Come tutti gli studenti della mia
generazione, in II media affrontai l’Iliade
di Omero (però nella traduzione commentata di Romagnoli, niente Monti per me).
In classe ovviamente leggemmo solo un’ampia antologia del poema, ma chi voleva,
cioè io, aveva comunque a disposizione tutto il libro. O così credevamo. Per la
verità fummo molto incuriositi dal fatto che qualche brano, presente nel
riassunto iniziale di un canto, non c’era nei versi: ad esempio l’episodio in
cui Era-Giunone seduce il marito Zeus-Giove. E a volte il segno grafico (…)
segnalava che qualche cosa era stata omessa. Eravamo nel 1962 e per la verità il
fatto non ci indignò: allora pareva normale che i bambini non potessero leggere
o vedere tutto, soprattutto quanto riguardava il sesso.
Nonostante fossimo solo femmine, come
usava allora anche nella scuola pubblica, fummo subito affascinate dalle figure
dei due protagonisti, Achille ed Ettore. Anzi nella classe si crearono due veri
e propri partiti, come oggi nelle tifoserie di calcio, e se non venimmo alle
mani poco ci mancò.
Io capeggiavo il partito di Achille,
in netta minoranza (e temo per colpa mia). La maggior parte delle altre erano
filo-Ettore e non sono sicura del motivo.
In realtà questa dicotomia è già nel
poema. Omero (o chi per lui) ha costruito la vicenda, con invenzione geniale,
intorno all’ira di Achille e condivide in gran parte la sua concezione della
vita. Al centro c’è il desiderio di gloria (bellica, naturalmente): a causa di
esso il personaggio, che è figlio di una dea e quindi ha potuto scegliere, ma
non è invulnerabile (e neppure bisessuale) come in un’altra tradizione, ha
preferito una vita breve e gloriosa ad una lunga, ma piatta e grigia. Nella
gloria rientra ovviamente il concetto di onore e perciò l’eroe non può
tollerare che gli venga tolta la schiava Briseide, preda di guerra che si è
meritata con il suo valore. L’autore non chiarisce se ci sia amore fra Achille
e la donna, ma certo, quando è costretta a recarsi da Agamennone, si sottolinea
che Briseide lo fa a malincuore.
Grande è l’ira del guerriero, che si
ritira nella sua tenda e non partecipa più alla guerra, rifiutandosi di tornare
anche quando Agamennone cerca una nuova alleanza con lui, offrendogli doni di
riparazione compresa Briseide, che giura di non aver toccato.
Siamo chiaramente in una tipica
situazione greca di hybris, cioè, potremmo dire in termini moderni, di delirio
di onnipotenza, che il destino o gli dei puniranno con la morte del giovane
amico Patroclo, ucciso da Ettore. Era l’unica cosa che poteva indurre l’eroe a
tornare all’azione, facendo stragi di Troiani.
Da parte sua Ettore ha aspetti più
moderni: rappresenta l’eroe della patria e della famiglia, legatissimo alla
moglie Andromaca e al figlio Astianatte. Lo vediamo bene quando, in una pausa
della battaglia, si incontra con loro alle Porte Scee. Qui Andromaca tenta di
convincerlo a rimanere al sicuro dentro le mura, in posizioni solo difensive.
Ma Ettore non si fa illusioni:
Donna, anch’io, sì,
penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore dei Teucri,
delle Troiane lungo peplo,
se resto come un
vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio
cuore, perché ho appreso a esser forte
sempre, a
combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando
grande gloria e a me stesso.
Io lo so bene
questo dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che
Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:
ma non tanto dolore
io ne avrò per i Teucri,
non per la stessa
Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i
fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella
polvere per mano dei nemici,
quanto per te, che qualche
acheo chitone di bronzo
trascinerà via
piangente, libero giorno togliendoti.
Poi, prima di tornare a combattere,
si volta a salutare Astianatte, ma il bambino non lo riconosce, a causa
dell’elmo, e strilla. Ettore sorride, si scopre il capo, prende in braccio il
figlio e gli augura di crescere fino a diventare un guerriero migliore di lui.
Personalmente non posso fare a meno
di chiedermi: la scena era straziante per gli spettatori e i lettori antichi di
Omero com’è oggi per noi, all’idea della sorte che attende quel bambino? Non lo
so, ma il contrasto fra i due protagonisti dell’Iliade non potrebbe essere più grande.
Quanto a me, mi ricordo che versai
molte lacrime su quest’episodio, ma rimasi sempre dalla parte dei Greci. Segue
quello che è noto: il duello all’ultimo sangue, la morte di Ettore, lo strazio
che Achille fa del suo corpo, trascinandolo nella polvere intorno alla tomba di
Patroclo, attaccato al suo carro, due volte al giorno per dodici giorni, contro
tutte le regole di rispetto dei defunti. Ci vorrà l’imprevedibile arrivo di
Priamo alla tenda di Achille perché due nemici possano riconoscersi uguali
nella sofferenza che accomuna tutti gli uomini e stabilire una tregua, in modo
che il corpo di Ettore venga restituito alla sua famiglia e alla sua città per
un giusto funerale.
Ah misero, quanti
mali hai patito nel cuore!
E come hai potuto
alle navi dei Danai venire solo,
sotto gli occhi
d’un uomo che molti e gagliardi
figliuoli t’ha
ucciso? Tu hai cuore di ferro.
Ma via, ora siedi
sul seggio e i dolori
lasciamoli dentro
nell’animo, per quanto afflitti:
nessun guadagno si
trova nel gelido pianto.
Gli dei filarono
questo per i mortali infelici:
vivere
nell’amarezza: essi invece son senza pene.
(…)
E così nel
vestibolo della tenda dormirono
l’araldo e Priamo,
ricchi di saggi pensieri.
Ma Achille dormì
nel fondo della solida tenda,
Fra parentesi
l’ultimo verso (che sancisce la conclusione dell’ira di Achille) da ragazzina
non potei leggerlo perché era sostituito da un omissis.
Oggi mi affascina
riflettere sui miei pensieri di bambina: dovevo essere proprio un maschiaccio
per amare tanto un poema di guerra come l’Iliade
e nella contrapposizione fra l’eroe del valore militare e quello della famiglia
preferire il primo. Per quanto mia madre avesse cercato di inculcarmi i
comportamenti femminili tradizionali (e in verità ci fosse anche riuscita),
immagino che qualcosa in me si ribellasse, visto che in passato mi piaceva
giocare con i trenini più che con le bambole e, diventata più grande, preferivo
Achille ad Ettore. Forse ci sarà stato il tipico amore femminile per i
vincitori: non per niente anni dopo, in un sondaggio all’epoca dell’impresa
lunare, fra i tre astronauti io preferii Armstrong, per il solo fatto che lui
era stato il primo a mettere piede sulla luna.
Il fascino
dell’eroe sconfitto, nonostante il suo coraggio e il suo valore, mi avrebbe
conquistata solo molto tempo più tardi.
Adoro i tuoi commenti e mi piace da morire leggerli e confrontarli con i miei ricordi e le mie opinioni. Anche io ho amato Achille da subito non lo visto - neanche allora - come il privilegiato che poteva scegliere ma come il ragazzo che d' istinto sceglie la gloria, il ricordo del proprio nome nella storia, l'eroismo alla vita di tutti i giorni. Era l'epitome della gioventù e della "incoscienza" tipica della giovane età .
RispondiEliminaDi certo posso dire che anche io più che le bambole ho amato giocare a pallone e i miei libri favoriti, all'epoca, erano Salgari, Verne, Stevenson.
Antonella Tonon
E' sempre con immenso piacere che leggo gli articoli di Teresa Siciliano.
RispondiEliminaCon questo sono tornata alle scuole medie con il mio enorme librone di epica.....oltre 40 anni fa.
Gentile Signora, non potrebbe pubblicare una raccolta dei suoi scritti? Anche solo in digitale?
Mi prenoto fin da ora, nel caso succeda.
Grazie per i momenti di ricordi e leggerezza che mi regala.
Cara Marta, se mi manda un mp su facebook , le invio una copia di tutti gli articoli per suo uso personale.
RispondiEliminaLa ringrazio molto ma non sono iscritta a facebook.
RispondiEliminaNon mi sento ancora così "tecnologica" e non saprei da che parte cominciare.
Magari lei riflette sulla raccolta, io intanto mi accontento di leggerla poco alla volta.