"AMORE FRA LE
RIGHE", rassegna letteraria che ha coinvolto le più grandi firme del
romance italiano, ospita un nuovo racconto!
Non lasciatevi scappare questo divertente e piccante racconto della bravissima Margaret Gaiottina. Vi lasciamo a "Legato mi piaci di più"!
Dragomira si concesse di chiudere gli occhi per un
istante. Uno solo.
L'aereo era finalmente decollato, si era esibita nella
solita spiegazione ai passeggeri di dove fossero collocate le uscite di emergenza
e come indossare le maschere in caso di necessità. Aveva osservato le facce;
come al solito una buona percentuale neanche l'ascoltava e una piccola parte
sbiancava quando mostrava le manovre da eseguire in caso di emergenza. Ma erano
sempre meno.
Ritta in testa alla corsia non le sfuggirono le pratiche
di conforto in corso nella prima fila di sedili sulla destra. Una mano dalle
unghie laccate si allungava fino al cavallo di un uomo dalla testa brizzolata.
Dragomira aveva abbastanza esperienza per intuire che si trattava di un uomo
d'affari con la sua collaboratrice, assistente “a tutto campo“. Niente a che
vedere con le storie d'amore che adorava gustarsi leggendo avidamente ogni
uscita della collezione romance Letture proibite. Quelli sì che erano
uomini, peccato rimanessero chiusi nell’eReader.
Finita la dimostrazione si ritirò oltre la tenda blu.
Aveva ancora un'ora buona prima di passare il carrello dei rinfreschi, si
poteva rilassare un po', appena appena, niente di eccezionale, giusto un momento
di relax. Guardinga fece scattare la serratura del vano portaoggetti e infilò
la mano. Sperò che Richard non si voltasse proprio in quel momento, sarebbe
stato imbarazzante se il collega l'avesse sorpresa mentre scartava e arrotolava
la lingua attorno alla pralina golosa. Un peccato rotondo di cioccolato al
latte con il cuore morbido. La voglia era talmente potente che se non si
sbrigava avrebbe stillato acquolina dal margine del labbro. Non vi avrebbe
rinunciato neanche sotto tortura, d'altronde era una bella ragazza, alta, mora,
con forme perfettamente armoniche sebbene più accentuate di quelle delle
colleghe. In ogni caso la divisa le calzava a pennello fasciandole il sedere
come se le fosse stata dipinta addosso. I cioccolatini le facevano bene, poco
ma sicuro.
Non era disposta a rinunciare a quelle delizie;
scioglierli tra la lingua e il palato era come un orgasmo, anzi meglio.
Dragomira si agitò un po' sul sedile. Le maledette calze di nylon erano una
tortura cinese.
Se fosse stata sola sull'aereo avrebbe saputo come
alleviare tutta quella tensione, sarebbe bastato tirare fuori il lettore e si
sarebbe sparata tutto d'un fiato il capitolo dieci di "La duchessa e il
libertino". Altro che lo squallore intravisto poco prima, si trattava di
una storia d'amore in piena regola malgrado il nome astutamente commerciale
della serie: Letture proibite.
Ah, quanto le sarebbe piaciuto sapere quale tattica
Martin avrebbe messo in atto per portare a letto Clarissa! Perché sì, ci
sarebbe riuscito, le premesse c'erano tutte. Fece scorrere la lingua sul palato
per succhiare ogni molecola di cioccolato rimasto ed emise un sospiro. Avrebbe
dovuto aspettare di atterrare a Singapore e poi, chiusa nella camera d'albergo,
avrebbe dato fondo alla scatola di Godiva e si sarebbe tuffata tra balli della
season, carrozze e redingote dell’epoca della Reggenza. Quello e il
cioccolato.

Dragomira gonfiò il petto e sentì i bottoni della giacca
severa scricchiolare nelle asole. Il respiro profondo le portò alle narici un
odore strano che le fece aggrottare la fronte. Era possibile? Un aroma
incredibilmente familiare le arrivò dritto al cervello. Qualcuno stava forse
fumando? Ma chi era tanto decerebrato da trasgredire su un aereo?
Il castello in aria delle sue fantasie fu spazzato in un
sol colpo dal senso del dovere, Dragomira si raddrizzò, diede una lisciata alla
gonna e fece dietrofront verso la prima classe. Lo sguardo scandagliò
l'ambiente alla ricerca del fumatore incriminato. C'era poco da avvistare, la
cabina dei privilegiati era quasi vuota. In economy class, invece non c'era
neanche un posto libero.
Una nuvoletta impertinente si alzava oltre la terza fila.
Con il fuoco negli occhi Dragomira avanzò appena di un paio di passi. Proveniva
da un uomo, un tipo grande e grosso che se ne stava sdraiato occupando
addirittura due sedili e, che il cielo lo fulminasse, stava davvero fumando.
Avrebbe voluto togliergli la sigaretta dalla bocca e
schiaffeggiarlo. Nei suoi sogni.
«Non può fumare a bordo, signore.»
Doveva trattarsi di un cafone arricchito, non lasciava
alcun dubbio il modo in cui stava stravaccato su due sedili. Un cafone texano.
Lo gridava a gran voce il bolo tie
allentato sotto il colletto della camicia. La cravatta di cuoio tipicamente
western completava un abbigliamento rustico sotto ogni aspetto e sottolineava
le peculiarità di quel fisico così... così esageratamente maschio. Potevano un
paio di jeans essere tanto fascianti su quadricipiti simili? E un’insulsa camicia
a quadri tendersi in quel modo sul petto smisurato di quel tipo? E poteva...
Oh, merda, Dragomira cercò di mantenersi concentrata sul lavoro che in quel
momento consisteva nell’ingiungere a quell'uomo di smettere di fumare
convincendolo che ciò era fortemente irrispettoso della salute dei passeggeri.
Da sotto lo Stetson calato su mezza faccia non provenne
alcun suono e le labbra tra cui era intrappolata la maledetta sigaretta non si
mossero, come se il texano non l'avesse neppure sentita. Sembrava giovane,
almeno da quella porzione di viso che il cappello lasciava scoperta e la bocca era circondata da due solchi regalo
del sole. Almeno si faceva la barba. E
quel cappello spocchioso che si era calato sulla fronte... Dragomira strinse le
labbra contrariata.
Le era toccato un bellone, di sicuro anche ricco; i
peggiori, quelli che pensavano che tutti debbano stare ai loro piedi, quelli
che non conoscono il significato della parola "vietato".
«Deve assolutamente spegnere la sigaretta, signore,
altrimenti...»
Era sicura che avrebbe continuato a parlare da sola,
invece l'uomo sollevò un braccio muscoloso e alzò il cappello scoprendo la
parte di viso rimasta nascosta fino a quel momento.
Fu allora che Dragomira si trovò a vacillare, appena un
po', quel tanto che fu sufficiente a farle poggiare la mano su uno degli
schienali. Rimase un secondo con la bocca aperta cercando di continuare il
discorso. Ma è difficile seguire il filo quando due occhi blu elettrico di una
intensità bruciante ti fissano in quel modo assolutamente spudorato e privi di
soggezione. Eppure, lui avrebbe dovuto averne! Lei era la hostess e lui il
trasgressore, lei l'autorità e lui il fuorilegge.
Le due fessure marine la guardarono curiosi, come se
avesse appena sentito qualcosa di talmente astruso da risultare
incomprensibile.
«Mi ha sentito, signore? Deve immediatamente spegnere la
sigaretta.»
L'uomo si scostò l'appendice dalle labbra senza prendersi
la briga di raddrizzarsi o smettere di guardarla.
«Altrimenti?» la rimbeccò. La bocca morbida circondata
dall’ombra di una barba senz’altro ispida quando si fosse affacciata sulla
pelle catturò la sua attenzione. Aveva emesso un unico suono, una sola
parola ruvida che era stata in grado di farle vibrare.
Dovrò sculacciarti. Fu il primo pensiero di Dragomira.
«Dovrò chiamare il comandante» rispose solenne, rigida
come se avesse ingoiato un manico di scopa.
Il cowboy alzò un sopracciglio con la stessa espressione
divertita di chi sta ascoltando una storiella e si prepara alla risata finale.
«Per questa?» tenne l'oggetto incriminato tra pollice e
indice. Insolente oltre che maleducato.
«Sì, quella, spero vivamente per lei che non ne abbia
accese altre e che tenga quelle che le restano ben riposte.»
Il sorriso del cowboy si aprì rivelandosi irresistibile.
In quel momento Dragomira realizzò che sarebbe stato mille volte più facile
tenergli testa se avesse avuto una reazione risentita. Invece, complici quegli
occhi e quel sorriso, si sentì assai incerta sulla vittoria finale.
«Le accenderò, tesoro, puoi giurarci.»
Dragomira decise che avrebbe sorvolato sulla parola tesoro,
anche se appena uscita dalle quelle labbra si era rivestita di un significato
innocente come il peccato.
«Non credo proprio. Me la dia.»
L'uomo la fissò con quei due fari accesi come se Dragomira
avesse appena detto una sconcezza.
«Oh, non faccia quell'espressione da idiota, me la dia, e
tutto il pacco già che ci siamo.»
«Il pacco?»
Davvero lei aveva detto pacco anziché pacchetto?
Da non crederci.
«Sì, il pacco di sigarette... il pacchetto, volevo dire.»
Dragomira sentì il sangue affluire al viso mentre l'uomo
non accennava a fare nulla di quanto gli era stato richiesto. Con uno scatto
gli prese la sigaretta tra le labbra schiacciandola con forza con le dita su un
profilo metallico del sedile. Era stato un gesto istintivo, rabbioso.
Non perdeva mai la calma con i passeggeri, ma quell'uomo
era l'insolenza fatta persona.
«Posso portarle altro Lagavulin, se le va.»
Dragomira avrebbe voluto prendere quello Stetson e
sbatterglielo sulla faccia una due, tre volte, fino a quando non si fosse
afflosciato. Invece, era costretta a essere educata e a trattarlo con i guanti.
Il tutto mentre le guance andavano a fuoco.
«Sì, puoi andare, tesoro, e subito dopo mi accenderò
un'altra bionda. Ci sono sette ore di volo da qui a Singapore. Non penserai che
possa resistere senza tutto questo tempo.»
Dragomira avvertì un senso di disagio all'altezza dello
stomaco, come se si fosse all'improvviso contratto. Non poteva stare a secco
fino a Singapore. Non sapeva per quale motivo ma quella frase buttata là, la
scombussolava. Una strana scioglievolezza la stava riscaldando in mezzo alle
gambe. Non sapeva per quale motivo, ma tutto quel discorso non le sembrava
riferito alle sigarette. Era osceno, come colui che lo aveva pronunciato.
Quell'uomo aveva un modo di guardarla con quegli occhi di colore innaturale e
di parlarle in una maniera così ruvida da evocare le più brucianti carezze in
punti segreti.
Con la coda dell'occhio si accorse di un movimento. Un
ometto basso e tutto muscoli si alzò di scatto dal proprio posto un paio di
file dietro e avanzava dritto nella loro direzione. Mentre era indecisa se
lasciare il cowboy maleducato e prestare attenzione al pelato con espressione
ferina per impedirgli l'accesso alla cabina di comando, ecco spuntare
all'improvviso il comandante Mills. Ma cos'era? Un raduno! Non fu abbastanza
veloce. Dragomira avvertì tutto il peso della catastrofe imminente riversarsi
nello spazio angusto come una frana di rocce granitiche.
Il comandante Mills era prossimo alla pensione, un uomo
dal portamento elegante e austero e i capelli argentei gli conferivano un misto
di fascino e autorevolezza.
«Cosa sta succedendo, Mira? – poi si corresse - Qualche
problema signorina Hayes? »
Al pelato basso e corpulento non parve vero di poter
rispondere:
«Ecco, lo vede comandante, quest'uomo sta intimidendo la
hostess perché vuole continuare a fumare. È un'indecenza!» Un coro di
approvazione si levò alle spalle del culturista. Aveva due supporter, un tizio
con i capelli rossi e un ragazzo allampanato e brufoloso. Qualche altro curioso
allungò il collo per vedere meglio.
Il comandante Mills si rivolse al trasgressore mantenendo
lo sguardo fermo:
«Qual'è il suo nome, signore?»
Il cowboy si raddrizzò sul sedile e nel farlo si tolse lo
Stetson rivelando una chioma folta e castano dorata. Aveva due spalle ampie che
sconfinavano dai margini dello schienale e in piedi avrebbe di sicuro
sovrastato tutti.
«Mi chiamo Benedict Calthorpe, debbo passare anch'io
sette ore su questo stramaledetto aereo e giuro che non lo farò ciucciando
caramelle.»
Il silenzio denso di disapprovazione fu infranto dalla
voce stizzita del culturista.
«Oh, sì che lo farai... o dovrai vedertela col
sottoscritto.»
«Sì, coach Gary, cantagliele a questo babbeo» disse di
rincalzo il tizio con i capelli rossi.
L'insulto fece scattare in piedi il texano che con mossa
fluida e inaspettata svettò al di sopra delle altre teste. Un attimo prima era
sdraiato, quello dopo incombeva su coach Gary e tutti gli altri.
La voce ruvida con accento tipico della costa orientale
mormorò appena: «Vorrei dirti che mi dispiace, amico» e il destro partì a
razzo, veloce e sicuro. Un secondo prima coach Gary se ne stava con le gambe
ben piantate sul pavimento, l'attimo dopo rotolava per terra con le mani a
coppa sul naso.
«Brutto figlio di ...»
Mentre “pel di carota” e “brufolo bill” lo circondavano
chini sulla pancia arrotondata, un tipo distinto e incravattato si alzò.
«Comandante, non può permettere che quest'uomo metta a
repentaglio la vita di tutti noi...» disse con voce vibrante di sdegno.
Un coro di proteste iniziò a levarsi, dapprima timido poi
sempre più coraggioso.
I pochi passeggeri di prima classe iniziarono ad agitarsi
e qualcuno della economy fece capolino da dietro la tenda che li divideva.
Coach Gary ancora a terra aveva il viso inferocito, e non
solo per la botta. «Non accenderai un accidenti mentre saremo qui sopra.»
Per gettare benzina sul fuoco, Benedict Calthorpe tirò
fuori con tutta calma una Marlboro dal pacchetto nel taschino e se la accese
senza scomporsi. Incastrò la sigaretta tra i denti bianchissimi e perfetti e
diede la prima boccata con un'espressione che era un misto tra il godimento e
la sofferenza.
«Denuncerò la compagnia!» La voce stridula di coach Gary
si levò dal pavimento. Per qualche misteriosa ragione aveva deciso che fosse
meglio agitare i pugni pieno di risentimento ma farlo dall’altezza del
pavimento.
No, non andava bene affatto. Bisognava trovare una
soluzione. Dragomira guardò il comandante Mills: tre rughe solcavano
pericolosamente la sua fronte. Quel tipo basso muscoloso e i suoi fedelissimi
sembravano sul punto di dare inizio a una rissa in piena regola. Si doveva
assolutamente agire.
«Lo legheremo!»
La voce le era uscita stridula come un grido disperato.
Dragomira tossicchiò per riprendersi mentre diverse paia di occhi si voltavano
nella sua direzione. Prese un bel respiro pensando a cosa aggiungere. Stavano
tutti aspettando: il comandante con le sopracciglia arcuate fino
all'attaccatura dei capelli, coach Gary con la bocca socchiusa e i suoi
scagnozzi con la faccia inebetita. Davvero aveva proposto una soluzione simile?
Doveva essere impazzita.
«Visto che il signor Calthorpe non vuole ragionare, lo
legheremo fino a Singapore. In questo modo non potrà accendere sigarette né
prendere a pugni altri passeggeri minacciandone l’incolumità.»
Dragomira non ebbe il coraggio di incontrare gli occhi
blu intenso di Benedict Calthorpe, considerato che la sua sfacciataggine
rischiava di sfiorare pericolosamente il ridicolo. Ma la curiosità la rodeva e
non avrebbe potuto resistere ancora un secondo senza spiarlo. Anche solo un
istante.
Alla fine la tentazione ebbe la meglio sul pudore e fu un
errore. Benedict Calthorpe perforava la sua figura con uno sguardo strano, un
misto di strafottenza e sicurezza che le diede i brividi.
Gli occhietti malevoli di coach Gary guizzarono verso
quelli placidi del comandante.
«La signorina ha ragione, questo incivile va legato per
non nuocere...»
«Non sono mezzi ammissibili – il comandante Mills sospirò
guardando il cowboy - sono sicuro che il signor Calthorpe smetterà di
comportarsi in modo incivile. Vero, signor Calthorpe?».
In silenzio ecclesiastico tutti tacquero in attesa di una
replica.
Invece di rispondere direttamente al comandante, Benedict
Calthorpe si rivolse direttamente a Dragomira. Era proprio un esibizionista
borioso!
«Che io sia dannato se non finirò tutto il pacchetto.»
Il brusio scandalizzato di sottofondo riempì l'abitacolo.
Non sarebbero andati da nessuna parte di questo passo.
Il comandante sospirò.
Aveva del grottesco. Benedict Calthorpe era stato legato
come un salame al sedile riservato al personale di bordo, con una tendina blu a
separarlo dalla prima classe. Coach Gary e i suoi avevano collaborato attivamente
all'operazione, stringendo bene la corda con uno zelo al di sopra di quanto
fosse realmente necessario. Il texano non aveva opposto resistenza, quasi si
divertisse a prendere parte al gioco.
Ma si poteva essere tanto cocciuti da arrivare a farsi legare?
Dragomira aveva tirato la tenda con uno scatto secco ed
era tornata al suo posto, come se avesse dato una bella mandata a una chiave
immaginaria.
Aveva stretto le mani in grembo cercando di rilassarsi.
Cosa doveva fare per ingannare il tempo? Ah, sì, poteva dare una sbirciata
all'eReader, mancava ancora parecchio a Singapore, poteva leggersi un bel
capitolo e mangiucchiare un cioccolatino. Ma per la prima volta la prospettiva
le parve meno allettante di quanto immaginava. Gettò un'occhiata alla tenda,
con noncuranza, come se si sentisse completamente a proprio agio. Niente di più
falso, si sentiva seduta su un cuscino di spine.
Il pensiero del cowboy legato al sedile le dava il
tormento. Tutta quella potenza repressa, quella forza allo stato puro soggiogata
dalle sue mani. Non poteva dimenticare il brivido che aveva provato mentre
stringeva la corda attorno ai polsi. Lo aveva guardato negli occhi e lo aveva
sorpreso a spiarla a sua volta. Non la stava solo scrutando, lui la stava
letteralmente divorando!
Oh, al diavolo, nessuno le avrebbe dato un premio se
continuava a stropicciarsi le mani in quel modo. Dragomira si alzò con le gambe
tremanti. Solo quattro stupidi passi la separavano dalla tenda dietro cui si
nascondeva il più spettacoloso salame della storia dell’aviazione. E mentre
allungava le gambe Dragomira si sentì venire meno, non sapeva neanche cosa
avrebbe dovuto dire una volta tirata la tenda. Ma fu inutile porsi il problema
perché appena lo guardò le mancò il fiato.
«Mi domandavo quanto tempo avresti impiegato.»
Le parole arrivarono strascicate dalla penombra. Non
c'erano luci di cortesia accese e la sagoma grande e scura era visibile
abbastanza ma non del tutto. Aveva una
voce così roca e seducente che sembrava una carezza ruvida, fatta senza
riguardo. Ma stranamente le piaceva.
«Non dovrebbe essere così di buonumore signor Calthorpe.»
Doveva mantenere un distacco professionale. Doveva.
«Oh, di sicuro me la passo meglio quando sono impegnato a
trivellare in uno dei miei pozzi.»
Trivellare? Davvero aveva
usato quel verbo? Dragomira sentì la bocca prosciugarsi. Sarebbe stato tutto
molto più semplice se avesse detto “attingere o prosciugare„ o qualche altro
termine barboso e burocratico, ma trivellare... e poi detto con
quell'aria leggermente affaticata di chi ha lavorato sodo...
«Non credo che lei permetterebbe ai suoi operai di fumare
mentre trivellano.»
Lo sguardo gli divenne serio:
«Quando do un ordine, le assicuro che i miei mi
ascoltano. Tutti.»
Oh, non era difficile crederlo. Un uomo grande e grosso
come lui; ubbidirgli doveva essere qualcosa di irresistibile. Ma perché doveva
suscitarle un pensiero simile? Una scintilla di perversa ironia le si accese
come una miccia:
«E a chi è vorrebbe dare ordini in questo momento?»
La visione di quell'uomo legato e completamente alla sua
mercé la infiammò al centro dell’essere. Una vocina dentro di lei le diceva di
osare, di assecondare quella voglia strana che iniziava a turbare i pensieri.
Con un movimento millimetrico cominciò ad avvicinarsi
chinandosi. Era al collo che puntava.
Cosa sarebbe potuto succedere mai se avesse annusato la sua pelle? Si sarebbe
solo avvicinata, appena un po' per verificare se davvero sapeva di sole e di
uomo come immaginava.
A mano che la distanza tra loro diminuiva, Dragomira poté
apprezzare la pelle inasprita dal lavoro all'aperto quel collo grosso e ben
piantato su un paio di spalle larghe e
invitanti. Se non erano spalle a cui appendersi quelle e tenersi forte…
Non volle soffermarsi su quanto fosse sconveniente
continuare, perché se solo vi avesse riflettuto troppo, avrebbe finito per
fermarsi e invece non voleva farlo. Bramava quel corpo, almeno un contatto,
voleva sentire la pelle di quell'uomo sotto le dita con tutte le sue forze.
Era l'idea della potenza repressa, legata e sottomessa al
suo assoluto potere che le faceva girare la testa.
«In questo momento credo che gli ordini tu possa solo
prenderli» gli bisbigliò all'orecchio con voce suadente. Era così vicina che
poteva sentire il suo odore naturale espandersi come un effluvio primitivo e
intenso. Adorava quel genere di sensazione, il suo olfatto godeva della purezza
virile di quella pelle.
Spinta da un istinto sconosciuto, tirò fuori la lingua e
lo lambì. Fu una carezza appena salata e delicata. Ma l'assaggio le scatenò una
tempesta, le sembrò di cadere preda di un demone sconosciuto, e fu un rantolo
rauco di piacere quello che udì vicinissimo nell'orecchio.
Il borbottio sommesso che seguì fu la conferma di quanto
aveva sperato. Dragomira puntò lo sguardo verso il basso, abbastanza in basso
per accorgesi dell'effetto compiaciuto sortito dalla sua iniziativa. L'inguine
gonfio non lasciava dubbio alcuno: la voleva. Alzò lo sguardo fino a incontrare
il blu elettrico degli occhi magnetici.
«Mira...» fece scivolare un'altra volta il suo nome sulla
lingua arrotolandolo come se fosse una ciliegia succosa da gustare «sono sicuro
che sia il diminutivo di un nome molto più impegnativo.»
Come aveva fatto a scoprirlo?
«Dragomira.»
«Dragomira. Lo sapevo che avevi un nome da vera
mistress.»
Mistress? Non lo aveva mai visto sotto quell'aspetto, le
sembrava di avere un nome antico e nient'affatto attraente. Il solo fatto che
lui potesse considerarla una dominatrice la fece infiammare.
«Sono sicuro che ti andrebbe di farti una bella cavalcata
qui sopra.»
Dragomira abbassò lo sguardo seguendo il percorso degli
occhi di Benedict.
Il rigonfiamento era inequivocabile e rivelatore, era più
che pronto per farle fare un bel giro, anzi forse anche troppo viste le
dimensioni.
Lui parve leggerle nel pensiero «Mi hai reso inoffensivo,
tesoro, quindi puoi prenderne quanto vuoi...»
Quelle parole furono il detonatore in grado di dare fuoco
alle polveri. Dragomira mirò alle labbra, quelle splendide labbra turgide e
peccatrici che erano state in grado di pronunciare parole tanto spudorate. Ci
si gettò sopra senza delicatezza, senza domandarsi se fosse giusto o sbagliato.
Aveva superato il limite della ragionevolezza e si trovava ormai nel territorio
del puro istinto. Lo trovò pronto. Benedict si lasciò violare la bocca
dall'invasione della sua lingua smaniosa e la ricambiò con un fervore che lei
non aveva mai provato. Era deciso, umido, accogliente e decisamente...
scatenante. Quella parola le salì alle labbra spontaneamente. A fatica
Dragomira riuscì a staccarsi da quelle labbra, sentiva di avere le proprie
gonfie e infuocate. Lo sguardo torbido la inchiodò e poi le labbra di lui si
aprirono per impartirle un ordine, secco, deciso.
«Apri la camicetta.»
Dragomira socchiuse appena la bocca... eh no, era lei a
dover dettare gli ordini. Con un leggero movimento del bacino si sporse in
avanti con il risultato di comprimergli il cavallo dei pantaloni.
Contemporaneamente gli prese il lobo tra i denti tirandolo leggermente. Lo
sentì ansimare e poi sibilò:
«Ah... non puoi darmi ordini, se non lo ricordi comando
io.»
«Ti prego...» lo sentì bisbigliare soffocato.
Ma era anche suo desiderio che lui la vedesse e Dragomira
non poté fare altro che obbedire. Le sue dita non poterono che vagare alla
cieca lungo il bordo della camicetta alla ricerca dei dischetti di madreperla
da liberare dalle asole.
Con la bocca prosciugata mise a nudo un reggiseno
traboccante. Pizzo color crema su cui Benedict passò la lingua e non ci vollero
altri ordini. Dragomira liberò i seni e si avvicinò di nuovo. L'uomo fece uno
scatto in avanti sorprendendola e risucchiandole un capezzolo nella bocca. Per
la sorpresa un ansito le sfuggì dalle labbra e poi un altro ancora. Con uno
scatto di reni Dragomira sentì sgroppare e poi quel risucchio ancora famelico
che la attraversava come una corrente. Era stupendo farsi trasportare da quelle
sensazioni ma ancora più intrigante era condurre il gioco. Dragomira vagò con
la mani sulla sua pancia e poi scese più giù ad appropriarsi di quanto lui le
stava offrendo. Era l'avventura più eccitante che avesse mai avuto, una marea
di sensazioni la trascinò verso un piacere che non provava da troppo tempo.
Vide la grossa mano di Bendict
accartocciare il pacchetto di Marlboro nel pugno e Dragomira si lasciò sfuggire un sorriso
compiaciuto.
Qualcuno fece scorrere meglio la
tenda chiudendo completamente anche il più piccolo spiraglio. Si sentì
distintamente la voce di coach Gary:
«Abbiamo sentito degli strani rumori
provenire da lì dietro, forse bisognerebbe dare una controllata a cosa sta
succedendo.» Seguita da quella del comandante Mills:
«Il signor Calthorpe sta riposando, o
almeno cerca di farlo visto che è legato come un salame. Ci sono ancora alcune
ore per Singapore, approfittatene per riposare, signori.»
Dragomira, pensò che avrebbe
impiegato sicuramente al meglio le ore che la separavano da Singapore e che
probabilmente, per una volta La duchessa e il libertino avrebbero
aspettato il loro turno.
L'autrice:
Mi chiamo Margaret Gaiottina,
trentotto anni compiuti da poco, vivo a Roma, la mia meravigliosa splendida
città. Ho avuto una lunga parentesi siciliana durata ben nove anni, ed è per
questo che quelle splendide terre mi sono rimaste parecchio nel cuore. Faccio i
salti mortali e le migliori acrobazie tra un marito due figli e i miei adorati
libri, da scrivere e da leggere. Senza la lettura non sarei più io, è qualcosa
che mi completa e mi stimola. I miei romanzi, invece, sono la mia evasione, il
contraltare della realtà, fatti di eroi belli e impossibili, di situazioni da
sogno.
Visita il sito dell'autrice:
http://margaretgaiottina.blogspot.it/p/romanzi_2.html
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Potete trovare qui i racconti di "Amore fra le righe 2013"
Racconto carinissimo, ironico e piccante al punto giusto.
RispondiEliminaScritto tra l'altro benissimo. Margaret Gaiottina mi ha sopreso e affascinato, con questo racconto inizia la mia caccia ai suoi romanzi!
Bravissima ^_^
Ahahah... Guarderò con occhio nuovo le hostess, di solito così "inamidate", immaginando una scena come quella magistralmente raccontata da Margaret Gaiottina!
RispondiEliminaCiao ragazze! Grazie per le vostre parole e chiedo scusa per un paio di refusi che mi sono sfuggiti!
RispondiEliminahahahahahha, una rivincita per tutte quelle povere hostess che in certi casi le vedi proprio trattenersi da non commettere un omicidio!!
RispondiEliminaVeramente carino!! Complimenti!! :D :D
ma complimenti alla hostess, che da maestrine perfettina si rivela una bella dominatrice. io allo tipo avrei menato un ceffone bello sonoro ma cono contenta che lei si sia "goduta" il volo ;)
RispondiEliminacara Margaret complimenti per l'originalità
@mery grazie cara, la rivincita delle hostess!
RispondiElimina@adriana, oddio sai che sarebbe stata una bella idea quella del pizzone! Eheh ragazzaccia la prossima volta ti chiedero' un consiglio! :-)
Grandissima Margaret!!!! Spassosa e sensuale parentesi in volo :))))) scrittura ottima e scorrevole! Bravissima! Alice
RispondiEliminaCiao Margaret! mi permetto di darti del "tu" perchè siamo amiche anche su Fb, dove ho potuto seguire la tua scalata nel mondo della scrittura.
RispondiEliminail tuo racconto, come da aspettativa, è superlativo!
bella l'atmosfera creata, belli i personaggi, belle le sensazioni che hai saputo trasmettere. ma dimmi una cosa: lui resterà legato fino all'atterraggio o prima opoi lei lo slegherà? giusto x capire cosa potrebbe succedere se mai i ruoli dovessero invertirsi! ;) un bacio a te, grande Margaret! <3
Ciao Margaret! Il tuo racconto mi è proprio piaciuto, sai? Bella l'idea, scritto bene, un interessante mix di umorismo ed erotismo... E un bel riscatto per le hostess che si fanno due scatole così ad assecondare ogni tipo di passeggero! Brava!
RispondiEliminaCiao ragazze! @ Alice lo sai che i tuoi commenti mi sono graditissimi anche perché so che mi dici sempre la verità:-)
RispondiElimina@frency ma certo che dobbiamo darci del tu :-) eheheh secondo me resterà legato fino a Singapore e poi, in albergo, si prende!
@Edy, il commento di un'altra autrice mi fa fare la ruota come un pavone!:-)
Grazie ragazze, a tutte voi, di aver letto e commentato!
Bello! Ora in aereo fantasticherò sulla doppia vita delle hostess! :)
RispondiEliminaFrancy ♥♥♥
RispondiEliminaAhahahahahah Bello bello bello!!
RispondiEliminaCome Baby, credo che anch'io guarderò con occhio nuove la professione delle hostess! Ahahahahah
Bravissima ^^
Troppo carino questo racconto e scritto benissimo.
RispondiElimina"Mi dia il pacco" è stato bellissimo! :D
Molto divertente e audace e con quel pizzico di erotismo che non guasta mai.
Sarebbe bello leggere di loro una volta arrivati a Singapore ;)
Ancora complimenti!
Grazie Paola e Karin! Devo dire che la faccenda del "pacco" è un pizzico audace :-)
RispondiEliminaQuoto Karin! Battuta davvero azzeccata...
RispondiEliminaUn racconto davvero bello giocato sul filo del rasoio...
Bravissima!
complimenti e stupendo
RispondiEliminae la penso allo stesso modo di Karin Locci che sarebbe bello leggere di loro una volta arrivati a Singapore
Ancora complimenti
A distanza di un anno il mio raccontino colpisce ancora! Grazie Ani Anica B, sei stata una bellissima sorpresa!
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