Anteprima: Leggi il secondo capitolo di "THIAGO", 2° libro della Jaguarà saga di Margaret Gaiottina.

Buon pomeriggio amici Insaziabili! ^_^
Bentrovati al nostro secondo appuntamento con l’ANTEPRIMA dei primi capitolo di THIAGO.
Ieri vi abbiamo presentato la scheda completa del libro e fatto leggere il 1° capitolo (se non lo  avete letto potete trovarlo QUI).
Oggi, grazie alla casa editrice e all’autrice stessa, vi proponiamo la lettura in ANTEPRIMA del 2° capitolo.
Pronti?
Buona lettura!






2. Lo sfasciacarrozze

«È una cosa fantastica, papà. Scusa sono davvero in ritardo, sai Orlando come si incazza quando poi faccio tardi. Diventa una bestia.» Dopo un quarto d’ora di sproloqui sull’importanza per la rispettabilità dei Saxton dell’appoggio fornito dall’oscura comunità pentecostale di Monte Calvario, Thiago fece l’occhiolino a David che gli stava proprio di fronte e che non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

Si avviò verso l’anticamera dando le spalle al quadretto familiare e finalmente smise di sorridere. Che cosa sarebbe successo se avesse rovesciato il tavolo gridando: “Io sono diverso, papà, guardami! Sono diverso, lo sai! Guardami!”. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Avrebbe voluto vedere la tovaglia scivolare stretta nel suo pugno e trascinare giù la porcellana bianca, il filetto e le patate.
Ma quell’esplodere di emozioni non era contemplato in casa Saxton. Bisognava essere sempre impeccabili, così gli avevano insegnato, mai esagerare con le reazioni, mai esternare i propri sentimenti. Bisognava essere misurati, accorti, prudenti. Thiago si chiuse la porta alle spalle sbuffando e stava per scendere la scalinata, ma poi si arrestò di colpo. Le aveva prese le pillole? I depressori  cardiaci non erano mai abbastanza. No, non le aveva prese ma ne aveva di scorta in auto e  in clinica, nell'armadietto in studio.
Mentre tirava la Bmw per Hamburg Ave, Thiago alzò la musica dello stereo a palla lasciando che l’adrenalina scorresse come droga nel suo corpo.
***


Target: Per il pubblico adulto del romance a tinte forti senza uscire dai canoni classici del rapporto di coppia eterosessuale.



Tutto il suo essere vibrava di un canto diverso, accordato sull’unico nome di Thiago 



2. Lo sfasciacarrozze

«È una cosa fantastica, papà. Scusa sono davvero in ritardo, sai Orlando come si incazza quando poi faccio tardi. Diventa una bestia.» Dopo un quarto d’ora di sproloqui sull’importanza per la rispettabilità dei Saxton dell’appoggio fornito dall’oscura comunità pentecostale di Monte Calvario, Thiago fece l’occhiolino a David che gli stava proprio di fronte e che non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

Si avviò verso l’anticamera dando le spalle al quadretto familiare e finalmente smise di sorridere. Che cosa sarebbe successo se avesse rovesciato il tavolo gridando: “Io sono diverso, papà, guardami! Sono diverso, lo sai! Guardami!”. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Avrebbe voluto vedere la tovaglia scivolare stretta nel suo pugno e trascinare giù la porcellana bianca, il filetto e le patate.
Ma quell’esplodere di emozioni non era contemplato in casa Saxton. Bisognava essere sempre impeccabili, così gli avevano insegnato, mai esagerare con le reazioni, mai esternare i propri sentimenti. Bisognava essere misurati, accorti, prudenti. Thiago si chiuse la porta alle spalle sbuffando e stava per scendere la scalinata, ma poi si arrestò di colpo. Le aveva prese le pillole? I depressori  cardiaci non erano mai abbastanza. No, non le aveva prese ma ne aveva di scorta in auto e  in clinica, nell'armadietto in studio.
Mentre tirava la Bmw per Hamburg Ave, Thiago alzò la musica dello stereo a palla lasciando che l’adrenalina scorresse come droga nel suo corpo.

***

L’auto sfrecciò così veloce che il rappresentate di sottaceti dovette alzare la voce per farsi sentire. Era eccitato al massimo. La figlia di Mantini lo stava facendo morire. Quella Portia era una specie di demonio, un fenomeno della natura creato apposta per tormentare gli uomini, con quella chioma di capelli ricci spettinati e il broncio sensuale e provocante.

«Scommetto che sotto la gonna porti un paio di mutandine abbinate al reggiseno,» la provocò. Ora i pantaloni gli sarebbero scoppiati.

«È pronto!» La voce di una delle sorelle rimbombò dal piano di sopra.
Era ora di andare a pranzo. Portia si allontanò.
A congedare il tizio ci avrebbe pensato il padre appena sbucato dal retro.
E infatti dì a lì a pochi minuti anche il padre, il tronfio Tony Mantini della grocery "Da Mantini" raggiunse il resto della famiglia al piano di sopra.
«Dov’è il vino?» fu la prima cosa che gli uscì dalla bocca. Intanto faceva scorrere gli occhi sulla tavola apparecchiata.
«Perché cazzo non c’è il vino a tavola?»
Un calcio ben assestato tra le natiche e Portia finì contro i fornelli.
Barcollò per mantenersi in equilibrio mentre un flusso acido di ferocia pura le risalì in gola misto a lacrime di umiliazione.
Voltandosi vide il padre rosso in viso con gli occhi sporgenti come due biglie pronte a schizzare fuori dalle orbite.
Una bestia, ecco cos’era. Portia strinse le labbra in una piega amara ma non poté impedire che gli occhi neri si dilatassero carichi di risentimento mentre gli serviva il vino. Era sempre stato così, un animale.
Non aveva altri ricordi del padre se non di botte e inseguimenti per casa. E quando riusciva ad acciuffarla, la faceva nera. Come quella volta in cui le aveva rotto due costole, o quell’altra... Portia chiuse gli occhi un istante lasciandosi andare sulla sedia e lottò contro il desiderio di portarsi la mano alle orecchie, a quei lobi torturati così brutalmente con un paio di orecchini strappati via.
Niente avrebbe potuto toglierle dalla testa quel pomeriggio d’inverno, quando la furia del padre si era sfogata su di lei in modo tanto doloroso. Il senso di strappo era qualcosa che ancora le metteva i brividi lungo la schiena e le faceva venire da vomitare. Sbocconcellò un po’ di pollo ma la fame le era passata.
Il desiderio di restituire il dolore che pativa da una vita era bruciante. Non ci sarebbe voluto ancora molto tempo. Prima o poi qualche voce gli sarebbe arrivata all’orecchio e lei gliele avrebbe rese tutte, una per una.
«Ahahah vedrai fra un po’ gli Ansaldo che fine faranno!» diceva lui intanto.
Portia si girò dalla parte del padre che ruttò sonoramente e impugnò una coscia di pollo. Che fine avrebbe dovuto fare mai la famiglia Ansaldo, avversaria d’annata dei Mantini?
«Ma chi? I nipoti di Geronimo?» La madre somigliava sempre più a un specie di fantasma e così la sua voce.
«Sì, sì, proprio loro.» Tony Mantini rise come una iena mostrando la bocca sdentata e piena di cibo: «Dovranno correre a farsi una lavanda gastrica con la partita di sardine avariate che gli ho rifilato oggi!»
Ah, ecco perché se la rideva tanto, l’aveva messo in culo agli Ansaldo i quali in tal modo pagavano il prezzo di qualche fregatura che avevano rifilato a loro volta. Portia ingoiò un pezzo di carne stopposa e dovette innaffiarlo con acqua abbondante per farlo scendere.
Il padre si asciugò la mano unta sulla tovaglia, si alzò e fece partire la sua insopportabile musica napoletana:
«E che sarebbe ‘sto mortorio?».
Quel motivetto odioso avrebbe continuato a suonare per chissà quanto. Con le finestre spalancate si sarebbe sentito fin dalla strada.
Appena sparecchiato Portia si defilò in camera sua. Si era mossa con gesti automatici con il sangue ancora in tumulto. Si sedette sul letto e cominciò a strofinare via i residui di smalto sbeccato dalle unghie, raccoglieva le energie per rimanere calma e lucida. Gli avrebbe dato ciò che meritava, presto Antony Mantini avrebbe scoperto di essere il padre della più grande troia su piazza.
Non c’era niente da fare, era nata così, era questione di natura. Si poteva essere malati di sesso? Forse sì, lo aveva letto a proposito di alcune celebrità, ma le sembrava strano che potesse capitare anche a lei. O forse, pensò guardandosi allo specchio, semplicemente non aveva forza di volontà. Non aveva mai capito quale fosse il suo problema veramente e aveva smesso di domandarselo da un bel po’. Sapeva solo di non essere capace di imporsi su se stessa per comportarsi da ragazza per bene; le veniva una specie di frenesia e in certi periodi del mese le sembrava di impazzire, se non avesse trovato qualcuno con cui andare a letto.
Era un bisogno che la faceva letteralmente sciogliere e allargare le gambe, una cosa improvvisa e incontrollabile. Portia richiuse la boccetta d’acetone e fece un sospiro.
Tutto quel concedersi al primo venuto spesso finiva per metterla nei guai. Soprattutto quando i bambocci di turno non volevano sentirsi dire che era finita e che era ora di girare al largo. Com’è che aveva detto il tipo dei sottaceti?
Quella Corvette la si poteva tirare al massimo senza rimorsi, tanto era a noleggio. La potevi sfondare insomma. E chi si sarebbe mai comprato un’auto con cui tutti si erano divertiti senza riguardo?

Per quanto bella e luccicante fuori come una fuoriserie, si sentiva già logora come un’auto di piazza che mai nessuno avrebbe voluto tenere per sé.  Portia allargò le ginocchia e restò a fissare il buio tra le cosce nello specchio. Era un animale, anche se in modo diverso da suo padre. Se solo non avesse avuto le maledette voglie che le toglievano anche la dignità. Se non le avesse avute, sarebbe riuscita a tenere le gambe chiuse, o almeno aperte il giusto. Come Hella e Jessika. Senza un motivo particolare, mentre spremeva il tubetto di crema per le mani, le venne in mente la futura moglie di Orlando Saxton, bella, delicata. E lui, che la proteggeva con quel braccio intorno alle spalle come a difendere una cosa preziosa. Portia gettò la testa all’indietro e i riccioli le ricaddero sulle spalle. Con gli occhi al soffitto, persa in quel bianco privo di fascino, decretò che mai nessuno avrebbe fatto lo stesso con lei. Chiunque l’avrebbe considerata, sempre e solo, pronta per lo sfasciacarrozze.

***


Thiago intanto divorava i gradini della clinica a due a due mentre il rock duro gli martellava le orecchie. Dribblò pazienti e camici bianchi mirando alla tromba delle scale. Niente ascensore per lui; nonostante il nuoto della mattina, aveva tanta di quella energia in corpo che avrebbe potuto correre i diecimila metri e sentirsi ancora fresco. Vedeva solo immagini, isolato dai suoni della clinica, estraniato da tutto per tenere a bada il più possibile le emozioni.
La realtà per lui era ridotta alle scale e poi alla porta dello studio personale in cui entrò a razzo.
“Dr. Thiago Saxton” diceva la targhetta accanto allo stipite. Entrò nel piccolo studio sparato verso l’armadio dove teneva la divisa operatoria.
Cos’è che aveva in programma per il pomeriggio? Sulla lavagna aveva visto di sfuggita che il primo intervento era l’asportazione del tragitto fistoloso di una trachea. Roba semplice. Ancora con la musica sparata nelle orecchie alzò lo sguardo e per poco non gli prese un colpo.
La prima cosa che calamitò i suoi occhi fu un triangolo color miele perfettamente delineato. Non un triangolo qualsiasi, ma uno ben definito e allettante che rivelava appena due petali rosati su una pelle colore del burro. Più su, oltre la pancia piatta, compariva un seno che sfidava la forza di gravità. Se lo ricordava perfettamente perché era passata solo una settimana da quando si era attaccato a uno di quei capezzoli di pesca e si era seppellito per intero in mezzo a quelle gambe.
Un po’ più su, oltre il collo, un sorriso malizioso fatto di labbra carminio e denti bianchissimi. La ferrista canadese arrivata da dieci giorni in clinica e che si era allegramente sbattuto sulla centrifuga del laboratorio, com’è che si chiamava...
«Pamela!» la indicò con l’indice e le indirizzò uno dei suoi sorrisi migliori. Almeno il nome se lo era ricordato. Per lui sarebbe andato bene anche “bionda scopata sulla centrifuga” ma nessuna donna, neanche la più ragionevole, sarebbe stata dello stesso avviso. Il camice era completamente aperto e quella ragazza...beh era uno schianto. Thiago sentì il battito del cuore accelerare e in contemporanea la carne premere sulla patta dei pantaloni.
La saliva gli si prosciugò in bocca e l’istinto gli fece uscire fuori la lingua per leccarsi le labbra. Ma fu solo un istante, l’attimo dopo scosse la testa per schiarirsi le idee. No, no e poi no. La regola ferrea era “solo una volta”. “Una volta e basta” e Pamela aveva avuto la sua, di “volta”. La vide scendere con un saltello dal mobiletto e avanzare sui tacchi.
Thiago rimase sul posto a fissare quel tripudio di corpo che marciava per conquistarlo. Lasciò cadere la divisa e incrociò le braccia sul petto nel più classico degli atteggiamenti di chiusura. Il suo viso doveva dire tutto perché Pamela deglutì atteggiando le labbra all’ingiù:
«Cosa c’è che non va in me?»
Thiago glielo aveva letto sulle labbra. Se aveva esordito così senza che lui l’avesse ancora respinta a parole voleva dire che si trattava di una ragazza intelligente. Ma non sarebbe bastato, e lui lo sapeva bene.
«Non sei tu, tesoro, sono io,» e non stava mentendo, in parte era vero.
Pamela si avvicinò togliendogli gli auricolari.
«No, cosa stai facendo?»
Privato dello stordimento della musica Thiago sentì il fiato mozzarglisi nel petto.
«Non dovevi,» sibilò. Era senza difese. Provò a sorridere ma la posa durò appena due secondi trasformandosi in un’espressione dura e contratta. Si batté la mano sulla tasca alla ricerca delle pillole ma la tasca era vuota.
«Dannazione,» e senza aggiungere altro si girò per aprire l’anta dell’armadietto dando le spalle alla ragazza.
Gli si aprì una voragine nel petto: lo svuotatasche in cui poggiava sempre i farmaci personali era vuoto.
Sbatté la fronte contro lo sportello. Era finito, spacciato. Ce l’aveva duro da morire per colpa di quella stronza e se non avesse svaligiato al più presto la farmacia della clinica sarebbe avvenuta la catastrofe. E sarebbe successo davanti a tutti.
Era la sua natura, natura del cazzo! Avrebbe dovuto vederlo ora suo padre, fanculo pure a lui e alla sua ipocrisia. Con la voce che gli usciva dal petto come un cupo brontolio riuscì ad articolare solo mezza frase:
«Non posso, va’ via!»
«Tra tanti che mi sono sbattuta sei in assoluto il più stronzo!»
Aveva di sicuro detto la verità. Thiago sentì il tacco echeggiare sul pavimento di marmo e poi la porta sbattere.
Espirò di colpo il fiato che aveva trattenuto, gli restavano pochi minuti, appena sufficienti per poter scendere nei locali della farmacia della clinica.
Quel pomeriggio si era messa male dal pranzo in poi. Il giorno dopo avrebbe fatto il bis in piscina ma avrebbe saltato di passare a casa, il quadretto famiglia felice gli dava il voltastomaco. Avrebbe preso qualcosa in Hamburg Ave, in quella drogheria sulla strada, tanto era sempre aperto.


L’autrice:
Margaret Gaiottina dopo l’exploit degli esordi de La sedicesima notte, è autrice di cinque romanzi tutti pubblicati, il suo maggior successo Jaguarà è stato pubblicato e tradotto negli Stati Uniti, Canada, Australia e Inghilterra.


Cosa ne pensate di questi primi 2 capitoli?
Non siete ancora sazi?
Non perdete domani il nostro appuntamento con il
3° capitolo!

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