autore nei confronti della pena di morte. Non perché non
abbia le idee chiare, ma perché l’idea di abolirla era allora sconvolgente. Per
lui la pena di morte è illegittima, dal momento che mai nessuno nel contratto
sociale si sognerebbe di conferire agli altri il diritto di ucciderlo, e
inoltre, nel “tranquillo regno delle leggi”, non è necessaria e neppure utile. Essa
non ha mai distolto gli uomini dal commettere reati (e difatti le statistiche
moderne dimostrano che i paesi che la applicano annoverano un maggior numero di
reati gravi rispetto agli altri). Questo perché non è l’intensità della pena,
ma la sua durata a spaventare di più, secondo Beccaria. Le esecuzioni per un
verso incitano alla violenza, per un altro diventano spettacolo, per un altro
ancora provocano pietà nei confronti del condannato. Molto meglio il carcere e
i lavori forzati.
Parallelamente
si vogliono depenalizzare quelli che vengono definiti delitti di prova
difficile: l’adulterio, causato dall’abitudine ai matrimoni combinati dalle
famiglie, l’omosessualità, che avrebbe origine nei collegi, separati per sesso,
e l’aborto/infanticidio, provocato dalla persecuzione sociale che colpisce le
ragazze-madri.
Immagino
che alcuni si chiederanno perché ho voluto fare riferimento a Beccaria. È che ultimamente mi impressionano certi
interventi su Facebook e altrove: persone che invocano l’ergastolo per un
borseggio e altre che chiedono l’evirazione chirurgica per uno stupro o la pena
di morte senza processo per la pedofilia. Intendiamoci: si tratta di reati
gravi, ma bisogna sempre ricordare che la pena dev’essere proporzionata al
fatto commesso e bisogna considerare, inoltre, se sia opportuno curare il
responsabile.
Ma
il caso che più mi preoccupa è quando i reati vengono commessi da uno stato
democratico. Tutti sappiamo che dopo l’11 settembre negli Stati Uniti e altrove
(anche in Italia) si è praticata la c.d. rendition:
quindi delle persone, indiziate di terrorismo, sono state prelevate con la
forza, senza provvedimento di estradizione, e portate segretamente all’estero,
dove sono state torturate per strappare loro presunti segreti. E potremo mai
dimenticare le foto di Abu Graib?
Se
questo avviene negli stati che si basano su costituzioni democratiche, peggio
succede nei paesi islamici. Di recente chi voleva ha potuto guardare le decapitazioni
di persone innocenti ad opera dell’Isis, lo sterminio di interi villaggi, la
distruzione di inestimabili testimonianze del passato o il rapimento e lo
stupro di 200 ragazze, colpevoli solo di andare a scuola.
Nessuna
conquista civile è per sempre. Perciò mi preoccupa molto anche il moltiplicarsi
di scene di violenza nei rosa, un tempo regno di una realtà semmai troppo
edulcorata. Da cavalieri del bene gli eroi sono diventati torturatori e killer
spietati, con regole basate sul loro senso morale (presupposto, ma non
dimostrato) e non sul diritto. Così si torna alla legge della giungla!
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