Bentrovati al nostro terzo ed ultimo appuntamento con l’ANTEPRIMA dei primi capitolo di THIAGO.
Dopo avervi presentato la scheda completa del libro ed il 1° capitolo (se non lo avete letto potete trovarlo QUI) ed il 2° (che potete rileggere QUI) , oggi, sempre grazie alla casa editrice e all’autrice, vi proponiamo la lettura in ANTEPRIMA del 3° capitolo.
Pronti per nuovi emozioni ? Buona lettura!
3.
Caldo
L’indomani,
tornando dalla piscina, il pensiero di Thiago era fisso sul fratello maggiore. Doveva
assolutamente farsi venire in mente qualcosa per risvegliare quello stoccafisso
di David. Lasciò scivolare la
Bmw I 8 blu notte proprio di fronte all’unica drogheria
aperta, dall’altro lato della strada. Non si trattava di un parcheggio vero e
proprio ma non importava, tanto, alle due del pomeriggio con quel caldo, non
circolava anima viva. Aveva ancora stampata in mente l’espressione severa di
David, il pizzetto curato e lo sguardo gelido con cui lo aveva squadrato la
sera prima.
Il
fratellone non aveva gradito affatto i programmi per l’indomani. Ma Thiago era
stato irremovibile. Aveva confermato candidamente che avrebbe saltato il
tirocinio per arrivare in clinica nel pomeriggio. Il tutto per il più nobile
dei motivi: spassarsela in piscina.
Anatema.
Per
David assentarsi dal lavoro era qualcosa da combattere come la più terribile
delle tentazioni. Tentazioni del Maligno, ovviamente, maledetta afa. Così per
evitare ramanzine aveva mantenuto fede al programma di saltare il pranzo in
famiglia.
Thiago
fermo ai lati della strada si decise ad aprire lo sportello. Gli sembrò di spalancare
le porte dell’inferno. L’aria rovente risaliva dal basso come in un forno a
gas. Invece, era solo la strada. Fu tentato di richiudere e restare in auto.
L’abitacolo, freschissimo grazie al condizionatore, diceva “rimani” ma lo
stomaco non era d’accordo.
Doveva
soddisfare un primitivo, urgente, assoluto bisogno: mangiare e bere. Non gli andavano
i toast stantii che vendevano in piscina e ora, se fosse stato per David,
avrebbe dovuto volare in clinica a digiuno perché il ritardo si sarebbe sommato
all’assenza del mattino.
Ma
soffrire non rientrava nella scaletta dei programmi del giorno. Slacciò i primi
due bottoni della camicia e poi un terzo mentre attraversava la Hamburg Ave. Era ora
di mangiare o sarebbe svenuto in sala operatoria. Passare la mattina in
compagnia di ragazze seminude che ti gironzolavano intorno poteva mettere
davvero parecchia fame. Spinse la porta a vetri della drogheria.
Il
negozio era poco illuminato e del tutto deserto. Non c’era anima viva tra gli
scaffali sovraccarichi di scatolette, espositori e bottiglie. Di clienti
nemmeno l’ombra ma sembrava non ci fosse nemmeno il commerciante. Probabilmente
ronfava della grossa nel retrobottega. Thiago sbuffò e tossicchiò ma dietro il
bancone non comparve nessuno e nemmeno alla cassa.
Doveva
rassegnarsi e ritornare all’auto ma lì intorno era pieno di tentazioni per il
suo stomaco affamato. A destra, dalla penombra, emergevano scaffali pieni di
barattoli di fagioli e sottaceti impilati ordinatamente, a sinistra dal
soffitto penzolava una fila di prosciutti interi. Nell’aria aleggiava un odore
buono di pane fresco e caffè. Il che gli procurò un nuovo gorgoglio. Se anche
qualcuno si stava facendo un pisolino appena dietro la tenda anti-mosche, lo
avrebbe svegliato. Bastava chiamare.
«C’è
nessuno?» Silenzio per una decina di secondi.
«Arrivo!»
Voce
femminile giovane e poco entusiasta. L’annuncio fu seguito da un rumore di
tacchi e poi una mano scansò la tenda.
***
Il
solito camionista di passaggio con una pancia enorme e già pieno di birra,
pensò Portia. Chi altro poteva andare girando con quel caldo! L’ora di pranzo
era passata da un po’ e quello era il momento in cui avrebbe dovuto stendere lo
smalto levato il giorno prima; se c’era una cosa che proprio non sopportava era
avere la mani in disordine. E invece ecco che arrivava lo scocciatore di turno.
Ma
aperta la tenda restò per un istante senza fiato.
Thiago
Saxton, non era possibile. La vita era fatta di coincidenze ma quella le
superava tutte: dalla rivista all’uomo reale in carne e ossa.
Il
metro e ottantacinque meglio portato di sempre era impegnato al momento a
passarsi la mano aperta tra meravigliosi capelli di varie tonalità di biondo
grano e a guardare in basso gli affettati e i sottaceti esposti nel banco
frigo. Poi il Golden Boy alzò lo sguardo.
Portia
vide l’attimo esatto in cui gli occhi color cobalto si sollevarono e si
trattennero nei suoi agganciandola e scintillando di quell’interesse che aveva
notato centinaia di volte negli uomini. Contatto stabilito.
Qualcosa
– e Portia sapeva esattamente cosa – gli aveva fatto alzare le antenne. E anche
la parabolica. Non le ci volle neanche una frazione di secondo per esserne
certa.
Il
top a canottiera che lei indossava era impossibile da tenere chiuso per l’afa e
mai al mondo lo avrebbe allacciato ora che a chiamarla non era stato l’ennesimo
cliente con la pancia da bevitore, ma l’uomo più esplosivo mai visto. La
reazione del corpo era stata istantanea. Nell’avvicinarsi al bancone sentì
l'eccitazione vibrare tra le cosce e i capezzoli premere con il jersey leggero
della canottiera attillata.
«Buongiorno!»
Gli rivolse il sorriso da gatta sorniona, repertorio.
«Non
potrebbe essere migliore,» rispose lui di rimando. La voce calda e fresca
insieme rimbalzò tra gli scaffali come i rintocchi di una campana a primavera.
Sorrideva con gli occhi. Le palpebre sonnolente si incurvavano in due mezze
lune in cui l’azzurro delle iridi si fermò diritto nelle pupille di Portia.
Quanto
a lei, si accorse di muovere le labbra senza emettere suono.
«Prepareresti
a questo povero ragazzo affamato un panino al... – si sporse per vedere l’assortimento
che proponeva il bancone – bacon, cetrioli e mostarda?» chiese scendendo con la
mano dai capelli fino a fermarsi sulla nuca. A quel gesto la camicia di cotone
così leggera da essere trasparente e che portava sbottonata si aprì ancora di
più.
Il
collo si innestava forte, possente, lungo e leggermente arrossato dal sole tra
spalle ingrossate dall’esercizio atletico. Era quello il punto preciso, quello
che la mandava fuori di testa: il rigonfiamento dei muscoli dietro e a ai lati
del collo che rendevano le spalle larghe un po’ spioventi per via del fisico
allenato. Portia si succhiò le guance alla ricerca di saliva e distolse lo
sguardo.
Gli
occhi puntarono i piedi di Thiago. Mentre armeggiava con il barattolo della
senape lo squadrò per bene: mocassini scamosciati italiani e indossati senza
calzini. Allungò il collo e dalle vetrata del negozio vide un bolide scuro
parcheggiato dall’altro lato della strada. Doveva esser il tizio di cui aveva
parlato Jessika, ci avrebbe scommesso una gamba.
Non
ci si poteva aspettare di meno dal più giovane dei fratelli Saxton.
«Ma
certo, bel vichingo.»
Quella
strafottenza lo fece sorridere ancora e, se quando il Golden Boy era aggrottato
per la scelta del panino era bello, quando era divertito diventava addirittura
irresistibile. L’allegria pulita e contagiosa si illuminava come una lampadina
quando le labbra si schiudevano sul sorriso bianchissimo e perfetto.
Il
vichingo si avvicinò al bancone.
Sotto
le palpebre sonnolente gli occhi cobalto fissarono come fossero ipnotizzati le mani
di Portia intente a farcire il sandwich. Poi lo sguardo si sollevò un poco
fermandosi di una spanna sotto il mento di lei. Le sopracciglia del ragazzo
restarono inarcate in espressione ironica ma a labbra chiuse gli si disegnò in
volto un sorriso perfetto e per un istante vi si affacciò la punta della
lingua. Portia ghignò di soddisfazione. Un altro punto a segno.
«Allora,
oltre a questo che ti do?»
Sorrise
anche lui e sollevò il mento.
«Eh,
che mi dai…»
Sapeva
stare al gioco, il nostro Thiago, ma se avesse pensato di poterla mettere in imbarazzo,
lo compativa. Farla arrossire sarebbe stato più complicato di far nevicare nel deserto.
Mentre
il bel tipo divorava il sandwich in due bocconi e svuotava una birra gelata,
Portia iniziò a succhiarsi distrattamente il mignolo mentre lo squadrava: si
spinse un po’ in avanti fingendo di sistemare altro pane senza guardarlo negli
occhi ma certa di offrirgli un’occhiata generosa alla scollatura e, tramite lo
specchio dietro il bancone, una visione altrettanto particolareggiata del
sedere, ben evidenziato dalla posizione chinata in avanti.
«Forse
riesco a immaginarlo, che cosa vorresti…»
«No,
credo proprio di no, bellezza,» aveva bisbigliato più a se stesso che a lei. Ma
per Portia quel trampolino era più che sufficiente. Eresse il busto cercando
quegli occhi blu intenso.
Invece
di essere in difficoltà, lui mantenne le sopracciglia sollevate e scosse la
testa mettendo le mani sui fianchi.
Sicuro,
senza la minima titubanza o insicurezza. E perché avrebbe dovuto averne? Bastava
guardarlo per comprendere che non aveva mai avuto un problema nella vita che non
fosse scegliere come passare una serata.
Portia
lo studiò un istante ad occhi socchiusi. Dalla faccia si intuiva che il ragazzo
aveva un'immaginazione vivace. E Portia conosceva bene gli uomini per capire
cosa stava costruendo dietro quello sguardo da principe azzurro.
«Oh,
credo proprio di sì, invece.»
Gli
avrebbe dato una bella lezione a quel signorino così bello, appena uscito dalla
copertina di GQ, con i vestiti firmati e il fisico palestrato. Un lampo le
illuminò gli occhi. Prese un grosso wurstel e senza staccare gli occhi da
quelli di lui, lentamente lo portò alla bocca leccandone appena la punta. Poi
come se avesse tutto il tempo del mondo lo abbassò infilandolo nella fessura
tra i seni. Ora, sì. Ci sarebbe stato da divertirsi.
Lo
vide spiazzato per una frazione di secondo, schiudere per un istante la bocca,
come se fosse rimasto senza parole. Lo aveva scioccato, povero cucciolo. Poteva
dirsi confuso? Se lo era stato, durò solo un attimo, il tempo di un battito di
ciglia, poi le labbra del ragazzo meraviglioso tornarono distese a scoprire
appena un sorriso impertinente. Aveva brillantemente superato la fase
scioccata.
Bene,
Portia poteva passare alla seconda parte dell’incontro, quella davvero
divertente.
Sì
portò le mani sui seni stringendoli uno contro l’altro senza staccare gli occhi
da lui. Le sembrò che le pupille inghiottissero il blu dell’iride.
«Non
so, se sapresti bene cosa farci…»
Lo
vide sorridere ancora di più e qualcosa le diceva che sarebbe arrivata una
risposta a tono. Lui scosse un poco la testa come a schiarirsi le idee.
«Scommetto
invece di essere preparato sull’argomento, sai?»
Era
interessante, il tipo.
Portia
sollevò il mento: «Vediamo. Vieni con me.»
Lo
precedette nel retrobottega diretta al suo boudoir personale, l'angolo
spazzatura nel vicolo, protetto da una tettoia a da un paio di lamiere verso la
strada. Non lo sentiva parlare ma capì dal rumore dei passi che la stava
seguendo e uscirono nel vicolo.
Dalla
finestra aperta del primo piano sopra le loro teste nascoste dalla tettoia,
arrivava il rumore della televisione e il padre di Portia che chiamava la
moglie. Sgarbatamente, urlandole contro come sempre. Ma Portia ormai non ci
faceva più caso, era come il rumore del camion dell’immondizia che raccoglieva
i rifiuti per la strada.
Lui
rise:
«Abbiamo
compagnia.»
«No,
è solo quello stronzo di mio padre dal soggiorno,» Portia alzò le spalle.
Nella
penombra creata da scatoloni e fusti impilati, lui sembrava assolutamente
sereno e divertito. Tanto da estrarre dal taschino una caramellina e ficcarsela
tra i denti.
Se
era una caramellina! Possibile che il GoldenBoy non si sentisse abbastanza
sicuro di sé?
Come
rispondendo al dubbio di Portia, Mr. Splendore le mise le mani sui fianchi in
un gesto che era un invito sfacciato e che nello stesso tempo lasciava a lei la
prima mossa. Portia trattenne a stento i movimenti.
Gli
sarebbe volentieri saltata addosso, sentiva la carne infiammata e pulsante reclamare
sollievo. Ma gli aveva promesso qualcosa di particolare e in quel momento si maledisse.
Ingoiando
un gemito decise di sopportare per concedergli quello sfizio sperando che fosse
solamente un antipasto. Invece di passare all’azione inarcando una gamba e invitarlo
dentro di sé, Portia cominciò a slacciare gli ultimi bottoncini del top fino ad
appena sotto l’incrocio dei seni.
Lui,
senza mai staccarle di dosso lo sguardo carico di ironia, scese con la mano accarezzandole
la coscia e le tirò su il tessuto della gonna leggera. Un brivido le serpeggiò
sulla pelle dal ventre fino ai capezzoli. Portia fremette.
L’atmosfera
si era fatta carica di aspettativa; erano così vicini che Portia poteva sentire
l’odore dei suoi indumenti e sotto, quello della sua pelle. E le piaceva ciò
che sentiva.
Scivolò
lentamente in ginocchio e senza staccare i propri occhi neri da quelli blu di
lui, afferrò la cintola dei pantaloni attirandolo verso di sé.
Per
un attimo rimase spiazzata quando la mano grande ma delicata del ragazzo si
posò sulla sua guancia indugiando sull’orecchio. Ma si era sbagliata, non le
stava facendo una carezza, stava solo sfiorando il lobo strappato. Se Thiago
Saxton avesse scostato la massa di ricci dalla parte opposta avrebbe scoperto
che l’altro era stato tirato via anche peggio. Portia cercò di non concentrarsi
su quel curioso contatto ma su ciò che aveva davanti. Lo accarezzò vogliosa sul
cavallo dei pantaloni e gemette. Le fece eco il sospiro di lui.
Poi
fu la volta del bottone. Lui portava sotto un costume della Nike perfettamente asciutto
e aderente ai genitali. Il tessuto era evidentemente teso e gonfio. Portia
sollevò lo sguardo soddisfatta per incontrare di nuovo l’azzurro ridente del
suo amante del momento.
E
ciò che vi lesse le cancellò il sorriso.
La
mandibola pendeva lasciando la bocca aperta, le sopracciglia erano
completamente abbandonate, le palpebre semi-abbassate su uno sguardo annebbiato
dal desiderio, il più puro, selvaggio e torbido. L’impazienza era anche
rivelata dalla pelle tesa sulle tempie. Bellezza e desiderio potevano essere
una combinazione letale.
Avvicinò
il viso è sentì il turgore della carne premuta sul naso e odore di sesso e
cloro. Sganciò il reggiseno dal davanti. Si strinse i seni liberi fra le mani e
iniziò a farli lavorare intorno a lui, avvolgendolo.
Mentre il sesso di quel ragazzo tutto d’oro le
scottava la pelle scendendo e risalendo con dolcezza implacabile, i pensieri di
Portia ebbero il tempo di fluttuare attorno a un senso di rimpianto.
Le
erano tornate in mente le parole di Jessika sulla regola del Golden Boy: mai
due volte. Così, quello squarcio di sole miracolosamente apparso nella sua vita
si sarebbe spento d’incanto. Offuscato da nuvole grigie come il soffitto della
drogheria.
Thiago
sarebbe rimasto un ricordo, l’apparizione fuggevole di un semidio. Sarebbe scomparso
per sempre dalla sua esistenza senza guardarsi indietro.
***
Le
labbra le bruciavano di un calore inestinguibile e il languore la trafiggeva
con una prepotenza che le annebbiava la vista. Ma Portia si sollevò e si passò
il fazzoletto sul collo con l’espressione di una crocerossina che ha appena
adempiuto al proprio dovere.
Le
braccia forti di Thiago la ghermirono sollevandola. Le gambe le tremavano
mentre sentiva mani esperte affondare nelle sue mutandine.
Portia
si abbandonò a quella carezza spettacolare e si sciolse sotto quel tocco
magico. Ma fu solo un istante perché in un impulso improvviso gli fece scostare
le dita.
«Ti
ho dato ciò che ti avevo promesso,» sussurrò maliziosa stampandosi un sorriso disteso
e trattenendo l’urlo di sofferenza chiuso nella laringe.
«E
io...» Portia schiarì la voce esibendosi in un gesto vago della mano, ad
intendere che si trattava di roba da nulla. Per sicurezza si voltò
immediatamente evitando di sostenere troppo quello sguardo attento. Prese un
chewingum dalla tasca della gonna e scomparve nel retrobottega.
«Aspetta...»
La
voce di Thiago fu come una carezza. Portia sorrise tra sé, lo stratagemma di
non dargliela aveva funzionato alla grande.
«Cosa?»
rispose senza voltarsi.
Ma
lui le girò intorno piazzandosi davanti e bloccandole l’accesso nel
retrobottega:
«Aspetta,
ho un'idea. Mio fratello ha proprio bisogno di qualcuno che lo smuova. E tu sei
così seducente, così pensavo se, magari...»
Portia
lo guardò e sollevò un sopracciglio, in attesa.
«Pensavo
che, magari potresti fare la ragazza sorpresa …ecco – sembrò rifletterci un secondo
e poi sgranò gli occhi, come folgorato da una intuizione improvvisa – venire
fuori dalla torta per la serata d’addio al celibato.» Stava facendo un gesto
con le mani come a mostrare qualcosa di grosse dimensioni.
«Sì,
ho presente,» annuì Portia. Una festa di ricconi, sarebbe stato divertente.
«Ok, ti do il mio numero di telefono.»
Portia
snocciolò una sequenza di cifre mentre lui estraeva il telefono per
memorizzarlo. Ultimo modello con funzioni super, ovviamente.
«Come
ti chiami?» le domandò.
«Portia,»
disse lei facendo un pallone che le scoppiò sul naso. Poi recuperò la gomma che
le si era spiaccicata sulla faccia e la rimise in bocca.
«Thiago.»
Rispose. «Ok, Portia, penso che ti chiamerò molto presto.»
L’autrice:
Margaret Gaiottina dopo l’exploit degli esordi de La sedicesima notte, è autrice di cinque romanzi tutti pubblicati, il suo maggior successo Jaguarà è stato pubblicato e tradotto negli Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra.
Cosa ne pensate di questi primi 3 capitoli?
Non siete ancora sazi?
Non vi resta che acquistare il libro ed ovviamente farci sapere la vostra!
Non siete ancora sazi?
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