Concludiamo questa prima settimana della rassegna Romantic Xmas non con un racconto ma una testimonianza. Valentina Gregori ci parla della sua terra dilaniata dal terremoto. Noi tutti ci stringiamo agli amici del centro Italia.
Ricordo borghi che evocano la Storia,
le tradizioni e la tenacia della gente. Sono costruiti in territori dalla
bellezza incontaminata, arroccati su colline o edificati tra gole strette e
altopiani ai piedi delle montagne, tra boschi, pascoli, vallate e campagne. Sono
paesi caratteristici che testimoniano la cultura di queste zone. L’arte e la
fede riecheggiano nelle chiese e nei monasteri. Il passato emerge dalle antiche
vestigia dei centri, che si sono sviluppati conservando le tradizioni. La
natura è contesa dagli artigiani della terra e dagli allevatori di bestiame. La
saggezza popolare e il folclore si perpetuano nelle abitazioni, nelle piazze,
nelle locande, nelle piccole imprese. La vita lassù non è facile: convive con il
rigore del tempo, con le asperità e la sismicità del territorio, con la
distanza dalle città . La gente che è voluta restare ha imparato ad essere
risoluta. Ha creato comunità strette e solidali, ricche di saperi. I visitatori
si affacciano durante l’estate per apprezzare le tradizioni, per ammirare i
paesaggi, per partecipare alle sagre e allo spirito religioso, per riposare dal
frastuono della frenesia.

Di Pescara del Tronto non è rimasto più
nulla e la frana sta trascinando le rovine sulla strada. La distruzione di Accumuli
e di Arquata del Tronto si erge sulle colline in tutta la sua catastrofe. Sono
stati rovinati Grisciano, Trisungo e le fabbriche che si incontrano lungo il tragitto.
Immagino, dalla televisione e dai racconti, lo scenario apocalittico di
Amatrice e delle frazioni che non si scorgono. Le forze dell’ordine ne
sorvegliano gli accessi. Non voglio dimenticare neppure i danni subìti nelle altre
regioni delle provincie di Rieti, Ascoli Piceno, L’Aquila e Teramo.
Ed ecco il gigante “bello e terribile”
che domina: il Monte Vettore. “Terribile” perché si innalza sulla faglia
distruttiva. Lui è il prodotto di ciò che avviene in profondità . Non si nota
dalla Salaria, ma io so che è ferito e questa lacerazione si è approfondita. In
fondo, anche lui soffre e non è responsabile delle forze che si scatenano
sottoterra. Lo sguardo cade sul viadotto che dalla strada, nei pressi di
Arquata, si inerpica verso Norcia. Sull’onda di questi pensieri, lascio vagare
la mente e il cuore verso il confine tra Marche e Umbria. Luoghi che conosco,
che chiunque viva nella mia zona ha visitato o almeno ne ha sentito parlare, vicino
a cui ho studiato. Il gioiellino Castelluccio, Norcia, Cascia, Castelsantangelo
sul Nera, Ussita, Visso, la cittadina
universitaria Camerino, … la lista è lunga, sembra quasi infinita. È stato un
colpo all’anima ascoltare i racconti e vedere le immagini della desolazione in
cui versano. Il crollo della Basilica di San Benedetto e le rovine di
Castelluccio sono diventati il simbolo della catastrofe più recente.
Anche la natura ha reagito a suo modo.
Ne sono testimonianza l’esondazione e l’aumento della portata del fiume Nera, la
ricomparsa del torrente Torbidone, la presenza dei nuovi “vulcanelli di fango”,
le montagne spaccate e franate, lo sprofondamento o il sollevamento del suolo
in un’area molto vasta. La geografia si è modificata. Non è una novità per
queste terre, costrette a subire spesso trasformazioni. Ma quando accade la
potenza è devastante. Ed è il disastro.
Le tendopoli, le casette in legno, i
container, i camper e le auto, le tensostrutture, gli alberghi, sono rimaste le
uniche alternative di vita della gente. Gli aiuti, la protezione civile e le
forze dell’ordine si affannano a sostenere e per recuperare la serenità . Le mie
due patrie, Ascoli Piceno e Rieti, avvertono il dolore che si leva da lassù. È
la tensione per le scosse continue; è la spossatezza per le condizioni incerte,
sopportabili a forza, e per il vissuto della sciagura; è la disperazione per le
giovani vite spezzate, di chi ha perso tutto e ha timore per il futuro. Che
cosa ne sarà delle aziende? Che cosa ne sarà delle comunità ?
Lassù l’estate lascia presto il posto
alle temperature rigide. L’inverno arriva di prepotenza, con il suo carico di
gelo e il candore della neve. Quest’anno lo spettacolo della natura invernale si
trasforma in un’atmosfera malinconica e amara. Penso alle persone e al bestiame
rimasti, costretti in strutture di fortuna o all’addiaccio. Li immagino patire
l’inverno. Quel freddo con cui avevano imparato a convivere e che ora si è
trasformato in un’avversità difficile da superare.

Credo che lassù la gente festeggi il
Natale più unita che mai. Auguro a loro un Natale ardente, che sappia
sciogliere l’inverno dai cuori oppressi. Per ritrovare e rinnovare la speranza.
Io so e loro sanno che il ricordo dei borghi tornerà vivo. Con una nuova consapevolezza
profonda, che renderà più forti le comunità : essere sopravvissuti alla tragedia
del 2016.
Dimenticate le polemiche sul sisma. Quest’anno
a Natale festeggiate, insieme alle famiglie e agli amici, anche per il Centro
Italia colpito. Con lo spirito giusto: il rispetto per i territori distrutti,
il conforto per coloro che stanno resistendo, la fiducia per la rinascita. Se
potete, sosteneteli economicamente, comprate i loro prodotti, partite come
volontari per festeggiare con loro.
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