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articolo di Maria Teresa Siciliano! Dall'Odissea a Il Ritorno di Ulisse, un'operazione riuscita?
Nel
1979 uscì I guerrieri della notte di
Walter Hill. Parlava delle bande giovanili di New York che si riunivano nel Bronx
per trovare un accordo fra loro, ma qualcuno non aveva interesse alla pace e
quindi nel corso della riunione il promotore veniva assassinato. I Guerrieri, accusati
ingiustamente dell’omicidio, intraprendevano un lungo viaggio di ritorno verso
Coney Island con la metropolitana e, qua e là, a piedi, combattendo contro
agguati di ogni genere da parte delle altre bande.
Le enciclopedie del cinema
ci dicono che il film traeva spunto dall’Anabasi
di Senofonte, ma il critico di Repubblica, mi pare, sostenne che il punto di
riferimento più adatto era l’Odissea
(e per questo io lo andai a vedere): in effetti, durante la lunga notte
travagliata, il protagonista ed i suoi incontrano strani gruppi in cui si
possono riconoscere via via in forma moderna i Ciclopi, le Sirene, Circe e
infine gli abitanti dell’Ade. I nostri combatteranno tutta la notte, con in
mente solo la determinazione di tornare a casa. Ce la faranno in massima parte,
ma alla fine avranno preso atto che appartengono alla classe sociale più
diseredata e che Coney Island non è la terra promessa, la patria, ma un luogo
brutto e desolato.
Mi
piacciono molto le opere che si rifanno al mito, per quanto a prima vista
choccanti. Ad esempio sono fra quelli che hanno apprezzato Troy, che pure si prende molte licenze rispetto alla tradizione greca,
con la sua rilettura in chiave pacifista dell’Iliade. Quindi capirete che non
potevo perdermi Il ritorno di Ulisse (serie televisiva andata in onda su Rai 1) ed
ero pronta ad una rivisitazione in chiave moderna.
Su
Wikipedia ho scoperto che l’edizione trasmessa in Italia è stata pesantemente censurata,
togliendo soprattutto, o riducendo, le scene di sesso e di violenza (di uno
stupro è rimasto solo qualche secondo). La fiction inizia
dalla seconda parte dell’Odissea,
lasciando fuori viaggi e mostri. E questo va bene, visto il titolo. Ma poi sono
arrivate strane sorprese: innanzitutto il numero dei Proci viene ridotto a una
ventina (cioè meno di un quinto del numero tradizionale); dei capi è rimasto
solo Antinoo, mentre per ragioni sconosciute se ne inventano di sana pianta
altri. La resa dei conti viene anticipata nella seconda puntata ed è piuttosto
sbrigativa. Cosa ci sarà negli altri due episodi, mi sono chiesta.
In
realtà tutto viene concentrato sulla figura di Ulisse: l’idea, in sé non
malvagia, è quella di reinterpretarlo nella chiave del reduce, che è stato
pesantemente segnato dalla violenza subita ed inflitta. I massacri compiuti lo
hanno reso un uomo instabile e irrazionale, un pazzoide violento e sanguinario,
un tiranno che non si fida più neanche della moglie e del figlio, che pure lo
hanno aspettato per vent’anni, e delle persone più care sopravvissute. Per cui
la fiction è una serie di morti e di pire, stranamente senza fuoco ma fumanti,
in cui vengono via via bruciati i corpi dei vari personaggi. La vicenda viene
complicata da una doppia storia d’amore di Telemaco con una schiava troiana e
poi con la moglie Nausicaa, l’unico personaggio proveniente da una tradizione
greca, sia pure secondaria.
Tralascio
l’inserimento della Sparta di Menelao, reinterpretata in chiave vagamente nazista.
Un po’ sprecato il personaggio del giovane Omero, che riceve dalla diretta voce
di Ulisse il racconto, puramente verbale, delle sue avventure e che diventerà
cieco nel corso della vicenda: l’unico particolare innovativo che mi è sembrato
interessante, anche se solo accennato. La fiction si conclude con l’instaurarsi
ad Itaca di una specie di monarchia liberale intorno a Telemaco e alla schiava
Cleia, diventata regina (!).
Insomma
una fiction piuttosto irritante. Imparagonabile con il film di Camerini, che
pure all’epoca suscitò molte polemiche.
Niente
a che vedere con il personaggio omerico, prototipo dell’uomo moderno: Ulisse,
come diciamo noi (perché Omero parla ovviamente di Odysseus), è l’anti-Achille,
che si affida all’astuzia piuttosto che alla forza (anche se è pur sempre un
eccellente guerriero), che vaga da dieci anni per il Mediterraneo, perseguitato
dall’ira di Posidone, dio del mare, e ama alcune donne, ma sempre desiderando
ritrovare sua moglie. Per lei, che pure nel frattempo è invecchiata, e per la
sua Itaca rinuncia all’immortalità che gli viene offerta dalla ninfa Calipso,
innamorata di lui, e dice che gli basterebbe perfino vedere solo il fumo che
sale in cielo dai tetti della sua isola e poi morire. Quasi nulla in comune con
l’eroe dantesco della conoscenza (o almeno della conoscenza come la concepiva
il medioevo).
Dopo
il ritorno in patria, lo sterminio dei Proci e l’accordo con i nobili del suo
regno, che sembra prefigurare il passaggio dalla monarchia alla repubblica
aristocratica, Ulisse dovrà ripartire questa volta verso il continente. Qui
penetrerà nell’entroterra con un remo sulla spalla, finché qualcuno gli
chiederà: “Perché porti quel palo sulla spalla?”. Sarà il segnale che è
arrivato fra genti che ignorano la navigazione. Allora si fermerà e costruirà
un altare a Posidone. E il dio allora gli concederà di tornare ad Itaca, alla
sua reggia e a sua moglie. E lì condurrà una lunga vita serena e pacifica. E a
suo tempo una morte dolce gli verrà dal mare.
Per
me incomprensibile che gli sceneggiatori del Ritorno di Ulisse non abbiano pensato ad un finale su questa
falsariga, che si sarebbe conciliato bene con la loro reinterpretazione del
personaggio.
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condivido! ho guardato la fiction tv per gli stessi motivi di matesi e condividendone l'irritazione e lo sconcerto crescenti. ho adorato l'Odissea che continuo a rileggere e il personaggio di Ulisse, uno dei più significativi della letteratura e dell'immaginario occidentale. Matesi cita Dante, rispondo con "bello di fama e sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse". Ho percorso le isole greche in una breve crociera purtroppo presto interrotta e trovando all'orizzonte le isole in un mare di un colore mai visto ho provato un'emozione speciale...
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