Una storia vera.
La vita e l'amore al tempo dei lager.
Una storia che ha commosso il mondo
Può l'amore sopravvivere all'orrore dei campi di concentramento?
Genere: Storico
Editore: Newton Compton
Collana: I volti della storia
Prezzo: € 9,90
Pagine: 288
Uscita: gennaio 2013
Sinossi:
Millie Werber ha quattordici anni quando i nazisti invadono la Polonia. La sua cittadina, Radom, viene trasformata in un ghetto e la fabbrica locale in un campo di concentramento.
L’unico modo per avere salva la vita è lavorare come operaia per i tedeschi. Ma persino nell’orrore di un lager si può trovare l’amore: proprio qui, infatti, la ragazza conosce Heniek, ebreo costretto a collaborare con le SS. I due si scambiano le fedi e una promessa d’amore eterno. Il loro matrimonio, però, dura ben poco: Heniek viene tradito da un altro ebreo e fucilato dai nazisti. A Millie non resta che farsi forza e lottare a ogni costo per sopravvivere e per affrontare l’orrore di Auschwitz. Anni dopo, reduce dal lager e dalla terribile marcia della morte, per la Werber arriverà il momento di rifarsi una vita in America accanto a un altro uomo, il secondo marito, Jack. Eppure il ricordo di Heniek – il primo, grande amore – l’accompagnerà per sempre, proprio come l’anello che lui le aveva donato nel ghetto di Radom. La straordinaria vicenda di questa coraggiosa sopravvissuta ci racconta nei dettagli cosa significava vivere nella Polonia occupata dai nazisti e come si possa trovare l’amore vero persino nell’inferno dell’Olocausto.
«La storia della Werber è davvero avvincente e scritta con una straordinaria spontaneità e attenzione ai particolari […]. Un toccante contributo alla letteratura sull’Olocausto.»
Kirkus Reviews
«Tra i libri dedicati all’Olocausto, questo sincero, onesto, appassionato resoconto della sopravvissuta Millie Werber spicca per il suo valore.»
Booklist
«La Werber ci racconta una possente e tragica storia d’amore in tempo di guerra, che ha tenuto nascosta dentro di sé per tutti questi anni.»
Jewish Week
RECENSIONE A CURA DI PAOLA ANGHILERI:
Ciao Insaziabili,
oggi 27 gennaio 2015, Giornata della Memoria, vi
parlerò della vita di Millie Werber raccontata nel bellissimo e commovente
libro “La sposa di Auschwitz”.
È stata una lettura intensa, commovente, delicata e
forte allo stesso tempo. Non sono in grado di trovare le parole per descrivere
gli eventi narrati dall'autrice e quindi mi sono appropriata delle sue parole.
Delle parole di una sopravvissuta.
Nell'introduzione, Eve Keller (docente che ha
aiutato Millie a scrivere la sua storia) sintetizza in maniera efficacissima
il contenuto del libro:
“Fu piuttosto facile ricostruire la
cronologia essenziale: nel settembre del 1939 la Germania invade la Polonia;
nella primavera del 1941 vengono creati due ghetti nella città industriale di
Radom; nell'estate del 1942 iniziano le deportazioni e vengono istituiti i
campi di lavoro forzato; una ragazzina si sposa e un uomo dall'animo buono
viene tradito; tante, tantissime persone muoiono; la guerra avanza,
inesorabile.”
Presumo capirete benissimo se vi dico che per me
non è per niente facile scrivere questa recensione. Il tema della Shoah, delle
deportazioni, dei lager è molto “delicato”. Mi ritrovo sempre in lacrime.
Perfino adesso mentre scrivo ho gli occhi che pungono.
Ripenso a tutti gli orrori che queste persone
innocenti hanno dovuto subire e mi ritengo la ragazza più fortunata della terra
solo per essere nata in quest’epoca di agi e comodità.
Ma questo libro, la storia di Millie, non si limita
solo a raccontare gli eventi di quegli anni.
La storia di Millie è anche una storia di speranza,
altruismo e amore.
“Non era soltanto la storia di
sofferenza e perdita di una sopravvissuta, era soprattutto la storia di un
amore giovane e ardente consumato tra gli orrori, e malgrado gli orrori, della
guerra. Un amore che nel silenzio era rimasto inalterato, e non era mai morto.”
Millie aveva solo 15 anni all'epoca. Aveva una
casa, una famiglia, degli amici e molti sogni.
Poi è scoppiata la guerra e sono iniziati i
rastrellamenti nel ghetto di Radom, dove viveva. È stata costretta a lavorare
per sopravvivere.
Riuscite a immaginare cosa può provare un’adolescente
scaraventata nel mondo del lavoro e della guerra? Un mondo in cui non è
concesso alcun errore. Un mondo in cui chi sbaglia muore. In cui il proprio
destino è in mano al caso, diviso tra fortuna e sfortuna.
Ma poi, del tutto inaspettata, nel mondo di Millie
appare una luce. Un punto fermo e sicuro. Heniek Greenspan.
“Ogni cosa che io e Heniek
condividevamo era un segreto, il tempo insieme era rubato. Eppure niente
appariva più legittimo, predestinato.
Ero innamorata di Heniek Greenspan, e
per un po’ non fui sola.”
Heniek era un uomo molto più grande di lei, ma
aveva un animo nobile. Era una persona giusta, corretta e verso Millie provava
un amore forte, puro e sincero.
Ma la partita non era ancora finita…
“Mi trovavo a 5 metri da Heniek
quando lo catturarono nei campi del lager, ma fu impossibile andare da lui. Non
potei avvicinarmi; non riuscii a dirgli addio. Mi trovavo a 5 metri da mio
marito, e non potei fare altro che guardare, mentre l’SD conduceva lui e gli
altri poliziotti della fabbrica fuori dei cancelli del Kounzentrationslager.”
Quella fu l’ultima volta che Millie vide suo
marito.
Non so quanto sappiate voi lettori dei lager, io
credevo di avere un’idea abbastanza chiara (in fin dei conti ho visitato due
volte il campo di Dachau)… ma nulla è in grado di prepararti agli orrori, alle
offese gratuite e immotivate che quella gente ha dovuto subire.
Non ci sono parole per esprimere quello che hanno
sopportato, non ci sono parole per descrivere queste tragedie.
Noi adesso conosciamo Auschwitz come il più grande
e importante dei campi di sterminio, un luogo dove l’unico modo per uscire era
passare per i camini dei forni. Adesso lo conosciamo come “la fabbrica della
morte”.
Ma i prigionieri avevano una visione parziale,
incompleta della guerra…
“La gente
doveva sopravvivere. Nessuno aveva i mezzi per farlo. La violenza era la norma.
[…] Non so descrivere a cosa “somigliasse” Auschwitz, perché non somigliava a
nulla che sia mai esistito: posso descriverne solo frammenti, quelli che ancora
vivono in me.”
Una volta terminata la guerra, Millie rincontra
quello che poi diventerà il suo secondo marito, Jack. Con lui riesce ad
affrontare e/o superare la solitudine, gli incubi e i traumi che la guerra le
ha lasciato.
Jack diventerà la sua nuova roccia, il suo nuovo
punto di riferimento.
Ma i problemi non sono ancora finiti.
Si, la guerra è terminata, Hitler è stato sconfitto
e gli ebrei sono liberi... ma i pensieri, le cattiverie della gente che si
crede superiore ci sono ancora, e sono più taglienti di una lama. Soprattutto
quando provengono dai tuoi stessi parenti.
Nonostante tutto Millie è riuscita a ricostruirsi
una vita. Ha sudato, ha fatto sacrifici e ha costruito la sua adorata famiglia.
Nel cuore, però, serba ancora tutti i ricordi di quel
periodo. Gli incubi, i soprusi, le ingiustizie, la morte. Tra i ricordi, però,
ci sono anche l’amore e la speranza. C’è Heniek.
“In quei pochi mesi passati con lui,
avevo trovato la felicità. Mi ero abbandonata al piacere di credere nel futuro,
nelle promesse e nelle prospettive. Anche in mezzo alla guerra, con tutte le
uccisioni, le esecuzioni e le crudeltà al di là di ogni immaginazione, avevo
creduto che non ci fossero solo oscurità e morte. Heniek mi aveva fatto credere
nella vita.”
Ho voluto parlarvi della vita di questa signora un
po’ per l’argomento, un po’ per il messaggio che mi ha lasciato.
Millie è nata nel periodo che ritengo essere il più
orribile mai esistito. Un periodo che piega le persone, che le spezza dentro. È
vissuta nel buio della guerra e della morte, ma è riuscita a trovare la luce, è
riuscita a trovare e credere nell'amore, lasciandomi un messaggio di speranza:
dopo il buio, torna sempre la luce.
Durante quei lunghi anni prigioniera, Millie è
stata aiutata da molte persone, uomini e donne, di varie origini e religioni,
disposte a sacrificarsi per ciò in cui credono, disposte a rischiare la vita
per la felicità e la liberazione di altri.
Nell'incubo che era la guerra, c’era comunque
qualcuno che aveva la forza di opporsi alle ingiustizie facendo anche solo una
piccola azione, ma sempre con rispetto e dignità verso coloro che avevano perso
(o stavano perdendo) tutto… compresi se stessi.
Inutile dire che consiglio caldamente la lettura di
questo libro, ma permettetemi di proporvi un’ultima, importante citazione: alla
fine del libro, Millie spiega che ha deciso di tramandare le sue memorie per
far sì che la gente ricordi gli eroi
silenziosi della sua vita.
“Prima di Jack, mi hanno protetto
anche altre persone. Nel raccontare la mia storia, ho voluto rendere loro. […]
Voglio che il mondo conosca queste
persone, gli eroi silenziosi della mia vita.
Ma soprattutto voglio che il mondo
sappia di Heniek: lui non ha mai potuto crearsi una famiglia che lo onorasse e
ricordasse. Non voglio che Heniek sia cancellato dalla Storia: voglio
riconoscerne i meriti, perché ha scelto di essere un uomo buono e gentile nel
peggiore dei periodi.”
Per tutti i morti e i sopravvissuti.
Per tutti gli eroi silenziosi che la storia non
conosce.
Perché non bisogna dimenticare.
Perché quest’atroce periodo di storia non si
ripeta.
Mai più.
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