Iniziamo
la giornata con un nuovo articolo di Maria Teresa
Siciliano sul Romanzo Storico in Italia!
L’Italia
è arrivata tardi al romanzo. Quando nel 1821 Manzoni cominciò a scrivere I promessi sposi, non aveva dietro una
grande tradizione, anzi per lui fu un problema addirittura trovare un
linguaggio che fosse letterario, ma adatto al quotidiano.
Il
suo primo intento fu differenziarsi da Walter Scott, che aveva dato inizio al
genere: niente prolissità e soprattutto niente melodramma. E quindi un solo
romanzo, anziché i numerosi scritti da Scott: perché, è stato detto, ne bastava
uno per rendere la staticità dell’Italia, pura espressione geografica, come
aveva potuto asserire Metternich pochi anni prima, ferma culturalmente almeno
da due secoli, cioè dall’epoca della Controriforma. Con l’occhio del cattolico
liberale, fautore, contro la sua Chiesa, dell’unità d’Italia, lo scrittore
svelò impietosamente la mancanza di indipendenza e spirito civico, l’arretratezza
culturale, l’esistenza di mafie e consorterie (lobby, si direbbe oggi), la
violazione quotidiana di legge ed ordine, l’inefficienza, secondo lui, sempre
colpevole, la funzione di supplenza affidata alle istituzioni ecclesiastiche.
Insomma, aspetti che, almeno in parte, caratterizzano ancora il nostro paese.
Da
nipote di illuministi Manzoni faceva risalire la responsabilità di tutto ciò
alla distruzione della scienza e della morale operata dalla Controriforma e
dalla parte più autoritaria e politicamente conservatrice della Chiesa. Non per
niente lo scrittore non è mai stato popolare fra i cattolici reazionari di
allora e di oggi.
Dopo
di lui fu il deserto. Ci fu una scuola ‘manzoniana’, ma non produsse niente di
rilevante, tanto più che l’Italia, fino a quel momento e fino ad oggi, aveva
dato i risultati migliori soprattutto nella narrativa breve.
Per
questo bisogna arrivare addirittura agli anni Cinquanta del Novecento per
trovare un’opera, se non equivalente, almeno significativa: e fu Il Gattopardo.
Intendiamoci,
addirittura non c’è accordo fra gli studiosi né se si tratti di un romanzo
storico, né se si possa addirittura qualificare come un’opera d’arte.
Personalmente non metto in discussione la cosa, un po’ perché subisco ancora
l’influenza del meraviglioso film di Visconti, un po’ perché mi pare corretta
la ricostruzione che l’autore fa delle ragioni che permisero a Garibaldi di
conquistare il Regno delle due Sicilie: e cioè l’alleanza fra la classe
dirigente risorgimentale e quella siciliana, formata da nobili e borghesi, in
funzione antipopolare. Tomasi guardava a quel periodo con disincanto, da grande
aristocratico qual era e forse sotto la spinta delle speranze di riscatto
dall’arretratezza che la Seconda guerra mondiale aveva creato in Sicilia,
speranze che erano andate deluse.
E
poi bisogna arrivare al Nome della rosa
di Eco, pubblicato nel 1980. Come teorizzerà qualche anno dopo nelle Postille,
l’autore sceglie un argomento e un periodo oscuro, la grande spaccatura
all’interno dell’ordine francescano verificatasi intorno al 1327, cioè dopo la
morte di Dante, che pure ne aveva già parlato nel suo Paradiso. Quindi in pratica niente amore o quasi, solo discussioni
teologiche e filosofiche, una serie di morti oscure che fanno temere
l’esistenza di quello che oggi chiameremmo un serial killer e invece
l’illustrazione di una svolta culturale: quella che ripudia l’autoritarismo e
l’austerità a favore del riso e dello spirito critico
razionalista che sta gettando le basi del Rinascimento. Ma, dietro la vicenda
del romanzo, si indovina il riflesso degli anni di piombo e della crisi
all’interno dello società italiana, spaccata fra riformisti e rivoluzionari:
non per niente qualcuno ha creduto di poter considerare Il nome della rosa un romanzo a chiave, dove i benedettini
alluderebbero alla DC, i francescani al PCI e i fraticelli alle Brigate rosse.
Naturalmente,
in questi duecento anni ci sono stati molti altri romanzi storici, soprattutto
dopo il successo planetario di Eco, andato, credo, al di là di ogni aspettativa
anche dello scrittore. Ma nessuno, secondo me, ha raggiunto il livello di
questi tre libri. Su cui certo ci sarebbero molti altri aspetti da considerare.
Ma ciò va ben oltre il contenuto di un articolo.
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