Dopo
il grande successo avuto con "JAGUARÀ" (QUI potete leggere la nostra
recensione), Margaret Gaiottina torna a parlarci dei fratelli Saxton con il
secondo capitolo della “Jaguarà saga”.
Genere: Erotico
Editore: Mamma Editore - Òphiere
Pagine: 250
Prezzo: € 9,80
Ebook: € 4,99
Uscita: 11 Dicembre 2014
ISBN: 9788890995477
Target: Per il
pubblico adulto del romance a tinte forti senza uscire dai canoni classici del
rapporto di coppia eterosessuale.
Tutto il suo essere vibrava di un canto diverso, accordato sull’unico nome di Thiago
Sinossi:
A
Sussex e nel jet set internazionale nessuno è più conteso di Thiago,
biondissimo Golden Boy e ultimo rampollo della famiglia Saxton. Ma Sussex non è
solo lusso, è anche desolazione e periferia dove una ragazza come Portia Matini
non sa proprio dire di no. Mai. A nessuno.
Porzia
non sa però che il fascino patinato delle donne dei quartieri alti non regge il
confronto contro la forza vera, quella naturale che sgorga dal cuore, stilla da
labbra impertinenti e da occhi di fuoco come i suoi. Anche quando ci sente
buoni solo per un giro di giostra. Anche quando l’amore più biondo che c’è
nasconde uno spaventoso segreto.
Ancora
i fratelli Saxton della Jaguarà saga, questa volta la penna di Margaret
Gaiottina è dedicata a Thiago.
1.
Una fuoriserie
Portia
osservò attentamente la ragazza nella foto. Maya O’Byrne era quella che si
poteva definire una ragazza fortunata. Un bel tipo, bisognava ammetterlo, con
quei capelli rossi ondulati, snella ma
non secca, morbida in un modo che poteva piacere soprattutto agli uomini.
Tuttavia, anche se interessante, si trattava pur sempre di una sconosciuta,
mentre non si poteva dire lo stesso di lui, il ragazzo al suo fianco.
La
O'Byrne si era aggiudicata Orlando Saxton, bruno tenebroso e ambitissmo. Le
foto pubblicate su Glamour Woman erano state catturate in sequenza: la futura
sposa che usciva dalla limousine con la faccia stupita per l’assedio dei
fotografi; il suo uomo – incazzato nero per l’appostamento – che la stringeva
con fare protettivo per difenderla dai paparazzi.
Le
didascalie riassumevano la storia della tipa: una povera orfana cieca che
guarisce e riesce ad accalappiare il secondogenito di una delle più prestigiose
famiglie d’America, i Saxton di Sussex, fondatori della famosa clinica di
chirurgia estetica. Lo sguardo di Portia volò sulla propria mano e sul livido
che le deturpava il polso.
Gran
botta di fortuna quella Maya, avere un fidanzato disposto a uccidere per lei.
Glielo
si leggeva in faccia a quel tipo che sarebbe stato pronto a battersi, anche a
mani nude contro chiunque si fosse permesso un passo falso. Soprattutto a mani
nude. Quel grande palmo che stringeva la spalla della sua donna doveva essere
capace di carezze irresistibili ma sarebbe stato in grado anche di stringere
una gola. Tutto sembrava, tranne un medico. Piuttosto pareva un guerriero. Nei
jeans di lusso, tra ai lembi della camicia bianca un po’ sbottonata poteva aver
nascosto una pistola. Portia sospirò mentre una voce sguaiata penetrava a forza
tra i pensieri:
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Tutto il suo essere vibrava di un canto diverso, accordato sull’unico nome di Thiago
1. Una fuoriserie
Portia osservò attentamente la ragazza nella foto. Maya O’Byrne era quella che si poteva definire una ragazza fortunata. Un bel tipo, bisognava ammetterlo, con quei capelli rossi ondulati, snella ma non secca, morbida in un modo che poteva piacere soprattutto agli uomini. Tuttavia, anche se interessante, si trattava pur sempre di una sconosciuta, mentre non si poteva dire lo stesso di lui, il ragazzo al suo fianco.
La O'Byrne si era aggiudicata Orlando Saxton, bruno tenebroso e ambitissmo. Le foto pubblicate su Glamour Woman erano state catturate in sequenza: la futura sposa che usciva dalla limousine con la faccia stupita per l’assedio dei fotografi; il suo uomo – incazzato nero per l’appostamento – che la stringeva con fare protettivo per difenderla dai paparazzi.
Le didascalie riassumevano la storia della tipa: una povera orfana cieca che guarisce e riesce ad accalappiare il secondogenito di una delle più prestigiose famiglie d’America, i Saxton di Sussex, fondatori della famosa clinica di chirurgia estetica. Lo sguardo di Portia volò sulla propria mano e sul livido che le deturpava il polso.
Gran botta di fortuna quella Maya, avere un fidanzato disposto a uccidere per lei.
Glielo si leggeva in faccia a quel tipo che sarebbe stato pronto a battersi, anche a mani nude contro chiunque si fosse permesso un passo falso. Soprattutto a mani nude. Quel grande palmo che stringeva la spalla della sua donna doveva essere capace di carezze irresistibili ma sarebbe stato in grado anche di stringere una gola. Tutto sembrava, tranne un medico. Piuttosto pareva un guerriero. Nei jeans di lusso, tra ai lembi della camicia bianca un po’ sbottonata poteva aver nascosto una pistola. Portia sospirò mentre una voce sguaiata penetrava a forza tra i pensieri:
«Ho
preso una Corvette da sballo. Veniva usata per la droga e adesso la do a
noleggio a chi la vuole. Sai che puoi fare? La spingi al massimo fino a far
ruggire il motore, tanto che ti frega se si rovina? È a noleggio. È fatta
apposta per divertirsi senza problemi.» Il rappresentante di sottaceti parlava col
fattorino e intanto, di certo, la stava fissando.
Portia
chiuse per un momento la rivista ma non sollevò lo sguardo.
Le
parole del rappresentante a proposito dell'auto a noleggio le avevano dato una
fitta allo stomaco.
Che
cos’era lei se non qualcosa di molto simile? Cos’era se non esattamente questo?
Un bell’oggetto troppo sfruttato per essere apprezzato fino in fondo. Chi
avrebbe mai potuto desiderare una donna come lei, una “tirata al massimo”
proprio come la Corvette di quel cretino?
Era
bella, sì ma dire “usata” sarebbe stato dire poco. Portia sbuffò facendosi
vento col palmo aperto e stringendo le labbra. Non ci poteva fare niente, per
quanto la cosa le desse sui nervi, era così e basta.
Portia
smise di sventolarsi con la mano e si leccò le labbra. Faceva un caldo da
morire e l’arsura non le dava tregua. Cercò di evitare lo sguardo del
rappresentante.
Quel
tipo veniva spesso in drogheria. Aveva le mani sempre sudate; come ogni volta,
anche quel giorno sfoggiava un completo dozzinale con la cravatta appena
allentata per il caldo e un alone grigio sul colletto della camicia bianca. E
la guardava con la bava alla bocca.
Come
altro si poteva definire quella espressione fatta di occhi sgranati e labbra
socchiuse con una pallina di saliva agli angoli?
Portia
sapeva benissimo a cosa stesse puntando. Nello specchio che stava a lato del
bancone poteva vedersi riflessa. Gli occhi scuri e cupi, la massa di capelli
ricci che le ricadeva sulle spalle, la scollatura profonda sulla quarta di
reggiseno, la gonna rossa a pois bianchi stretta in vita, i tacchi color
corallo, le caviglie magre. Se fosse stato per la comodità non si sarebbe mai
addobbata in quella maniera. La tentazione di dare fuoco al guardaroba a volte
diventava fortissima.
C’erano
dei giorni in cui avrebbe voluto alzarsi dal letto e infilarsi nei pantaloni
informi del padre. Ma poi come avrebbe fatto a rimorchiare? Era più forte di
lei, gli uomini voleva averli sottomano, e sotto anche qualcos’altro, ne aveva
un bisogno disperato.
Era
come se dentro di lei fosse nascosto un demone affamato che reclamava la sua
razione a tutti i costi. Maledizione. La campanellina annunciò che qualcuno
stava entrando.
Erano
Jessika ed Ella. Portia drizzò la schiena guardando altrove per evitare di
aprire subito le ostilità. Non alzò nemmeno gli occhi. Conosceva a memoria le
sue “amiche”, se così si potevano chiamare.
Jessika
Baneras, la tappetta portoricana con capelli neri e frangetta, entrò per prima
ancheggiando a gambe larghe. Fu affiancata in un solo passo da Ella Hunko
grazie alle gambe molto più lunghe: una stangona di origini polacche, bionda,
top rosa, calzone bianco.
Portia
si mise a riordinare nella speranza di scoraggiare la solita commedia sul
gommista ricchissimo fidanzato di Jessika e sul medico accalappiato da
Ella.
«Ciao,
Portia, – disse la Baneras togliendosi le cuffiette. – Visto che carino?
Hernandez mi ha regalato l’iPod Touch5.» Mostrò un rettangolo di metallo
azzurro collegato agli auricolari e portò in avanti una spalla nascondendoci
dietro il mento. Sorrise a occhi socchiusi.
L’altra,
Ella, intanto chinava appena la testa in cenno di saluto come trattenendo il
fiato.
«Andrew
ascolta la musica solo con lo stereo a valvole,» disse buttando indietro i
capelli lisci e mostrando il collo. Poi prese il giornale dalle mani di Portia:
«Ma
è Orlando Saxton, quello?»
Jessika
fece schioccare la lingua:
«Ma
ci pensate? Quello si sposa una che era cieca! Ha fatto un acchiappo la tipa! E
anche l’altro è uno sballo.»
«L’altro
chi?» Portia allungò il collo per vedere meglio mentre Jessika puntava il dito
scuro sulla pagina della rivista.
L’unghia
laccata di rosso andò a piantarsi su un riquadro col titolo “Lui è ancora
disponibile”.
Era
un ragazzone alto e ben messo con i capelli biondo grano.
«Thiago
Saxton,» lesse.
Ella
batté le ciglia lentamente:
«È
il fratello di Orlando. E lui è libero come il vento.»
Jessika
avvicinò la rivista agli occhi leggendo la didascalia:
«“Il
Golden Boy Thiago Saxton ventisei anni, uno degli scapoli più in vista
d’America, continua a rifuggire l’idea del matrimonio.”»
«Lui
sì, che è davvero uno schianto,» annuì Ella ma Jessika protese una specie di
broncio.
«Peccato
che sia così...»
«Così
come?» chiese Portia lanciando uno sguardo preoccupato alla foto. Cercò di
concentrarsi sulla figura nel riquadro. Cosa poteva aver fatto di male quel
tipo alto e bello per scontentare una come la Baneras?
«Ma
dai! Va con tutte!»
Non
era proprio difficile da credere. La foto lo inquadrava da lontano, ma non
c’era dubbio che Thiago Saxton fosse un tipo ben più che interessante.
«Beh
che c’è di male?» mormorò Portia con un filo di voce, appena tremante.
«Non
si porta mai a letto due volte la stessa donna.» La polacca sgranò gli occhi un
po’ spaventati e un po’ eccitati.
Jessika
annuì:
«Proprio
mai. È una barzelletta. Ma è così.»
«Io,
– si accalorò Jessika Benares avvicinandosi, – l’ho visto passare spesso qua
davanti. Ha una supercar scura. Una volta stava per mettermi sotto, però, si è
fermato e si è scusato… Era in costume, si vede che tornava dalla piscina. Un
fisico pazzesco. Ho provato a fare un po’ la carina ma poi ho guardato dentro
l’auto e c’era una donna. Tanto per cambiare.»
«Ma,
scusa, non ce l’hanno la piscina a casa?!» Portia non poté impedirsi di
squadrare Jessika a sopracciglia inarcate e questa le rispose con una smorfia:
«Si
vede che preferisce andare dove può agganciare.»
Ella
esalò un sospiro:
«Roba
da jet-set e poi noi siamo fidanzate. Certo che se un giorno Thiago Saxton avrà
una donna fissa, quella ci farà morire d’invidia tutte quante.»
Nella
grocery "Da Mantini" il pensiero dei capelli biondo grano di Thiago
Saxton impedì ai presenti di far caso al rombo potente e leggero di una Bmw I 8
blu notte che sfrecciava a tutta velocità su Hamburg Ave, proprio alle loro
spalle, e che portava con sé l’oggetto dei desideri di ogni donna di Sussex e
di moltissime altre città.
***
Thiago
era di nuovo in ritardo, maledizione. Non gliene andava una giusta. Spinse il
pedale a tavoletta e il bolide divorò la strada con un’accelerata fluida e
quasi silenziosa. Correre era davvero figo, gli regalava una scarica di
adrenalina esaltante, al di là del fatto che non sarebbe servito a restituirgli
quella mezz’ora persa. Con una manovra azzardata imboccò il viale alberato che
saliva verso la collina dove sorgeva l’abitazione del padre, mentre le ruote
stridevano sull’acciottolato.
Mantenendo
gli occhi fissi davanti a sé, allungò la mano verso il portaoggetti alla
ricerca del telecomando. La porte del cancello automatico si aprirono con
lentezza esasperante mentre aspettava tamburellando con le dita sul volante al
ritmo duro dei Deftones.
Dai,
dai, su! Appena si aprì un varco sufficiente, si infilò tra due ali di metallo
dritto fino al garage.
Maledizione,
il tempo era volato senza che se ne accorgesse. Prese la scala interna salendo
i gradini due alla volta. Infilò le mani nel taschino della camicia. C’erano
tre bigliettini tutti umidi e spiegazzati.
Il
solito copione: erano state le ragazze in piscina, tre tipette tutto pepe poco
più che adolescenti con i bikini striminziti che lo avevano mangiato con gli
occhi e alla fine erano riuscite a dargli il loro numero di telefono.
Ovviamente tutte e tre. Scritto con la penna e uno addirittura coi cuoricini.
Thiago abbandonò i foglietti spiegazzati nel posacenere. Sentiva voci familiari
provenire dalla sala da pranzo, erano David e il padre che dovevano essere al
dessert, ormai.
«Non
sono sicuro che sia una buona idea, papà.»
«’Giorno.»
Thiago
scansò una sedia e prese posto con il sorriso candido di chi si ritrova a una
riunione con amici. David rispose al saluto mentre Arthur gli rivolse solo un
debole cenno del capo senza abbandonare il discorso. Ma lo sguardo faceva
presagire che non avesse gradito il ritardo.
«Perché
no, David?»
Il
fratello maggiore si tamponò la bocca col tovagliolo, proprio là dove finivano
le labbra e iniziava il pizzetto curato al millimetro:
«Credo
che uno come James Monroe non sia incline ad accettare regali, anche se dovesse
trattarsi di un presente di benvenuto.»
Ah,
ecco, parlavano del chirurgo: quello nuovo che aveva iniziato a lavorare nella
loro clinica la scorsa settimana.
Arthur
annuì e David continuò:
«Non
abbiamo ancora confidenza con lui e potrebbe interpretare male il nostro atto
di cortesia, scambiarlo per qualcos’altro, magari un tentativo di influenzare
le sue scelte, anche future.»
Saggio
David, dalla sua bocca non potevano che uscire parole di buon senso.
«Forse
non hai tutti i torti...»
Arthur
abbassò lo sguardo sul Patek Philippe da polso e Thiago ebbe la certezza che in
quel preciso momento sarebbe toccato a lui.
Senza
cambiare espressione, Arthur si rivolse al figlio minore:
«Non
si può certo dire che la puntualità sia il tuo forte, figliolo.»
Thiago
inspirò incamerando quanta più aria possibile nei polmoni, ecco che il vecchio
ricominciava. Conosceva la manfrina a memoria quindi avrebbe potuto anche
distrarsi un attimo guardando cosa ci fosse per lui sotto la campana di
metallo. Scoperchiò il piatto dove trovò filetto, patate novelle e asparagi
scottati. Aggrottò le sopracciglia setacciando il tavolo: posate d’argento,
calici di cristallo, vino... Dove cacchio avevano messo la maionese? Ah, già,
da nessuna parte, a casa Saxton al massimo si mangiava salsa villeroy preparata
di fresco.
Che
aveva detto suo padre? Ah, si blaterava del fatto che aveva tardato. Thiago
prese un boccone e parlò con la bocca piena. Aveva una fame da morire, la
piscina lo aveva sfiancato:
«Ho
fatto tardi ma il tempo è volato, dovrò mettermi una sveglia la prossima volta.
Dovresti provare anche tu, papà, ti divertiresti un casino.»
«A
me basta la piscina della villa,» Arthur scosse la testa visibilmente irritato
ma nonostante ciò le parole furono un flusso gentile e costante. «Stai
prendendo il tirocinio troppo sottogamba, Thiago, la chirurgia richiede
applicazione e pratica metodica. Quella che dovresti svolgere presentandoti con
puntualità al tirocinio.»
Thiago
si riempì troppo la bocca e spostò lo sguardo verso David che non gli staccava
di dosso gli occhi di ghiaccio.
Il
padre, invece, alzò un sopracciglio in senso di assoluta disapprovazione verso
la voracità con cui Thiago si stava ingozzando.
Thiago
sentì la furia espandersi nel petto e bruciargli la gola come fuoco. Il cibo
gli si trasformò in veleno nella bocca e dovette imporsi di deglutire per non
sputare. Lasciò la forchetta portando entrambe le mani sotto la tavola dove le
chiuse a pugno con tutta la forza che aveva.
Nell’immaginazione
spostava la sedia facendo stridere le gambe sul pavimento e si alzava in piedi
guardando il padre dall’alto negli occhi grigio azzurri offuscati
rispondendogli la verità, quella che proprio non voleva sentire. “Ho passato la
mattina in piscina perché i depressori cardiaci con questo caldo mi sfiancano e
sai benissimo che non posso presentarmi in sala operatoria con il battito
accelerato e rischiare le conseguenze che conosci, caro papà.”
Quella
voce gli ruggiva dentro, consumandolo come acido. Thiago strinse le ginocchia
nei palmi, come se potesse stritolarle e i denti dietro le labbra rigide erano
talmente digrignati da rischiare di andare in frantumi. Le sopracciglia erano
aggrottate nello sforzo di contenersi. Che accidenti doveva fare? Strillare la
verità pura e semplice e che tutti in quella stanza conoscevano? Perché Arthur
continuava a fare domande inutili? Almeno David aveva il buon senso di stare
zitto, questo doveva riconoscerglielo. “Basta bugie”, avrebbe voluto gridare.
L’unica
cosa sensata sarebbe stata ammettere con semplicità che si imbottiva di
schifezze per evitare il disastro.
Ancora
meglio sarebbe stato smettere del tutto di nascondere “il disastro”. Thiago
mandò giù il boccone ancora intero e sentì come un macigno nel petto che non
aveva niente a che vedere col cibo.
Avvertiva
il labbro tremargli per la tensione ma non sapeva se fosse vero o se lo stesse
solo immaginando. Ma alla fin fine, dal vigliacco che era, l’attimo di furore
puro passò così come era arrivato. Come se nulla fosse accaduto, sfoderò uno
dei suoi sorrisi migliori.
«Hai
ragione, papà. Credo proprio che a questo punto salterò il dolce e andrò dritto
in clinica,» tanto l’appetito gli era del tutto passato. Scattò in piedi e fece
per andarsene.
«Aspetta,
aspetta…,» Arthur gli fece cenno di sedersi.
Che
altro poteva esserci? Thiago si fermò rigido tra la porta e il tavolo.
«Dobbiamo
assolutamente festeggiare: il Pentecostale della comunità di Monte Calvario ha
menzionato la nostra famiglia, e me in particolare. Ha dedicato un articolo
all’ultima asta di beneficenza a cui ho partecipato. Ha usato parole davvero
lusinghiere. Dobbiamo brindare!»
Ma
stava dicendo sul serio? Thiago incrociò lo sguardo del fratello appena in
tempo per sentirgli dire:
«È
una notizia meravigliosa, papà,» l’espressione imperturbabile che non faceva
trapelare alcuna emozione.
Con
la medesima faccia da pesce lesso David avrebbe potuto benissimo dire “è morto
il mio gatto stamattina” e sarebbe stato ugualmente credibile. Ma davvero
Arthur poteva gioire per una cazzata simile?
Il
Pentecostale? Ma che razza di giornale si poteva chiamare così? Thiago si sentì
offuscare la mente per la rabbia e dovette aggrapparsi alla spalliera della
sedia per non perdere l’equilibrio. Quell'esaltazione per un oscuro giornaletto
di una misconosciuta congregazione religiosa era da folli.
Era
ridicolo. Ma invece di dire la verità, ancora una volta si trincerò dietro un
sorriso.
L’autrice:
Margaret Gaiottina dopo l’exploit degli esordi de La sedicesima notte, è autrice di cinque romanzi tutti pubblicati, il suo maggior successo Jaguarà è stato pubblicato e tradotto negli Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra.
Margaret Gaiottina dopo l’exploit degli esordi de La sedicesima notte, è autrice di cinque romanzi tutti pubblicati, il suo maggior successo Jaguarà è stato pubblicato e tradotto negli Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra.
Vi è piaciuto questo capitolo?
Restate con noi, domani vi posteremo un'altra bellissima
sorpresa!
Un commento lo devo proprio lasciare e non può essere che...grazie!!! Per il vostro lavoro ragazze, per la vostra gentilezza e per l'impegno. Io spero davvero che Thiago sia amato dalle lettrici come lo amo io e se i miei desideri si avvereranno, anche solo in parte, sarà anche merito vostro!
RispondiEliminaHo amato Jaguarà alla follia e soprattutto ho amato te, una scrittrice magnifica. Thiago ha tutte le carte in regola per conquistarmi.
EliminaIn bocca al lupo tesoro <3