Amore fra le righe: "BE MY VALENTINE" di Stefania Auci.

Un nuovo ed originale racconto per la rassegna "AMORE FRA LE RIGHE".


Stefania Auci ci regala una sua particolare e simpatica visione dell'amore.
 Per voi "Be my Valentine"!





Da qualche parte in Italia negli anni Novanta

Un campanello che tintinna. La porta del negozio si chiude alle tue spalle con un tonfo soffice e taglia fuori il vento tagliente di febbraio.
Tiri su con il naso, in imbarazzo. Non ti va di essere lì, ma è l’unica cosa che puoi fare a questo punto.
A questo punto.
E che cazzo!
Lasci scorrere gli occhi sugli scaffali pieni di pelouche bianchi con le scritte rosse e poi ancora cuscini con i cuori, palloncini gonfiabili, portafoto zuccherosi. Chincaglieria, ma è quello che ti serve.
Un po’ di paura ti stringe lo stomaco. Ben più di un po’, in verità: questo negozio è frequentato dalle tue compagne di scuola e chissà che figura ci faresti se scoprissero che…
Che.
No, meglio fare in fretta. Via il dente, via il dolore.
Ti soffermi su un orsetto che stringe tra le zampe un cuore con la scritta Be my Valentine. È simile a quello con cui ti ficchi sotto le coperte la notte, anche se non lo confesseresti mai a nessuno. Quindici anni e dormire ancora con l’orsacchiotto, mentre le tue compagne già parlano di baci e sesso, mani che corrono e ben altro.
Sì, questo può andar bene.
Ti avvicini esitante alla cassa. Alla radio, i Bluvertigo. No, non ti piacciono.
«Ventidue mila lire».
La cassiera è una ragazza grande, con un mascara esagerato e piccole cicatrici di acne sulla faccia. Ti squadra in maniera svogliata, poi solleva il pupazzo. Quel po’ di fascino che aveva ai tuoi occhi viene meno con quel gesto sgarbato. Ora è solo un inutile animale. Finto.
«Ãˆ un regalo? Lo devo incartare?»
No, che ne dici? Me lo mangio a colazione dopo il caffè?
Annuisci in fretta, cercando di non far trapelare il fastidio per quella persona. Hai l’impressione che ti guardi in maniera strana e che rida di te sotto i baffi, che non sono poi così metaforici, visto che una leggera peluria le scurisce il viso. A guardarla, persino la tua autostima che di solito risiede sul fondo stradale ha un sussulto di dignità.
Ok. Pupazzo pagato. Afferri l’involto – carta con i cuoricini e ti amo scritto in tutte le lingue –
lo infili nell’Invicta e via, come se ti inseguisse il diavolo. Solo dopo aver fatto un paio di isolati sotto una pioggerellina lieve ti permetti il lusso di respirare normalmente.
Ti senti come una ladra che abbia rubato un gioiello o un capo firmato; hai persino la sensazione che i passanti accanto a te alla fermata del bus ti guardino e ridano per ciò che hai fatto. Intimamente, provi rabbia e, nello stesso tempo, ti senti patetica.
Ma cosa vuoi fare? Ti sei infilata in una strada senza uscita.
Sospiri di sollievo quando l’autobus si ferma davanti a te. Sali. Beh, comunque è andata. Hai il tuo trofeo da esibire.


A casa ti infili nella tua stanza. Tua madre non ci fa caso: tutto sommato sei un’adolescente, è normale che una ragazzina di quindici anni nemmeno troppo carina tenga il muso in questi giorni. Con un sorriso indulgente, invece, si sofferma su tua sorella raggomitolata sul divano che sta parlando al telefono con il suo ragazzo. Da un’ora.
Tu senti quei pensieri come un affronto personale. Detesti il fatto che in famiglia cerchino di consolarti, che ti dicano “Ma dai, è solo una giornata come le altre, è stata inventata dai produttori di cioccolatini e dai fiorai per aumentare le vendite”. E poi ancora: “Vedrai che presto troverai il ragazzo per te. Certo se ti vestissi un po’ meglio…”, e infine “Sii più socievole. E poi metti la gonna, le femmine mettono la gonna, non sempre e solo i pantaloni”.
Se l’effetto doveva essere quello di tirarti su di morale, beh raggiunge quello opposto in maniera direttamente proporzionale.
E domani è San Valentino, cazzo.
A pancia in aria sul letto guardi il soffitto. Nel walkman, i Rem.
Ci hai provato a essere diversa. A essere carina, a farti piacere quello che piaceva alle altre. Le felpe Nai Oleari, le Converse – Dio, che scomode – i giubbotti e le scarpe Timberland e Best company. Tua madre che parla tanto di sentirsi a proprio agio con se stessi, mica te le compra queste cose: costano un botto. Ti impone gonne e camicie  che useresti per accendere un camino, se ne avessi uno. Hai quindici anni, non trenta. Perché non lo capisce?
E poi. Il ragazzo. FI - DAN - ZA - TO. Di una classe di ventiquattro, sei maschi e diciotto femmine, dodici hanno uno straccio di fidanzato/a. Dei restanti, alcuni hanno già fatto le loro esperienze e sono temporaneamente in caccia, mentre altre due o tre – chissà perché son quasi sempre ragazze, poi – sono dedite al “fidanzamento a senso unico”. Nel senso che sono fidanzate, ma ne hanno cognizione soltanto loro: la controparte, il più delle volte, non sa nemmeno della loro esistenza.
Inutile dire che sono oggetto dello scherno del resto della classe.
Tu non le deridi, però. Tu conosci bene la loro condizione, anche se dichiari a te stessa di non essere così disperata, o forse lo sei e non vuoi ammetterlo. Sta di fatto che non ne puoi più di sentire discorsi di intimità rubate, le storie delle tue compagne che si trovano un ragazzo ai loro piedi come se fosse caduto dall’albero, i loro “E poi mi ha…”.
Così, dopo una festa per le matricole della scuola nella solita discoteca sulla provinciale, hai deciso che dovevi mettere un punto fermo a quella situazione.
There’s me in the corner/there me in the spotlight/losing my religion.
Il nastro nella cassetta è sottile a furia di ascoltare e ascoltare ancora, è talmente logoro che prima o poi si spezzerà.
Grazie al cielo, tu non hai solo la scuola. Hai la palestra. Il circolo della lettura. Uno di quei posti in cui il 90% delle tue compagne non metterebbe piede.
L’idea è nata da una battuta scema di tua sorella. Ha preso forma e colore fino a che non è diventata… reale. E ti è sfuggita dalla bocca, trasformandosi da pensiero in bugia in un batter di ciglia.
«Anche io ho un ragazzo!»
Lo hai proclamato in classe, infastidita dall’ennesima descrizione della tua compagna di banco su quello che ha fatto sabato sera con il suo nuovo ragazzo. È già al terzo o quarto, beata lei.
Oh, no I said too much.
Non lo avesse mai fatto.
Le altre ragazze si sono avventate addosso chiedendo di sapere.
Chi è.
Dove va.
Cosa fa.
Che scuola frequenta.
Perché – e questo commento a mezza voce l’aveva ferita oltre ogni cosa – era assurdo che lei potesse trovare uno che le andasse dietro.
Così Davide ha preso forma. Sì, frequenta il liceo – quello dall’altra parte della città – e sì, gli piace leggere. Ci siamo conosciuti al circolo della lettura. A quest’affermazione, l’entusiasmo scema rapidamente: allora sarà un secchione con gli occhiali, immaginano. Non lo dicono, ma glielo si legge in faccia e il fatto di non avere una foto con lui non aiuta.
Comunque, il danno è fatto.
Siccome sei attenta, cerchi di fabbricare le prove, così come fanno i personaggi dei romanzi di Turow che ami tanto leggere. Ti sei ingegnata a scriverti dediche sul diario con una calligrafia diversa dalla tua per dare corpo a questo fantasma. Ti sei scritta bigliettini che hai incollato sulle pagine del diario, e poi li hai esibiti con un’impacciata nonchalance, lasciando le pagine aperte, alla mercé di tutti. Non c’è nulla di più privato del diario scolastico di un’adolescente, e nello stesso tempo, non c’è nulla di più pubblico, perché è lì che l’anima è messa a nudo. Tu lo sai. Hai accettato questo gioco.
Solo che adesso comincia a pesarti.
Ti giri su un fianco, le ginocchia raccolte sotto il petto, coperte dal maglione oversize Sisley. Davide non esiste. I suoi bigliettini sono un falso. La tua vita con lui non esiste.
Ora, in questo momento lo ammetti: sei davvero disperata, così come le tue compagne patetiche. Loro hanno illusioni infantili, tu sei passata allo stadio successivo: la falsificazione della realtà. Roba che Freud ci andrebbe a pranzo e chiederebbe pure il bis di ogni portata.
Allunghi la mano verso il diario e lo accarezzi, come se fosse la mano di un altro essere umano. Lì dentro c’eri tu, i tuoi disegni, le canzoni che ascoltavi. Ora c’è solo una persona che recita e che non riesce a uscire da questa trappola. Ma non puoi farne più a meno, le bugie son diventate un castello e se questo crollasse, ne saresti travolta.
Già lo immagini. Le puoi sentire, vedere, e già il solo pensiero ti dà i brividi. Risatine. Battute acide. I tuoi compagni – i maschi – che ti fanno notare quanto poco tu sia attraente e le compagne che sottolineano tra loro quanto tu sia sfigata da aver dovuto creare un ragazzo che non esiste.
E in tutto questo, nessuno con cui parlare. Né i tuoi genitori, né tua sorella. Nessuno.


Il sibilo sordo del walkman ti avvisa che è finito il nastro e che tu ti sei appisolata. Ti tiri su a sedere: dovresti studiare, domani c’è italiano e poi fisica. Che palle.
Eppure.
Il peluche scartato non avrà diritto di cittadinanza neanche nella tua stanza. Tua madre comincerebbe a rompere le scatole chiedendoti cosa è e come mai lo hai tu, chi te lo ha regalato. Tra lei e le tue compagne non sai chi sia peggio, se una marea di oche che ti sfottono o una donna matura con l’ansia spasmodica di sapere chi frequenti.
Mah. Ora come ora ti andrebbe bene anche Jack lo Squartatore, specie se domani ti portasse in moto a scuola.
In maniera svogliata, prendi l’antologia di italiano. Il Trecento. Dante.
Ma sotto quel volume c’è un altro libro. Le lettere d’amore di Abelardo ed Eloisa. Accantoni il testo scolastico e riprendi a leggere le lettere dell’infelice Eloisa e annuisci a labbra strette. Certe cose non cambiano, anche a secoli di distanza.
E poi capisci.
Che non è quella la strada, e che bisogna essere semplicemente se stessi, e non fare ciò che gli altri si aspettano.
Pupazzi? Cioccolatini? Magliette. Naa.
Se Davide esistesse davvero, ti regalerebbe un libro, proprio come quello che tieni in mano, romantico e sofisticato.
È una sorta di epifania, un’idea che ti fa ridere e annuire in silenzio, ti riempie di una strana voglia di ballare. Se lui non esiste, allora puoi permetterti di immaginarlo davvero come vorresti che fosse. E allora non dovrebbe essere un ragazzotto un po’ infantile.
No. Lo vorresti intelligente. Attento. Divertente. Un lettore, insomma, che sa che nei libri si custodiscono centinaia di vite, tutte quelle che non ci è concesso di vivere.
Salti giù dal letto, scorri con la punta delle dita il dorso dei libri che hai comprato di recente approfittando degli sconti per i soci del circolo della lettura. Non puoi spendere altro, dopo il salasso per il pupazzetto.
Ed eccolo lì. Il Fantasma dell’opera di Gaston Leroux. Te l’ha consigliato il vecchio libraio quando gli hai detto che volevi un romanzo d’amore che ti tenesse davvero con il fiato sospeso. Intonso, perfetto. Sgusci via in cucina, prendi carta, e scotch. Prepari la confezione sulla scrivania e alla fine resti a guardare quel regalo finto con una strana emozione, come se davvero fosse il regalo di una persona amata. In un certo senso è così. È un gesto d’amore verso te stessa. Anche se compiuto per nascondere una bugia, è la cosa migliore che potessi fare, la più realistica.
OK. Ora puoi rimetterti a studiare. Hai il cuore leggero: finalmente hai trovato la quadratura del cerchio e – di questo ne sei certa – nessuno sospetterà che Davide sia finto.
Infili il regalo nello zaino. Dirai che ti ha raggiunto alla fermata dell’autobus e che ti ha dato il pacchetto al volo prima di andare lui stesso a scuola.
Mentre disegni una D contornata da cuoricini sull’intestazione di un sonetto dantesco comprendi anche un’altra cosa. Che devi cancellare questa bugia dalla tua vita.
Tu e Davide dovrete lasciarvi.
Ormai hai ottenuto lo scopo: hai provato alla tua classe che anche tu hai una vita sociale, e che non sei sfigata. Ma soprattutto questa storia ti ha scocciato. Troppo casino, è tutto così complicato e, anche se non lo ammetti nemmeno con te stessa, ti vergogni per ciò che hai fatto. Ti vergogni e sei incazzata con te stessa perché… perché. Troppi motivi che non ti va di analizzare.
Ci pensi un attimo, matita tra i denti. Potreste lasciarvi di comune accordo, ma no, non ti sembra che vada bene, ti torturerebbero per capire le motivazioni, e le tue compagne sono delle autorità nel campo del rompimento di scatole. Di dire che ti ha lasciato lui, nemmeno se ne parla: ripiomberesti immediatamente nell’area delle sfigate, quella che hai faticosamente abbandonato con questo castello di bugie. Allora, un trasferimento in un’altra città sarebbe l’ideale: tipo che suo padre viene mandato dall’altra parte dell’Italia e quindi farete i fidanzati a distanza ma si sa le cose non durano e poi…
Vabbè. Così funziona.
Riprendi il walkman, giri la musicassetta. Accendi e ricominci a sottolineare il commento dell’antologia. Ti senti leggera. La vita ti sorride e sei persino pronta ad affrontare un’interrogazione di fisica.
Non c’è niente di più liberatorio dell’idea di affrontare San Valentino sapendo che presto tu e il tuo – immaginario – fidanzato vi lascerete presto.






 
L’autrice:

Stefania Auci vive a Palermo con la sua famiglia. Ha pubblicato due romance storici con la Harlequin Mondadori legati al periodo della ribellione Giacobita del 1746 - Il fiore di Scozia e La rosa Bianca - oltre a una raccolta di racconti gotici con una casa editrice minore. Collabora attivamente con il blog letterario Diario di pensieri persi e la rivista Speechless e ha pubblicato on line numerosi racconti per vari blog e siti letterari



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1 commento:

  1. Complimenti. Veramente bello. È stato illustrato in modo esemplare l'incasinamento dell'adolescenza! Quel periodo " tragico" per tutti che è il
    necessario traghetto per l'età adulta. Milena

    RispondiElimina

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