"AMORE FRA LE RIGHE", rassegna letteraria che ha coinvolto le piĆ¹ grandi firme del romance italiano, ospita un nuovo racconto!
Vaticano, anno domini 1587. Una bellissima donna vi trascinerĆ in una storia d'amore e magia.
Ecco per voi "Deanira" di Simona Liubicich!
PROLOGO
Vaticano,
anno domini 1587
«SarĆ compito vostro trovare la donna e
portarla al mio cospetto. Molte sono le storie che si narrano sul suo conto e
con quello che tra poco si scatenerĆ in tutto il territorio e oltre, temo per
la sua incolumitĆ . L’unico modo di trarla in salvo ĆØ farla fuggire dal suo
paese. Qui sarĆ al sicuro e avremo modo di verificare personalmente quei “doni”
di cui tanto ho sentito narrare. Pensate di poterlo fare, amico mio?»
«Non ho sempre soddisfatto appieno ogni
vostra richiesta?» rispose l’uomo guardandolo dritto in viso.
«Proprio per questo ho domandato nuovamente di
voi. Questo ĆØ un incarico delicato e solamente
voi avrete la forza necessaria per sottrarla al grave pericolo che incombe su di lei, mettendola a conoscenza
dell’esistenza del sottile velo che divide il nostro mondo con ciĆ² che a molti altri
non ĆØ dato sapere. Deanira non ĆØ un essere umano qualunque ma una creatura
particolare, una fenice prigioniera in un covo di lupi. L’Ordine continua a occuparsi di quella parte di creato parallelo che
vive ai nostri confini terreni ed ĆØ grazie a voi che riusciamo ancora a
combattere il male che dilaga come una serpe venefica.»
«Consideratelo giĆ fatto. PorterĆ² qui la
ragazza al piĆ¹ presto.»
Il cavaliere s’inchinĆ² con deferenza all’alto
prelato vestito di porpora e, girando sui tacchi degli stivali, lasciĆ² l’enorme
sala del Vaticano, i passi che rimbombavano sordi sul marmo…
CAPITOLO I
Triora,
agosto 1587
Il sole stava tramontando dietro l’orizzonte
e un'altra giornata estiva volgeva alla fine. La palla infuocata sembrava
sprofondare nella distesa del mare
tingendo il cielo di rosso, le prime stelle che si affacciavano timidamente
alla notte. Attraverso gli oliveti e i filari di vigne, la vista era
impagabile: il paese era arroccato in cima a un’irta collina, tutt’intorno boschi
di castagni a creare una cortina pressochƩ impenetrabile ai foresti. Sembrava un
nido d’aquile e non si riusciva a comprendere appieno come l’uomo potesse
essere giunto sin lassĆ¹ e aver addirittura pensato di edificare un borgo di
pietra, passaggi e ponti su baratri, con muraglie di cinta che lo circondavano quasi
totalmente a difesa degli attacchi nemici. Certo, doveva esser stata una gran
fatica ma adesso, da lassĆ¹, chi vi abitava poteva esserne soddisfatto.
Il tramonto trasmetteva un senso di
solitudine profonda, talmente intenso da sembrare un triste inno alla vita che
si spegneva al crepuscolo. La luce morente abbracciava la vallata sotto la
rocca di Triora e una giovane donna, seduta sullo sperone di roccia che
sporgeva sull’orrido del Diavolo, i piedi scalzi ciondolanti nel vuoto,
osservava l’ameno panorama. La caligine dello scirocco increspava le onde del
mare in una densa schiuma e le scompigliava i capelli color rame, che scendevano
in onde morbide sin oltre la vita. Lo sguardo era perso all’orizzonte, un sorriso
enigmatico a fior di labbra, i lineamenti delicati. Seguiva il volo dei
gabbiani che si libravano alti nel cielo. Ne
invidio l’assoluta libertĆ mentr’essi gridano inseguendosi l’un l’altro, pensĆ². Deanira adorava quel posto appartato e
immerso nella solitudine: ci si recava ogni giorno sin da quando era poco piĆ¹
di una bambina. La rocca a strapiombo sul burrone si affacciava a ridosso dei
campi di frumento, strappati all’acredine della terra da mani e schiene
spezzate. Tra profumi di ginestre e pitosfori, solo lo stridere incessante delle
cicale, che si chetava all’imbrunire.
La logora veste di cotone, di un colore ormai
tendente piĆ¹ al marrone che al rosso, le arrivava sopra le caviglie: lisa e
rammendata in piĆ¹ punti, si tendeva sul busto schiacciandole il seno ormai alto
e abbondante. Era stata di sua madre ma Deanira l’aveva superata da mo’ in
altezza oltre che sepolta, povera donna. La sua anima si era ricongiunta al
Signore sei mesi addietro in seguito a una febbre polmonare che l’aveva
strappata via alla vita a soli trentadue anni. Lucia Cavalleri si era spenta in
un grigio pomeriggio di gennaio, intanto che la neve scendeva silenziosa come
la sua dignitosa sofferenza, ammantando tutto in una gelida quiete. La donna aveva
categoricamente rifiutato le cure di Deanira poichƩ desiderava morire in pace
con Dio. Non aveva voluto che le mani “fatate” della figlia e il loro potere potessero
divenire motivo di accusa nei confronti della giovane. Lucia aveva amato quella
creatura sin da quando l’aveva stretta tra le braccia per la prima volta,
trovandola nei pressi della Fonte Boschiva, nel mezzo della foresta, una
mattina che si apprestava a raccogliere artemisia e bardana per i suoi infusi. Deanira
non era sua figlia legittima e molte volte la donna le aveva raccontato quella strana
e complicata storia che le legava in maniera cosƬ affettuosa.
In un
lontano giorno di diciassette anni prima, una lettera scritta in bella grafia su
una pergamena preziosa, accompagnava il fagotto avvolto in una coperta ricamata
finemente, dentro un cesto di vimini. Lucia, che non sapeva ne leggere nƩ
scrivere, aveva raccolto l’infante insieme alla lettera e l’aveva portati a
padre Gregorio, su alla canonica del paese. Aveva confidato in lui perchƩ era
un uomo di chiesa, colto e dall’animo gentile. Ma non appena egli aveva letto
le poche righe che accompagnavano la bambina, si era mestamente segnato con la
croce.
«Che
accade padre?» aveva domandato Lucia.
Il sacerdote,
divenuto improvvisamente pallido, era arretrato di qualche passo guardando la
neonata con palese timore. «Unica figlia di nobile discendenza ma segnata dal
marchio del diavolo.»
«Il
marchio del…diavolo? Ma ĆØ solo una povera creatura abbandonata! Come si puĆ²
accusarla di cotanto peccato?»
«Taci
donna! Tu, preda della tua stessa ignoranza, non conosci le infinite forme in
cui puĆ² manifestarsi il maligno! Guarda la sua gamba, osserva il marchio!»
La
giovane contadina non aveva fatto caso a quella cosa alquanto singolare: su una
caviglia spiccava un marchio color porpora, vistoso, dalla forma di una croce
rovesciata. Lucia si era segnata, portandosi una mano alla bocca, in preda al
panico. Padre Gregorio aveva preso l’acqua santa e asperso la piccina, la quale
era scoppiata immediatamente in un pianto disperato.
«Vedi?
L’acqua benedetta di nostro Signore la disturba. Lei incarna il maleficio di
una
fornicazione demoniaca!» Il prete aveva iniziato a straparlare, intavolando
una litania in lingua latina volta alla povera creatura, della quale la
contadina non aveva capito nemmeno una parola. Lucia aveva rivestito e preso in
braccio la bimba, seppur con un poco di timore, ma lei si era subito quietata
tra le sue braccia, sprofondando nel sonno. Secondo me questa povera piccola ha
solo una gran fame..., aveva pensato mentre la cullava e si perdeva in quel viso
angelico dagli occhi smeraldini. Padre Gregorio le aveva intimato di
sbarazzarsi al piĆ¹ presto di lei se ci teneva a conservare pura la sua anima e
Lucia, abbandonata la chiesa, era sprofondata nella prostrazione. Che fare di
quella creaturina? Si era recata cosƬ dalla vecchia Argene, la piĆ¹ anziana del
villaggio. Desiderava un buon consiglio, cosƬ le aveva raccontato la strana
storia e la reazione del prete.
«Affogala
come i gatti!» le aveva risposto la megera, sghignazzando e mettendo in mostra
una fila di denti marci e anneriti.
Con un
singulto, Lucia era fuggita insieme alla neonata verso l’unico posto che in
quel momento le sembrava sicuro: la sua casa, quella catapecchia di Cabotina
fuori le mura del paese. Le aveva dato del latte di vacca diluito con acqua,
servendosi di una sacca artigianale fatta con le interiora di un agnello, che
la bambina aveva succhiato avida sino a saziarsi e riaddormentandosi beatamente
poco dopo, adagiata nella cesta vicino al focolare.
E tu
saresti una figlia del diavolo?, aveva sorriso Lucia, tornando alle sue
faccende. Dopo una notte trascorsa insonne, la giovane lattaia aveva preso una
decisione. Era sola al mondo, un’orfana senza alcun parente e non possedeva
neppure un aspetto leggiadro. Una donna povera e brutta che viveva di stenti,
destinata a rimanere sola sino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe tenuto con sƩ
la piccola, e in qualche modo, con o senza l'aiuto di Dio, ce l’avrebbero
fatta…
Deanira si destĆ² dai suoi pensieri al suono
di un’improvvisa voce stridula alle spalle. Un gruppo di giovinastri si trovava
a poca distanza da lei e la osservava con disprezzo. Solo uno di loro, il piĆ¹ grosso
e che lei riconobbe come Gaetano, la guardava con lascivia, mettendole addosso
un fastidioso senso di nausea. Il prepotente figlio del PotestĆ di Triora,
grasso e sporco come un montone, fece un paio di passi verso di lei, un sorriso
malevolo sul viso pieno di pustole.
«Che fai, strega, ti vuoi gettare di sotto?» domandĆ².
«Non morirebbe, le streghe volano, si sa» incalzĆ²
l’amico smilzo da dietro la sua spalla, guardingo.
«Andatevene» mormorĆ² Deanira.
«PerchĆ©, sennĆ² cosa ci farai? Ci lancerai un
sortilegio, strega?»
«Puttana del diavolo!» gridĆ² un altro,
lanciandole all’improvviso contro una pietra che aveva raccolto da terra. Deanira
si voltĆ² di scatto e prima che il sasso la raggiungesse, con un secco gesto
della mano lo deviĆ², facendolo esplodere in mille frammenti prima di
precipitare a terra. I suoi occhi verdi ora fiammeggiavamo d’ira: come osavano
quei mocciosi puzzolenti di piscio apostrofarla con simili epiteti?
«Avete visto cosa ha fatto? Avete visto?» gridĆ²
Gaetano, indicandola col dito indice mentre lei si alzava in piedi di colpo e
muoveva un passo verso di loro, minacciosa. Non arrivĆ² al secondo perchĆ© i tre
fuggirono a gambe levate come conigli piscioni, scomparendo tra le ginestre in
un brusio esagitato.
«Non ritornate mai piĆ¹ qui o ve la vedrete
con me!» gridĆ² loro appresso intanto che sparivano nella boscaglia, pur sapendo
di aver commesso un’imprudenza. La madre le aveva sempre raccomandato di non
abusare di quei doni che possedeva, sin dalla piĆ¹ tenera etĆ …Era vero, lei era
una creatura speciale. Aveva all’incirca sei anni quando aveva iniziato a
manifestare strane doti che andavano al di lĆ della conoscenza del medio
intelletto del periodo e considerando che si trovavano in un paese popolato per
lo piĆ¹ da contadini e rozzi bifolchi, le conclusioni erano state sin troppo
affrettate. La figlia di Lucia la lattaia era una strega, una creatura
maledetta da Dio. Era da tenere alla larga e della quale avere grande timore. Lei
aveva il potere di spostare gli oggetti con la forza della mente e con una
semplicitĆ sorprendente. Se poi il suo livello di ansia o ira aumentavano
all’improvviso, l’energia esplodeva impazzita rischiando di diventare davvero pericolosa.
In ogni caso, non era il solo dono che portasse dentro sƩ poichƩ qualcosa di
molto piĆ¹ grande e profondo avvolgeva il suo essere, la sua essenza. Le sue
mani sprigionavano un benefico calore che aveva il potere di guarire quasi ogni
malanno o ferita. Nonostante la diffidenza di molti villici che guardavano a
lei con spregio e si segnavano al suo passaggio, altrettanti erano quelli che
si recavano a farle visita, specialmente dopo il crepuscolo, quando le ombre
della notte si allungavano ad avvolgere le case e il paese si immergeva
nell’oscuritĆ . Allora Deanira li accoglieva nella sua modesta dimora, offrendo
loro una tisana corroborante e imponendo le mani sulle loro ferite e gotte, calli
e dolori, guarendoli in pochi istanti. Non aveva mai chiesto denaro in cambio dei
suoi favori, ma gli abitanti di Triora che le erano fedeli, la ripagavano con
carne secca, quando ve ne era disponibilitĆ , verdure fresche e uova. CosƬ, lei
e sua madre avevano campato sino a pochi mesi addietro, almeno fin quando una
grave carestia aveva colpito la zona distruggendo tutti i raccolti, gettando la
popolazione nella disperazione e nella fame piĆ¹ nera. Era l’estate del 1587: la
sventura non aveva risparmiato questo piccolo angolo di terra e la caccia ai presunti
responsabili stava per scatenarsi.
CAPITOLO II
Sul finire dell’estate dell’anno 1587, la popolazione di
Triora si trovĆ² sull’orlo del tracollo poichĆ©
il raccolto, di solito prospero e abbondante, da ormai due anni era stranamente
diminuito sino a quasi scomparire, preda di attacchi di locuste e terra improvvisamente
fattasi arida, poco feconda. La carestia aveva causato fame, infiammando gli
animi dei contadini che non trovando sostentamento alcuno, avevano iniziato a
cercare la causa di tutto questo scempio, anche se poteva sembrar assurda, per
altre strade.
Quel maledetto pomeriggio dei primi di settembre, il Consiglio
di Triora si riunƬ nella piazza principale del paese e proprio in
quell’occasione divamparono lo scontento e l’ira recondita. Un paio di grasse
comari, mogli di personaggi di “spicco” della piccola comunitĆ , come il PotestĆ ,
osarono fare il nome di alcune donne della Cabotina, il quartiere povero fuori
le mura, adducendo a strane riunioni notturne nei boschi e a presunti
comportamenti non rispondenti alla volontĆ di Dio. La plebaglia iniziĆ² a
mormorare sommessamente sinchĆ© i bisbigli divenirono urla e la parola che si iniziĆ²
a ripetere alla nausea fu “strega”. A
nulla valsero i tentativi dei pochi che ragionavano usando un poco d’intelletto
per cercare dissuadere la folla inferocita; la colpa della carestia era da
attribuire alle bagiue, quelle donne
che ballavano la notte completamente nude attorno ai falĆ² nel bosco, rapivano
bambini per mangiarseli vivi, usare il loro grasso per volare e fornicavano con
Satana.
Deanira era appostata seminascosta in un vicolo angusto e
puzzolente che si affacciava sulla piazza e ascoltava orripilata gli insulti,
gli improperi e le accuse che venivano lanciati a persone che conosceva
benissimo, lei compresa, che peggio delle altre era stata apostrofata con
epiteti irripetibili. Le mani artigliavano il muro e lo sguardo si soffermava
incredulo sugli accusatori.
«Ć colpa di Deanira Cavalleri!» gridĆ² Eufemia Torti, la
moglie del PotestĆ . «Quella donnaccia, l’ho vista sapete? Era nuda nel bosco e
vaneggiava a voce alta, parlava con qualcuno ch’io non vidi affatto! Uno
spirito errante o peggio, un demone. Codesto doveva essere poichƩ era invisibile
ai miei occhi! Sapete bene che non mento mai e ciĆ² che dico anche questa volta corrisponde
a veritĆ ! Quella povera demente di Lucia la lattaia la trovĆ² nel bosco, partorita
da qualche strega per arrecare danno alla nostra comunitĆ . Tutti sono a
conoscenza dei suoi poteri e dei malefici che compie. Mio figlio Gaetano mi ha riferito
di certi fatti che in cuor mio non posso ripetere dinnanzi a voi per timore di
Dio, ma che farebbero rizzare i capelli in testa a chiunque! La sua bellezza ĆØ
opera del demonio e tutti voi uomini, poveri stolti, ne siete soggiogati! Oh,
vedo bene con qual cupidigia la ammirate quando passa per il paese: lei vi
ammalierĆ e vi condurrĆ alla follia!» Era paonazza in volto, la pappagorgia
tremolante. In molti annuivano con la testa.
Questo
ĆØ davvero troppo!, pensĆ² Deanira, uscendo dal vicolo a passo di
soldato mentre sguardi esterrefatti la guardavano e la folla si apriva al suo incedere,
intimorita. Deanira era bella, anzi, asserire bella era fin troppo poco per descrivere
il suo aspetto. Flessuosa e morbida, possedeva occhi color smeraldo e capelli ramati,
lunghi e corposi, che tanto facevano parlare di lei. Il corpo, avvolto nella consunta
veste da contadina, si muoveva con eleganza innata, come se quel mondo non le
appartenesse affatto, come se non ne avesse mai fatto parte. Il mento sollevato
e la pelle di porcellana appena spruzzata di efelidi, si diresse a pugni chiusi
lungo i fianchi in direzione del palco dove si trovavano il PotestĆ e pochi
accoliti, tutti uomini. Non li temeva, e peggio ancora, mal sopportava le
calunnie. Giunta sotto l’impalcatura, li guardĆ² con aria sprezzante intanto che
il prete si faceva nuovamente il segno della croce alla sua presenza. Deanira
lo guardĆ² e scosse lentamente il capo in segno di disapprovazione, senza
staccargli gli occhi di dosso.
«Come potete calunniare delle povere donne senza disporre
di alcune prove? Streghe? E chi sarebbero codeste streghe? Donne che vivono di
stenti e si procurano qualche cosa da mangiare preparando impiastri e decotti
contro i malanni, beveraggi dei quali tutti voi»
disse indicando la folla col dito, «usufruite! Siete dei maldicenti! La gente di
Cabotina ĆØ innocua, viviamo in pace e non abbiamo mai arrecato disturbo a
nessuno. La carestia che ci ha colpito ĆØ solo frutto di un susseguirsi di
eventi disgraziati: la siccitĆ e gli insetti hanno arrecato grave danno ai
nostri raccolti ma non certo delle donne innocenti!»
La calca di gente che presenziava nella piazza rimase in
silenzio. Nessuno osava guardare dritto negli occhi la bellissima giovane che,
lo sguardo infuriato, sentiva dirompere dentro sƩ la violenza dei suoi poteri,
cercando di controllarsi mentre le mani iniziavano a tremare e un calore vibrante
come il fuoco la pervadeva.
«Donnaccia! Strega!» eruppe velenosa la moglie del
PotestĆ . «Mio figlio giura che cerchi sempre di adescarlo, come fai d’altronde con
tutti gli uomini del paese. Ma non metterai i tuoi luridi artigli sul mio
ragazzo, non lo insozzerai toccandolo. E voi, pusillanimi, non avete nemmeno il
coraggio di parlare?» abbaiĆ² verso il palco dove il marito la guardava, un
misto di timore e riverenza sul volto ossuto.
«Ć una menzogna, donna Eufemia, e voi piĆ¹ di tutti lo
sapete bene! Vostro figlio non perde occasione per offendermi e piĆ¹ volte ha
tentato di allungare le sue mani su di me insieme ai suoi compari di
scorribande. Non sono la sola ad aver subito le molestie di vostro figlio. Tutto
il paese conosce la sua vena violenta e la prepotenza con la quale s’impone
sulla gente inerme.»
«Certamente perchĆ© tu lo hai provocato, in fondo ĆØ un
uomo» rispose la matrona, guardandosi attorno per cercare consensi tra i volti
dei paesani. «Il mio Gaetano ĆØ un ragazzo d’onore, sei tu che lo vuoi nel tuo
letto per qualche sordido maneggio e visto che non ti dĆ adito, allora lo
calunni, diffamandolo con storie che non esistono. Io pretendo giustizia su
questa donna!»
Deanira conosceva, al contrario, molto bene la
reputazione di Gaetano Torti. Era uno schifoso che profittava della posizione
del padre per spadroneggiare nella zona. Aveva notato piĆ¹ volte gli sguardi
lascivi che lui le rivolgeva quando attraversava gli acciottolati del paese.
Insieme ai suoi amici aveva tentato anche un paio di volte di sbarrarle la
strada per importunarla ma un solo suo sguardo era bastato a tenerli tutti
indietro. La temevano, sapevano dei suoi poteri e la sera prima gliene aveva
dato un’ottima dimostrazione. Avrebbe potuto spezzare un braccio o molto peggio
a quell’arrogante ammasso di lardo, usando la sola forza del pensiero, ma in
quel momento aveva ben altro a cui dedicarsi. Deanira era a conoscenza di diverse
violenze commesse dal giovane a danno delle fanciulle della Cabotina. La povera
Caterina Marcenaro era una di quelle. Era stata stuprata da quel maledetto e
nessuno aveva alzato un dito per aiutarla perchƩ lei era solo una randagia,
un’orfana senza un tetto dove stare, quindi senza diritto. Ma era bella, molto
bella, cosƬ quel porco le aveva messo gli occhi addosso sin che non era
riuscito nel suo intento nefando. Caterina aveva solo quindici anni ed era
rimasta scioccata dall’accaduto, chiudendosi in un muto silenzio. Come
inebetita, camminava alla deriva attorno la zona di Triora parlando da sola e
cantilenando, tanto da guadagnarsi ben presto il titolo di “scema del villaggio”. Quando Deanira e altre donne si erano recate
per chiedere giustizia al PotestĆ , avevano ricevuto in cambio una risata di
scherno.
«Chi vorrebbe mai
quella povera idiota? Certo non mio figlio. Ora andatevene, prima che decida di
punirvi per le vostre infamie» aveva loro risposto Torti, tirandosi indietro
dalle proprie responsabilitĆ pur di difendere quel depravato del suo erede.
Da quel giorno, Caterina era controllata a vista e non veniva mai lasciata
sola; le ferite che portava nella mente, oltre che nel corpo, non potevano essere
curate nemmeno da Deanira. ChissĆ se si
sarebbe mai ripresa, si chiese la giovane, prima di ritornare con la mente a
quella gente che la circondava.
«Non starĆ² qui ad
ascoltare le vostre accuse prive di fondamento. Noi abitanti di Cabotina siamo
poveri e forse indegni di rivolgere la parola a molti di voi, ma una cosa ĆØ
certa: non siamo responsabili degli accadimenti di questa gravosa estate. Vi
prego di cercare altrove i colpevoli, se mai ce ne fossero, oltre alla natura» sentenziĆ²
Deanira, voltandosi subito dopo e allontanandosi sulla stradina che portava al
varco murario, mentre un brusio concitato si sollevava dietro le sue spalle.
Scese lungo il crinale, attraversando il ponte in pietra
sopra il ruscello e arrestandosi poco dopo nei pressi del bivio che conduceva
al villaggio. Esso era incrociato dalla strada che conduceva al bosco. Deanira aveva
bisogno di riordinare le idee, calmarsi e raccogliere qualche erba medicinale, poichƩ
le scorte a casa andavano esaurendosi. Era ancora chiaro seppur fosse quasi ora
di cena, cosƬ si diresse senza esitazioni verso la foresta a passo lesto. Voleva
rientrare prima che facesse buio e rinchiudersi nella pace della sua casa. Bagiua…Ma come era venuto in mente a
quei villani di attribuire la colpa di una carestia a quattro povere disperate?
Non sapevano davvero dove attaccarsi, stolti… Lei, Caterina, Marta e Rachele
erano giovani donne che desideravano solamente vivere in pace. Probabilmente
non si sarebbero mai sposate e sarebbero invecchiate assieme. Era anche vero
che qualche volta si erano recate nel bosco e avevano ballato attorno alla Fonte
Boschiva, ma era solo un gioco privo di secondi fini, tantomeno equivoco. E
quando quella pettegola maldicente di Eufemia Torti l’aveva scorta nuda nel
bosco era solo perchƩ stava entrando nel ruscello per lavarsi, a differenza sua
e dei familiari che non conoscevano l’uso dell’acqua e del sapone. Se mai ci
fossero state delle bagiue, erano da
ricercare all’interno del paese tra le rappresentanti piĆ¹ in vista delle
famiglie di Triora, non certo a Cabotina…
Deanira fu distratta all’improvviso da un’ombra che comparve
sul sentiero boschivo. Lo
sguardo della giovane mise a fuoco una sagoma enorme,
nera come la notte che si stagliava di fronte a lei, un cavaliere possente ma che
non riuscƬ a inquadrare chiaramente perchĆ© arretrĆ² di colpo atterrita,
lanciando in avanti le mani e scaricando un campo di energia che scaraventĆ² l’uomo
lontano da lei. Deanira rimase per un attimo attonita di fronte alla scena, talmente
priva di forze che si accasciĆ² sulle ginocchia, incapaci di sorreggerla come
tutte le volte che esauriva di colpo tutta la sua forza. Pochi attimi dopo, si
rese conto di ciĆ² che aveva appena fatto, vedendo che il cavaliere non dava
segno di vita. Mio Dio Onnipotente, l’ho
ucciso…pensĆ² terrorizzata e con la voglia di fuggire a gambe levate. Ma come
sempre, la ragione prevalse sul suo istinto e lei si avvicinĆ² cauta al corpo
esanime a terra. Si sentiva attanagliare dal terrore ma doveva vedere con i
suoi occhi quell’uomo che non le aveva fatto nulla e che lei aveva abbattuto
con la sola forza della mente. Era disteso sulla schiena ed era…bellissimo…pensĆ². Non aveva mai visto un
uomo cosƬ bello in vita sua. Pareva un dio, indossava abiti ricercati e aveva
gambe lunghe, muscolose sotto le brache. Lunghi capelli lisci color ebano erano
sparsi attorno al suo volto e per un attimo Deanira fu tentata di sfiorarlo,
prima di accorgersi della vistosa ferita che aveva alla gamba. Doveva essersi
tagliato con il ramo di un albero quando era precipitato a terra. Santa Maria, era tutta colpa sua e ora
doveva rimediare…PoggiĆ² entrambe le mani sulla ferita e chiuse gli occhi,
lasciando che la poca energia rimastale penetrasse dentro lui.
«Non funzionerĆ con me.»
Le parole, pronunciate con un ringhio sordo, la fecero
sussultare e balzare all’indietro, tanto che cadde con un tonfo sul terreno
umido. L’uomo aveva gli occhi aperti e la stava guardando da sotto le lunghe
ciglia scure. CiĆ² che la colpƬ fu il colore delle sue iridi: non aveva mai
visto una sfumatura cosƬ in natura, perlomeno non tra gli umani. Erano
sorprendentemente…gialli, quelli di un predatore notturno, di un animale. E la
sua lingua non era del posto anche se la parlava perfettamente. Era francese.
«Che cosa avete detto, messere?» domandĆ² Deanira,
cercando di drizzarsi sulle gambe e massaggiandosi il fondoschiena dolorante.
«Che i vostri poteri non avranno alcun effetto su di me,
ho bisogno di un medicamento vero» mormorĆ²,
prima di svenire di nuovo…
CAPITOLO III
La luce soffusa della candela rischiarava la piccola
stanza spoglia. Un comodino e un crocifisso appeso al muro erano le uniche
suppellettili presenti. Quando aprƬ gli occhi e mise a fuoco l’ambiente, l’uomo
vide di fronte a sĆ© la donna piĆ¹ affascinante che gli fosse capitato di
incontrare in tutta la vita. Era china sulla sua gamba: aveva tagliato le
brache con un coltello e stava applicando una medicazione sul taglio profondo
della coscia sinistra. La ferita era stata detersa con pezze di cotone che ora
giacevano in un mucchio sanguinolento ai piedi del letto. Al riverbero del cero,
la fanciulla possedeva una cascata di ricci corposi color rame e occhi verde
oltremare, grandi e profondi, laghi in cui un uomo avrebbe desiderato perdersi,
rischiando di lasciarvi completamente il senno.
«Come mi avete portato qui?» mormorĆ², intanto che Deanira
sobbalzava nuovamente alle sue parole.
«Vi divertite a spaventarmi, messere? Non mi ero accorta
foste sveglio.» Gli sorrise, un poco inquieta e osservandolo di traverso con quello
sguardo penetrante. «Siete svenuto nel bosco e quando mi sono avvicinata per
soccorrervi, ho dovuto chiedere aiuto ad alcune amiche per trasportarvi sin
qui. Siete a casa mia, alla Cabotina, fuori le mura di Triora.»
Il cavaliere si voltĆ² e su una sedia notĆ² una ragazza
giovanissima, i lunghi capelli biondi arruffati a incorniciare un volto
d’alabastro, gli occhi enormi color cobalto sgranati su di lui. Le si leggeva addosso
il terrore e si teneva con le braccia le ginocchia raccolte al petto,
controllando ogni suo minimo movimento.
«Lei ĆØ Caterina, un’amica» continuĆ² la donna dai capelli
di rame. «Si ĆØ offerta di tenermi compagnia mentre vi prestavo soccorso, cosƬ
non ci saranno dicerie in giro, se qualcuno per caso ci avesse scorto.»
«Sembrerebbe terrorizzata.»
«In effetti ĆØ proprio cosƬ, messere, lo ĆØ. Diciamo che i
suoi rapporti con i gentiluomini non sono stati…cordiali» rispose, guardandolo
dritta negli occhi e provocandogli uno spasmo allo stomaco. Come vi chiamate?»
incalzĆ², sicura.
«Balthazar Blanchard» rispose lui con quella voce rauca
che a Deanira provocĆ² inaspettati brividi. «E voi, madamigella, voi siete…»
«Deanira Cavalleri.»
Balthazar giĆ sapeva chi si era trovato di fronte quando
l’aveva scorta per un fuggevole attimo nel bosco. Non aveva fatto in tempo a
proteggersi, nonostante avesse percepito la sua presenza da diversi minuti.
L’intensitĆ della sua energia era a dir poco sconvolgente: mai aveva visto
sprigionarsi una forza cosƬ grande da una donna e probabilmente non aveva
ancora visto nulla, ne era sicuro. Doveva scrivere subito al cardinale per
comunicargli l’avvenuto contatto con l’obiettivo e portarla via da quel posto
prima che l’inferno si scatenasse sulla terra…
«Che cosa avete fatto alla mia gamba, madamigella?»
«Non chiamatemi madamigella,
messere, ve ne prego. Sono solo una contadina. Deanira, questo ĆØ il mio nome.»
«Allora, voi mi chiamerete Balthazar» sussurrĆ² mentre
passava lo sguardo lungo la snella figura della giovane, dal viso sino alle
caviglie nude, soffermandosi poi nuovamente sul seno che tirava da sotto la
tunica.
Deanira arrossƬ quando incontrĆ² gli occhi color ambra
dell’uomo e abbassĆ² lo sguardo, cambiando subito discorso.
«La ferita era piuttosto profonda. L’ho ripulita con
acqua e panni puliti. L’ho ricucita e ho applicato sopra un impiastro di erbe
medicinali raccolte nel bosco, mescolate a grasso di maiale. Adesso dovete
tenerla fasciata per almeno due giorni, poi dovrĆ² controllarla ed eventualmente
ripetere l’operazione. Dovrete rimanere a riposo, messere. Non vi consiglio di
lasciare il paese a meno che la vostra destinazione non sia Triora.»
«Dove avete imparato a curare le ferite?»
«Lo faccio sin da bambina. Io sono sempre stata piuttosto
abile in queste cose e trascorro le giornate nei boschi qui attorno per
raccogliere erbe e radici che servono per i miei preparati. Ne ricavo unguenti,
impiastri e tisane per aiutare chiunque ne abbia bisogno.»
Balthazar la studiĆ² con attenzione. Le informazioni che
aveva ricevuto su di lei erano estremamente piĆ¹ complesse. Non si trovava di
fronte a una semplice giovane donna con la destrezza del manipolo delle erbe
mediche, ma una creatura che aveva poteri potentissimi di guarigione e chissĆ
quant’altro oltre quell’energia che riusciva a sprigionare. PensĆ² fosse troppo particolare
per essere semplicemente umana. Chiunque conoscesse la sua vera identitĆ , come
lui, se ne poteva accorgere all’istante.
Deanira intanto stava evitando di affrontare il discorso
dell’accaduto nel bosco. Non sapeva chi fosse quel gigante dall’aspetto divino
e truce allo stesso tempo, ma era pervasa da un senso di quiete e sicurezza da
quando l’aveva incontrato. Non si era mai sentita cosƬ in tutta la vita. OsservĆ²
Balthazar sollevarsi sui gomiti e in quell’istante Caterina balzĆ² sulla sedia,
gridando. Deanira si precipitĆ² da lei, afferrandole con dolcezza le mani, intanto
che vedeva la giovane tremare quasi fosse preda di convulsioni.
«Va tutto bene, tesoro. Il signore si sta solo sollevando
per mettersi un poco piĆ¹ comodo» le disse, la voce calma ma ferma. «Non temere,
siamo al sicuro e non permetterĆ² che ti accada nulla.» Povera ragazza, pensĆ² mestamente, ridotta a poco piĆ¹ di una larva per colpa di quel bastardo e dei suoi
compari.
«Che cosa accade a quella fanciulla? PerchĆ© ĆØ cosƬ spaventata
dalla mia presenza?»
Deanira alzĆ² il viso e guardĆ² intensamente Balthazar
negli occhi. In quel preciso momento, le immagini delle violenze, dei soprusi e
dello stupro di gruppo invasero la mente del cavaliere come un miasma fetido e
putrescente, dandogli il voltastomaco. Impallidendo, Balthazar imprecĆ²
sommessamente.
«Maledetti vigliacchi, meritano la morte.»
Deanira sgranĆ² gli occhi. Lei non aveva detto nulla,
dalle sue labbra non era scaturita una sola parola. Come era possibile che lui
avesse compreso ogni cosa?
«Caterina, puoi lasciarci soli per un attimo?» domandĆ²
gentilmente. «Mettiti vicino al focolare e controlla, per favore, che la zuppa
non si attacchi al fondo. Io ti raggiungerĆ² tra poco.»
La giovinetta si alzĆ² e, barcollando come ubriaca, uscƬ
dalla stanza.
Fu Balthazar a parlare per primo. «Nel bosco…so che siete
stata voi a farmi volare giĆ¹ dal destriero. Sono un esperto d’armi e mai nella
vita mi era capitato di venire scaraventato a distanza senza nemmeno riuscire a
imbracciare la spada. Vi ho vista per un attimo, sembravate animata da forza
ultraterrena.»
«Vi sbagliate, messere, io…» cercĆ² di dissimulare lei.
«Deanira…» mormorĆ² Balthazar, sollevandosi a sedere completamente
sul giaciglio, il viso a pochi centimetri dal suo. «So che siete una donna
speciale, perchĆ© io sono qui per voi.»
Deanira trasalƬ. Che cosa significava tutto questo? Chi
era quest’uomo che sembrava conoscere tutto di lei? Non riusciva ad averne
paura ma non si sentiva nemmeno al sicuro. Sapeva solo che qualcosa di molto
grande e pericoloso stava per scatenarsi da lƬ a poco. Lo avvertiva come una
sensazione di formicolio alla nuca.
«Siete nel giusto, ancora una volta, Deanira» le sussurrĆ²
Balthazar.
Di
nuovo! Signore
onnipotente, pensĆ². Lui riusciva a leggerle la mente!
«SƬ, io posso vedere tutto ciĆ² che passa nella vostra
testa; i vostri pensieri, le vostre emozioni, le paure e le angosce. Sono
dotato di questo dono da sempre, almeno fin da quando io riesca a ricordare. Per questo, piĆ¹ di chiunque altro
sono in grado di comprendere ciĆ² che vi angustia: il vostro enorme potere, Deanira.
Non ho mai visto sprigionare una forza devastante come la vostra e so che non ĆØ
l’unico dono di cui siete dotata. In paese vi chiamano “strega”, ma sono solo un’orda di ottusi. Io so cosa siete in realtĆ
e posso aiutarvi.»
Deanira passĆ² le mani nervosamente sulla logora stoffa
della veste che indossava, lo sguardo basso. Doveva proteggersi, ma come?
Quell’uomo, quell’affascinante estraneo le metteva addosso un senso di
agitazione ma anche di quiete allo stesso tempo, ma poteva fidarsi davvero di
lui? Poteva riporre la sua fiducia in quel volto d’angelo armato di spada che
diceva essere li per lei?
«Siete qui per me, messere? E per quale motivo, se mi ĆØ
dato saperlo?»
«Deanira, non sono un grande parlatore tantomeno un
diplomatico. Sono un uomo d’armi e d’onore. Mi ĆØ stato commissionato un
incarico e devo portarlo a termine nel migliore dei modi. Non ci sono mezze
misure per ciĆ² che sto per rivelarvi, quindi donna, aprite bene le orecchie e
ascoltatemi. Siete in grave pericolo.»
«Che dite?»
«Che dobbiamo andarcene via da qui al piĆ¹ presto.»
Deanira lo guardava come attraverso un sogno,
probabilmente un brutto sogno. Il suo sguardo giĆ strano, adesso brillava di
luce propria, come se al suo interno divampasse un fuoco. I sensi della giovane
si acuirono all’istante: l’energia era palpabile nell’aria, densa come bruma. Sentiva
Balthazar percepire la sua forza e ne fu spaventata, ma lui si alzĆ² e si
avvicinĆ² sino a porsi di fronte a lei, a pochi centimetri dal suo viso.
«Che cosa significa che sono in pericolo?» gli chiese, la
voce ridotta a un filo.
«Significa che sono stato mandato qui a prendervi e
condurvi al sicuro prima che i vostri poteri vengano fraintesi e si metta a
repentaglio la vostra vita.»
«I miei poteri…Messere, io…»
Balthazar serrĆ² la mascella per il dolore alla gamba e si
impose di resistere. Non voleva esternare debolezza dinanzi a quella donna. La
sovrastava con la sua immensa statura ma lei non si spostava di un centimetro,
il mento sollevato verso di lui.
«Deanira, ascoltami» le disse, passando a un tono intimo
che la scosse dai suoi pensieri. «Che tu abbia dei poteri molto particolari l’ho
giĆ appurato sulla mia pelle. Sai anche che Lucia non era la tua vera madre e
non puoi avere nessun ricordo della tua infanzia se non quella trascorsa qui a
Cabotina. Quando lei ti trovĆ² eri solo una neonata e quel marchio che hai sulla
gamba, la croce rovesciata, ĆØ il segno che ti contraddistingue.»
Il volto arrossato, le mani tremanti, Deanira osservava
quella specie di gigante asserire cose che solo lei poteva conoscere. Oltre il
prete e la sua madre adottiva, nessuno aveva mai visto quel marchio purpureo
che possedeva, quello che la povera Lucia chiamava “l’errore di Satana”. SƬ, perchĆ© in fin dei conti anche lei l’aveva
considerata diversa e sbagliata in un qual modo. Un errore del diavolo che non
era riuscito a marchiarla del tutto con il suo putridume. Deanira era cresciuta
con quella consapevolezza, di essere un mostro a metĆ , di avere un piede
poggiato nelle acque dello Stige, nella melma dove galleggiavano le anime
dannate da Dio.
Balthazar si avvicinĆ² ancora di piĆ¹, gli occhi due fari
fiammeggianti. Ora era talmente vicino a lei da sentirne il respiro del suo
alito caldo, cosƬ inebriante.
«Che…cosa sei tu?» gli chiese Deanira in un soffio,
sollevando il viso verso di lui.
«Un diverso, come te. Ma aiuto coloro che tengono
indietro le forze del male perchƩ non tutti gli individui dotati di poteri
speciali come noi, sono per forza malvagi, Deanira. Io sono un cavaliere
templare, faccio parte di un ordine antichissimo al servizio di Dio. I Pauperes
commilitones Christi templique Salomonis, dal 1096 combattono al fianco di Cristo. Ufficialmente siamo stati
soppressi venerdƬ 13 ottobre 1307 per ordine del re di Francia Filippo IV. Dopo
averci torturati e costretti ad ammettere eresie alle quali eravamo totalmente
estranei, ci arsero al rogo condannandoci a morte e dichiarando l’Ordine
estinto da parte di Clemente V. Ma non riuscirono a prenderci tutti: fummo
aiutati proprio da quella parte della Chiesa che credeva in noi e in ciĆ² che
facevamo. Restammo nascosti per parecchio tempo e abbandonammo il beauceant, il vessillo che ci
contraddistingueva, nonchƩ la nostra divisa crociata di rosso. Lavoriamo sotto
copertura da quella volta per mantenere chiuso il portale dei dannati.»
«Ma tu, Balthazar, come puoi
essere stato reclutato nell’Ordine se…» incalzĆ² Deanira intanto che un impossibile
veritĆ si faceva subdolamente spazio nella sua mente.
«Il giorno che, dinnanzi alla
cattedrale di Notre Dame a Parigi arsero
vivi l’ultimo maestro templare, Jacques de Molay e Geoffrey De Charnay, precisamente
il 18 marzo 1314, io ero nascosto tra la folla. Ho ancora nelle orecchie il
rimbombo delle grida straziate e il puzzo di carne bruciata.»
Deanira arretrĆ² di un passo, sgranando
i grandi occhi. «Non puĆ² essere, tu
dovresti…»
«Io vivo dai tempi della prima
crociata in Terra Santa, ho piĆ¹ di mille anni e sono pressochĆ© immortale. Sono
a capo della Sacra Confraternita della
Croce e sono stato incaricato da quella parte del Vaticano che si occupa
della difesa delle creature di Dio, di portarti al loro cospetto.»
Balthazar le era
pericolosamente vicino ed emanava un’aura cosƬ seducente da farle tremare le
ginocchia. Deanira lo guardava affascinata. Profumava di limone e quei capelli
sembravano essere stati rubati alla pece infernale, un liquido denso e nero che
lo avvolgeva come un manto. Poteva percepire l’attrazione che si sprigionava
tra di loro come una massa fluida, calda e terribilmente eccitante, mentre
sentiva reagire il suo corpo per la prima volta al desiderio fisico. Balthazar
allungĆ² una mano a prendere una ciocca di quei serici capelli che scendevano
sino alla vita e la rigirĆ² tra le mani. Deanira tremava, incapace di sussurrare
una parola. Lui era un immortale, una creatura ultraterrena ed era l’uomo piĆ¹
bello che avesse mai visto. Un dolore sordo si era impadronito della sua anima,
del suo ventre e il bustino del consunto abito sembrava tirare ancora di piĆ¹.
Balthazar le infilĆ² entrambe le
mani nei capelli, sulla nuca, attirandola a sƩ dolcemente, contro il suo corpo
massiccio. Perdio,
pensĆ² l’uomo, piĆ¹ la guardo e piĆ¹ rischio
di perdermi in lei. Dopo anni, decenni trascorsi a combattere per la difesa
del bene, non aveva avuto molto tempo da dedicare al piacere personale, alla
vicinanza di una donna. Ma adesso, dinanzi a lei vacillava inesorabilmente. Lei
era bella, intelligente e indomita per passare inosservata agli occhi di
qualsiasi uomo, tantomeno a lui. La bocca carnosa e tumida era socchiusa e gli
occhi sembravano immense pozze di giada. SentƬ che Deanira cercava di costruire
una barriera di pietre mentali per non farlo penetrare nella sua testa. Non
voleva che sapesse ciĆ² che pensava di lui, che lo riteneva bellissimo e che il
solo guardarlo in viso le provocava uno strano frullio allo stomaco e la faceva
vergognare di sƩ stessa. Lui sapeva che non era mai stata avvicinata da un uomo
che non avesse intenzioni dignitose, come quel porco di Torti ed i suoi
compari. Ma lui, adesso, la guardava con
sguardo diverso, indugiava sul suo viso con quegli occhi cosƬ speciali e
profondi.
CAPITOLO IV
Tutto accade nella frazione di un istante e Deanira non
tentĆ² nemmeno di fermarlo. Balthazar la strinse tra le braccia in un’atmosfera
carica di tensione, mentre le loro energie si scontravano intrecciandosi e
fondendosi assieme. Deanira gli poggiĆ² le mani sul torace, trasmettendogli un
calore dirompente che non fece altro che aumentare la sua giĆ crescente
eccitazione sessuale. Lui seppellƬ il volto tra i suoi capelli di rame,
respirandone il delicato profumo di erba e tirandola di piĆ¹ verso di sĆ©. Quando
alzĆ² la testa, la guardĆ² con occhi da lupo, sprofondando in quei laghi e
dandosi del pazzo. Lei era la sua missione ma qualcosa gli sussurrava nella
mente che la cosa stava assumendo una piega differente. Non si era aspettato di
trovare una ragazza cosƬ avvenente, cosƬ coraggiosa e dall’animo gentile. Deanira
aveva aperto una crepa nella sua corazza e ora non sapeva se sarebbe riuscito a
tirarsi indietro. Era chino su di lei e, prendendole il viso tra le mani,
finalmente la baciĆ². Una scarica improvvisa si dilagĆ² attraverso il corpo di Deanira.
Mai nella vita le era successa una cosa cosƬ sconvolgente. Le labbra di Balthazar
la sfioravano delicate guardandola negli occhi e quando lui approfondƬ il
contatto, invadendole la bocca con la lingua, lei dovette aggrapparsi a quel
collo possente, circondandolo con le braccia. Con inaspettata meraviglia, lei
scoprƬ che un bacio non era solo una semplice pressione tra due bocche come
aveva visto fare molte tra un uomo e una donna: la lingua di lui si muoveva con
grazia intrecciandosi alla sua, in una danza erotica che risvegliĆ² in lei
qualcosa di primordiale. Balthazar approfondƬ l’attacco istintivo, sollevandola
letteralmente tra le sue braccia e diventando quasi violento. Ma Deanira non avvertƬ
che una sorta di stordimento sensuale che la costrinse ad avvinghiarsi a lui
sempre piĆ¹, a chiedere qualcosa di sconosciuto e cosƬ improvvisamente necessario.
Ma lui si staccĆ² da lei, seppur con riluttanza, sciogliendo quel contatto
intimo e passionale che si era instaurato tra loro.
«Se non mi fermo, domani ci pentiremo di quello che sarĆ accaduto»
mormorĆ², il viso distorto. Deanira lo guardĆ², confusa dalle sue stesse reazioni
e scosse la testa, facendo danzare i ricci ribelli.
«Dobbiamo prepararci adesso. Lasceremo Triora stanotte
stessa» aggiunse, ritornando pienamente padrone delle proprie facoltĆ mentali. Dio, pensĆ², l’avrebbe presa anche sul
pavimento, per terra davanti al camino acceso. Mai gli era capitato di
rischiare di perdere la ragione durante una missione. Quella ragazzina metteva
a dura prova la sua resistenza.
«Non scapperĆ² come una codarda.»
«Allora proprio non vuoi capire! Sta per scatenarsi una
guerra. Una persecuzione indetta da rappresentanti dello stesso Vaticano.
L’Inquisizione prenderĆ in custodia tutte le donne sospettate di comportamenti
o qualunque cosa possa far pensare che siano streghe. Le interrogheranno con la
tortura costringendole ad ammettere la loro relazione col maligno e le
bruceranno sul rogo! Deanira, io ho il preciso compito di condurti al sicuro.»
«Al sicuro? A Roma, dove ĆØ stato ordito questo piano
assurdo, dove le stesse persone di cui parli si stanno adoperando per distruggere
delle vite innocenti.»

«Non puoi permettere che accada una cosa del genere!» gli
gridĆ² in viso.
«Non posso impedirlo, ma posso salvare te.»
«Non m’importa, io resterĆ².»
Perdiana,
pensĆ² Balthazar, la ragazza era cocciuta come un mulo e avrebbe dovuto
ricorrere alle maniere forti. Gli occhi, fino a quel momento di un color ambra
inteso, assunsero una sfumatura rossastra, diventando presto come tizzoni
infuocati.
Deanira arretrĆ². «Che…cosa fai?»
«Ti porto via da qui!» rispose, un ringhio basso che gli
proveniva dal centro del torace.
«Che cosa sei?»
«Una creatura di mezzo, Deanira. Mezzo uomo e mezzo demone!
Io sono uno dei figli di Bael.»
Bael! Un demone!
Balthazar era un demone. L’energia irradiĆ² dal suo corpo facendo tremare i muri
della casa: alzĆ² le mani per colpirlo ma lui all’improvviso sparƬ dalla sua
visuale. Dov’ĆØ andato? Si era mosso con una velocitĆ tale che nemmeno l’aveva
scorto.
«Sono proprio dietro di te, cocciuta femmina» le sussurrĆ²
vicino all’orecchio, facendola sobbalzare. La porta si aprƬ proprio mentre lui
le immobilizzava i polsi: nel trambusto non si erano resi conto di ciĆ² che
stava loro accadendo intorno. Gli occhi di Balthazar ritornarono immediatamente
della sfumatura consueta mentre si voltava a guardare gli uomini che erano
appena entrati nella stanza.
«Bene, mio prode cacciatore» disse una vocetta squillante
e dall’accento malevolo. «Siete giunto proprio in tempo per aiutarci a
catturare questa creatura dannata.»
Per
tutti i demoni dell’inferno, sono giĆ qui. Il cardinale mi aveva riferito che
non si sarebbero mossi prima di un mese, invece hanno anticipato la loro opera
per metterci in difficoltĆ , maledizione. Balthazar teneva salda Deanira
per le braccia. Deanira, ora ascoltami,
te ne prego, le parlĆ² mentalmente, certo che lei potesse sentirlo. Questi sono gli Inquisitori di cui ti
parlavo poc’anzi. Fa esattamente ciĆ² che ti dico e stammi molto, molto vicino
se ci tieni a vedere l’alba di domani.
La sentƬ tremare contro il suo torace.
«Messere, posso sapere il vostro nome?» gli chiese
Balthazar.
«Sono il facente veci del vicario, mi chiamo Gioacchino
Passalacqua. Sono stato inviato sin qui da Genova per precedere l’arrivo delle
autoritĆ inquisitorie, in seguito al ricevimento di diverse lettere di denuncia
da parte del potestĆ di questo paese. Da diverso tempo le condizioni di Triora
sono degenerate in modo alquanto strano e nessuno sembra potersi dare una
spiegazione plausibile agli accadimenti. Non fosse che la moglie di Gaetano
Torti, donna dalle virtĆ¹ inconfutabili e provate, abbia suggerito la presenza
di alcune donne che operano in questa zona strani riti e fatture che avrebbero
condotto alla rovina del paese. Donne che secondo lei detengono un legame con
il maligno e delle quali "lei",
disse indicando Deanira con un dito accusatore, ĆØ la guida spirituale!»
«Che idiozie andate cianciando?» gli vomitĆ² addosso Deanira,
prima che Balthazar prendesse parola. Il prete la fissĆ² con astio, repulsione e
una strana luce negli occhi. Reproba.
«Ditemi, padre, avete prove inconfutabili della
colpevolezza di queste presunte…streghe, posso dunque in tal modo apostrofarle?»
Il prelato alzĆ² il mento sfuggente e con i piccoli
occhietti neri squadrĆ² Deanira dalla testa ai piedi. Balthazar poteva sentire
tutto ciĆ² che gli passava per la testa.
Appena
questa puttana giungerĆ alla badia di Sant’Andrea le farĆ² vedere io chi sono…Ci
sarĆ da divertirsi con una bellezza come lei e mi divertirĆ² a possederla tra
quelle cosce ripetutamente mentre sarĆ legata. «SƬ,
le prove ci sono. E io sono qui per eseguire il volere di Dio.»
Gli occhi di Balthazar si strinsero sino a divenire due
fessure: doveva tenere sotto controllo i suoi poteri perchƩ in quel momento
aveva voglia di prendere quell’omuncolo per il collo e farlo volare fuori dalla
finestra. Gli parve persino che lui avesse quasi capito le sue intenzioni,
poichĆ© indietreggiĆ² di un passo, mettendosi di fianco alle tre guardie che lo
accompagnavano. Fuori la porta, una terrorizzata Caterina ritornata sulla sua
sedia, dondolava meccanicamente cantilenando una nenia inquietante. Il prete si
voltĆ² verso di lei, guardandola con ribrezzo.
«Che fa quella donna? Cosa sta vaneggiando? E’ forse una
fattura quella che sta lanciando?»
«No!» gridĆ² Deanira. «Vi prego, ĆØ solo una giovane che ha
subito violenze inaudite dal figlio di coloro che reputate cotanto brave
persone.»
«Ć una grave accusa, la vostra. Puntare il dito contro
cittadini che hanno sempre dimostrato d’essere puliti e sinceri, mentre voi…voi
danzate nuda nel bosco, mi ĆØ stato riferito» sibilĆ², uno sguardo lascivo che a Deanira
diede i brividi. «Ma non m’importa della mocciosa, non per adesso. CiĆ² che
voglio siete voi, Deanira Cavalleri, pertanto in nome della Santa Inquisizione
io ordino il vostro arresto immediato e il trasferimento all’Abbazia di
Sant’Andrea a Genova, dove verrete interrogata riguardo le vostre strane
abitudini.»
E sorrise, viscido.
Improvvisamente, Balthazar, rimasto immobile e in
silenzio sino a quel momento, sentƬ l’onda dell’energia di Deanira farsi spazio
nella stanza. La giovane stava di fianco a lui, gli occhi puntati su
Passalacqua, le braccia lungo il corpo irrigidite, le mani chiuse a pugno. Un
soldato fece per avvicinarsi ma fu scaraventato con un’invisibile forza,
sovrumana, contro la parte, ricadendo come un sacco vuoto a faccia in giĆ¹,
immobile.
«Che cosa avete fatto? Bagiua! Prendetela subito!» gridĆ² il prete con quell’insopportabile
vocetta stridula, ma le due guardie non reagirono. Erano paralizzate, immobili,
gli sguardi persi nel vuoto. Dietro di lui, Caterina, la schiena appoggiata al
muro, gli occhi rovesciati rivelando solo il bianco delle sclere, continuava la
sua nenia, a voce piĆ¹ alta…
Per la
barba del profeta, anche la ragazzina possiede poteri soprannaturali, pensĆ²
Balthazar. Ora poteva sentire anche
il suo fluido scorrergli addosso come acqua tiepida.
Deanira la fissava sbigottita. «Dio, non sapevo che anche
lei…»
«Questo posto ha qualcosa di magico che apre il portale
del limite soprannaturale. Ć come se il confine tra ciĆ² che ĆØ umano e ciĆ² che
non lo ĆØ fosse attenuato. Chiunque possieda poteri che vanno oltre il limite,
qui a Triora rivela la sua vera natura. La foresta ĆØ il passaggio e la Fonte
Boschiva il portale d’accesso. Dobbiamo andarcene, Deanira, ma non posso portare
Caterina con noi, ho bisogno di rinforzi poichĆ© lei non era prevista.»
«Non lascerĆ² Caterina alla mercĆ© di questi uomini, non di
nuovo» rispose sicura, gli occhi che fiammeggiavano d’ira.
Balthazar chiuse gli occhi intanto che sembrava
concentrarsi su qualcosa. Una nube scura iniziĆ² a materializzarsi nella stanza,
invadendola quasi del tutto: Deanira osservĆ² il pavimento, sembrava stesse
liquefandosi in una pozza oscura mentre una mano seguita da un braccio e da un
corpo ripiegato su sĆ© stesso si faceva strada dal profondo dell’abisso. Un
uomo…no, non poteva essere umano, pensĆ² subito dopo, stava uscendo dal varco
che si stava lentamente richiudendo sotto di sƩ, dissipando la bruma. Alto almeno
come Balthazar, i capelli biondi lunghi oltre la schiena e bello in maniera non
certo normale, la fissava con sguardo seducente.
«Mi hai chiamato, fratello?» chiese rivelando una voce
rauca, rivolto al cavaliere.
«Valefar, ho bisogno del tuo aiuto. Devi portare al
sicuro la ragazza bionda, prima che qui suonino le trombe dell’Inferno!»
Colui che Deanira inquadrĆ² come un demone, si voltĆ², tediato,
scoccando una sfuggevole occhiata a quel fagotto di stracci riverso nuovamente sulla
sedia. InarcĆ² un sopracciglio, perentorio, osservando le due guardie inebetite
e il prete schiacciato contro la parete. Una pozza di liquido giaceva ai piedi
della tonaca. Era terrorizzato da ciĆ² che appena aveva visto e mormorava parole
sconnesse, lo sguardo vitreo.
«Abominio…creature di Satana, Deus damnati, precipio vobis ut redeamus ad
inferos!» pronunciava con voce incrinata
dall'orrore, sollevando un Crocifisso verso di loro.
«Umani…» mormorĆ² Valefar, la voce schifata. «Ti fai
sempre fregare, Balthazar.» A velocitĆ sorprendente si parĆ² davanti al prete,
strappandogli di mano la croce e conficcandogliela nella testa, sfondandogli il
cranio. L’uomo si accasciĆ² sul pavimento, una pozza di sangue scura che si
allargava ai suoi piedi. Quando si voltĆ², si leccĆ² il sangue dalle dita,
sorridendo inquietante verso Deanira, che credette per un attimo di svenire
mentre stranamente, Caterina si era tranquillizzata. Ora la giovane bionda
osservava Valefar quasi incuriosita, i profondi occhi blu incollati alla sua
figura maestosa. Appariva come ripresa dalla catalessi nella quale era
sprofondata da tempo. Era vigile, attenta. E bellissima.
«Spiegami perchĆ©, Balthazar, ti cacci sempre in questi guai
di lotte tra bene e male, pur sapendo che siamo parte della stessa guerra e che
perseguiamo i medesimi fini.»
«Non ho bisogno di prediche in questo momento, ma di
aiuto, fratello. Non posso smaterializzarmi con due ospiti e la ragazzina ĆØ in
serio pericolo. Ha poteri forti che ancora non si rende conto di possedere.»
Valefar guardĆ² Deanira, che lo osservava, ancora sbigottita.
Quella cosa, pensĆ², ĆØ spietata, un assassino senza ritegno alcuno…PensĆ²,
mentre il demone le sorrideva sfrontato.
«Mmmm…sento l’attrazione tra voi due. Scorre come miele caldo
tra te e la creatura di mezzo. Deanira, se non sbaglio...» E sorrise,
mefistofelico.
«PenserĆ² io a spiegarle tutto. Tu, adesso, occupati di Caterina.»
Valefar sbuffĆ²,
seccato. Detestava gli umani, cosƬ fragili, semplicemente idioti.
«E va bene fratellino, la porto via. Ma mi devi un
favore.»
«Sapevo l’avresti detto» mormorĆ², alzando gli occhi al
cielo mentre l’altro si apriva in un sorriso che avrebbe fatto sciogliere
qualsiasi donna sulla terra. Si avvicinĆ² lentamente a Caterina, che continuava
a fissarlo, quasi ipnotizzata.
«Non le farĆ del male, vero?»
«No, nel modo piĆ¹ assoluto.»
«Ma ĆØ un…»
«Demone, Valefar ĆØ un duca degli inferi e comanda dieci Legioni
Infernali. Un purosangue.»
Valefar squadrĆ² la ragazzina che aveva di fronte,
sondando nei meandri della sua mente.
Aveva subito violenze da un gruppo di giovani umani pervertiti ed era sconvolta
dall’orrore e dalla paura. Il demone inclinĆ² la testa da un lato, lasciando
ricadere la massa serica dei suoi
capelli chiari e le sollevĆ² il viso con due dita mentre occhi color del mare
profondo, enormi e tristi si fissavano nei suoi di giaietto. Era dannatamente
bella. Una mezzosangue figlia di un
demone, interessante, pensĆ², intanto che la sollevava tra le sue braccia
come una piuma. Si sarebbe aspettato una reazione di disgusto invece il
contatto gli provocĆ² un brivido caldo al bassoventre mentre lei gli allacciava
le braccia al collo e poggiava la testa nell’incavo della sua spalla.
«Chi sei?» gli chiese, la voce un flebile soffio.
«Uno che sta facendo un favore a suo fratello, nulla piĆ¹»
rispose, seccato dalle sue reazioni a quell’esile corpo. Era abituato a donne
spregiudicate, vestali consenzienti e dee di lussuria: che ci stava a fare lĆ , con
una ragazzina mezza demone tra le braccia? E perchƩ lei gli provocava quella
strana sensazione addosso? RipensĆ² ai volti dei suoi aguzzini, quelli che aveva
scorto nella sua testa. Un impeto improvviso di furia lo travolse, una rabbia senza
freni, tipica del suo carattere. Non seppe darsi una spiegazione, ma le
immagini che aveva visto avevano tirato fuori il peggio di lui. I tre, ormai,
erano scolpiti a fuoco nella sua testa e quando Valefar puntava qualcuno o
qualcosa, nulla e nessuno osava distoglierlo dalle sue intenzioni, di qualunque
tipo fossero. I tre erano giĆ carne putrida e ci avrebbe pensato subito dopo
aver messo al sicuro Caterina.
Il varco nel pavimento si riaprƬ con un improvviso ondeggiare
dell’aria, caldo e denso. Il demone sprofondĆ² lentamente nella melma oscura con
Caterina tra le braccia mentre Deanira, preoccupata, assisteva alla scena.
Quando il portale si richiuse sotto i loro piedi, Balthazar si voltĆ² verso di
lei.
«Dobbiamo andare, ora.»
«Ma… dove, dove andremo?» chiese la giovane.
«Posso trasportarti lontano da qui, dove incontreremo la
persona che mi ha mandato da te.»
«Balthazar, io…» Ma non c’erano parole in quel momento,
le loro anime stavano bruciando e lui si stupƬ piacevolmente dell’ondata di
desiderio che lo travolgeva quando lei gli stava vicino. La sua anima la
reclamava, il suo corpo la bramava e non sapeva per quanto avrebbe potuto
resistere. Deanira era come essenza di vita per lui e quando le prese il volto
tra le mani, lei socchiuse gli occhi, attendendo che lui la saggiasse
nuovamente. Invece si limitĆ² a posarle dolcemente le labbra sulla nuca,
lasciandola interdetta.
«Dobbiamo andare ora, non abbiamo tempo per il resto ma
ti prometto che presto noi due saremo molto intimi» le mormorĆ² tra i capelli
con voce suadente.
CAPITOLO V
Deanira non sapeva se ce l’avrebbe fatta, troppe cose
erano accadute quel giorno. La sua vita, giĆ non priva di difficoltĆ , era stata
totalmente sconvolta dall’arrivo di Balthazar, dell’Inquisizione e di Valefar. Cominciava
a chiedersi che cosa fosse lei: forse
un mostro di una particolar specie? OsservĆ² di sottecchi Balthazar mentre
recuperava i suoi vestiti. Le due guardie erano ancora lƬ, imbambolate. Si
chiese se sarebbero restate per sempre cosƬ e si chiese anche quali poteri
possedesse Caterina per avrele ridotte in quello stato catatonico.
«No, se tu non vorrai» esclamĆ² Balthazar all'iprovviso.
Continuava a leggerle la mente. «Per come la penso io, sarebbe meglio
eliminarle, ma posso anche fare in modo che non ricordino piĆ¹ nulla, nemmeno il
motivo per il quale si erano recate qui. Non sapranno piĆ¹ chi siamo e non potranno
descriverci a nessuno.»
«Va bene la seconda» rispose Deanira. Il cadavere del
sacerdote, afflosciato in un angolo della stanza come un sacco vuoto, la fissava
con occhi vitrei, spenti di qualunque barlume. La pozza di sangue si era
annerita e ora emanava un odore acre, peggiorato dal calore del fuoco che
ardeva nella stanza. La morte non l’aveva mai impressionata: aveva visto
trapassare molta gente, uomini, donne e bambini senza poter fare nulla per
aiutare, o perlomeno non ci aveva mai provato. Resuscitare i morti era contro
natura e non ci avrebbe provato a meno che non costretta. Ma l’assassinio di Valefar
l’aveva impressionata. Dalla testa del facente veci del vicario spuntava la
croce, il segno benedetto che l’aveva ucciso sul colpo, infertogli dal demone.
Il crocifisso non lo aveva bruciato nƩ gli aveva dato il minimo fastidio. Immaginava
a quel punto che probabilmente nemmeno l’acqua benedetta gli avrebbe causato
problemi. ChissĆ come stava Caterina…
Balthazar si avvicinĆ² alle due guardie che parevano di
sale e toccĆ² con la mano la loro fronte per qualche attimo, lo sguardo di brace
che si rifletteva nei loro occhi. Si afflosciarono a terra entrambi, svenuti.
«Ecco fatto. La loro memoria ĆØ stata cancellata.»
«Balthazar…»
«Non adesso, dobbiamo saltare.»
«Saltare? E dove?»
«Salteremo nella dimensione spazio-temporale per passare
da un luogo all’altro.»
«Ovvero, senza cavalli?»
«Esatto.»
«Voleremo?»
«In un qual modo…sƬ.»
Deanira, a quell’idea si sentƬ eccitata come una bambina.
Volare? Come i gabbiani, libera…
«Non ĆØ proprio cosƬ, mia diletta» le lesse nuovamente nel
pensiero.
«Che significa?»
«Ora vedrai. Stringiti a me e non mollarmi nemmeno per
sogno.»
«E’ pericoloso?»
«Se mi lascerai, sƬ.»
Deanira obbedƬ. Si strinse aderendo col suo corpo a
quello del mezzo demone. Balthazar la afferrĆ² in una morsa di ferro mentre la
sua energia si espandeva e avvolgeva entrambi i corpi in un’esplosione di luce.
Un’improvvisa costrizione al torace la schiacciĆ², come fosse imprigionata in
una trappola mortale. Non riusciva a respirare e il vuoto sembrava inghiottirla
mentre precipitavano come sassi dentro un cono luminoso, accecante. Non ĆØ come volare…ĆØ tremendo, pensĆ² Deanira
intanto che il dolore le attanagliava il petto. Resisti Deanira, ci siamo quasi. La voce di Balthazar le infondeva
sicurezza, la tranquillizzava nonostante la dolenza. Per tutta risposta si
abbarbicĆ² a lui ancora di piĆ¹, percependo il calore divampante della sua pelle
sotto i vestiti. Il cono iniziĆ² a stringersi e poco dopo la luce si affievolƬ
sino a scomparire del tutto. Deanira non capƬ dove si trovavano, era buio
tutt’attorno e sentiva l’umido penetrarle nelle ossa. Aveva il fiato corto e il
torace le doleva.
«Ć stato tremendo» gracchiĆ², spossata.
«Imparerai a farlo anche tu e con l'abitudine non sarĆ
piĆ¹ doloroso.»
«Dove siamo?»
«In Vaticano. Lui sta arrivando.»
«Lui chi?»
«Il cardinale Evangelisti. Ć lui che mi ha mandato da
te.»
«Come sa che siamo arrivati?»
«Lo sa. PuĆ² sentirmi, proprio come te.»
La donna voltĆ² lo sguardo, attratta dal rumore di una
porta che si apriva. Una sagoma ne riempƬ il vano: un uomo abbigliato con una
tonaca bianca e porpora, un lume in mano, entrĆ² nella stanza. Era alto e
longilineo, leggermente ricurvo sulle spalle. I capelli bianchi illuminavano un
volto sereno, solcato da rughe e gli occhi verdi, vigili e intelligenti,
vagavano attraverso la stanza.
«Siete giunti, finalmente. Ero preoccupato.»

«Chi l’ha tratta in salvo?» domandĆ², portandosi subito
dopo una mano alla fronte. «Non dirmelo…Valefar.»
«Mio fratello era l’unico che poteva aiutarmi.»
«GiĆ …Quanti ne ha ammazzati stavolta?»
«Solo uno, ma meritava di crepare. Era un porco che
approfittava di donne inermi e bambini. Sono felice che sia stecchito, non se
n’ĆØ accorto neppure, un vero peccato» ringhiĆ² Balthazar.
«Chi era?»
«Gioacchino Passalacqua, il facente veci del vicario
genovese. Ho sentito i suoi pensieri putridi. Valefar ha reso un favore alla
Chiesa.»
Il cardinale sbuffĆ²: era evidente a Deanira che il
cardinale non approvava i metodi di Valefar, senza contare che un alto
rappresentante della chiesa stava parlando, come nulla fosse, con un mezzo
demone.
«Volete spiegarmi che cosa sta succedendo?» domandĆ²,
visibilmente contrariata. «Tutte le mie credenze religiose si stanno
sgretolando miseramente guardando voi due. Tu, un mezzo demone e lui, un
cardinale. State parlando come foste vecchi amici!»
«Noi siamo
vecchi amici, Deanira.»
Il cardinale sorrise e fu in quel momento che lei si
accorse di provare qualcosa di molto forte per Balthazar, un sentimento che
stava divampando nella sua anima. Le aveva salvato la vita, l’aveva baciata
senza ritegno e tratto in salvo la povera Caterina. Certo, era quasi un demonio,
ma il suo cuore non era affatto nero.
«Deanira, ĆØ ora che tu sappia la veritĆ .»
La ragazza sobbalzĆ² a quelle parole pronunciate dal
cardinale Evangelisti, uscendo dalle sue riflessioni amorose. L’alto ministro
di Dio si avvicinĆ² a lei: sembrava agitato e la guardava con attenzione.
«Deanira Cavalleri, trovata vicino a Fonte Boschiva il 16
agosto del 1571 da una giovane lattaia. Pochi attimi prima e avrebbe scorto tua
madre, Laya.»
«Laya, mia madre?»
«SƬ, la donna piĆ¹ bella che avessi mai incontrato. Lei era
un angelo.»
A Deanira per un attimo girĆ² la testa.
«Laya era un angelo, uno spirito del cielo facente parte
dell’esercito divino, un intermediario tra Dio e il mondo. Era un angelo della
Giustizia, una guerriera, proprio come te. Commise l’errore di innamorarsi di
un umano, un cavaliere, un essere inferiore che non fu capace di tenere a freno
i suoi bisogni corporei e la rovinĆ². Se egli l’avesse lasciata andare, forse lei
si sarebbe salvata. Invece, nel suo egoismo, volle tenerla per sƩ, pensando che
il loro amore li avrebbe salvati. Che errore commise, povero stolto! Laya fu
giudicata dall’Alto tribunale dei Cieli e condannata a morte. Fu Raffaele a
eseguire la sentenza e quel giorno l’umano, dopo aver pianto ogni sua lacrima e
chiesto perdono a Dio, pose l' anima nelle sue mani misericordiose e diventĆ² un
suo servo. Il cavaliere templare si trasformĆ² in un uomo di Dio e dal quel
giorno non ha mai smesso di pensare a lei. Per questo decise di affidarti a
Lucia. Quella povera donna era un cuore puro, buona e disinteressata e ti ha
amato come una madre.»
Deanira, guardandolo negli occhi, si accorse improvvisamente
di vedere dentro i propri. Non c’era bisogno di chiedere altro: ora sapeva anche
chi era suo padre.
«Mi dispiace, Deanira, nessuno voleva causarti del male.»
Il cardinale non stava mentendo, il suo cuore sanguinava, era triste e lei avvertiva
l’affetto che provava nei suoi confronti. «Sei identica a tua madre.»
«Davvero?»
«SƬ, e ne hai ereditato anche il carattere battagliero. I
doni che lei ti ha lasciato, il potere di guarigione e l’energia del Cielo sono
estremamente preziosi. Dovrai imparare a usarli al meglio, se vorrai aiutarci
nella nostra missione.»
«La vostra…missione?»
«Ti sto domandando di unirti a noi, di diventare un
membro della Confraternita della Croce.»
Deanira era stupefatta: questo era dunque. Figlia di un
angelo, non strega maledetta, donna a metĆ con un piede nel cielo, anima pura
scambiata per putridume. GuardĆ² Balthazar, quella montagna di muscoli fatta per
il peccato, che le sorrise. Diventare una guerriera. Non ci aveva mai pensato e
in fin dei conti, fino a poche ore prima era stata solo una contadina
disperata, chiusa in un mondo che non le apparteneva. Ora le si stava aprendo
un orizzonte nuovo, un futuro incerto ma ricco di novitĆ e …Si voltĆ² verso il
suo demone. SƬ, lui era suo, ora lo sentiva sin dentro l’anima. Balthazar
l’aveva stregata e fatta innamorare. Adesso il suo unico desiderio era
restargli accanto: ma lui…l’avrebbe voluta? Un mezzo angelo e un mezzo demone. Deanira
si concesse di sorridere.
«Credo funzionerĆ .» mormorĆ² una voce alle sue spalle,
facendola arrossire.
«Oh, sei uno spregiudicato! Non sta bene spiare i pensieri
altrui.»
«Mi piace spiare i tuoi pensieri.»
Matteo Evangelisti li osservava, un sopracciglio inarcato
e le braccia conserti al petto, tamburellando con un piede.
«BĆØ, cos’ĆØ questa storia?»
«Io l’amo, eminenza» proruppe lei in un soffio che il
demone sentƬ benissimo.
«Sai chi ĆØ in realtĆ ?»
«E’ il figlio di Bael, un demone maggiore. E io lo amo» ribattĆ©,
ancor piĆ¹ convinta delle parole.
«Non sarĆ facile.»
«Lo decideremo strada facendo, Matteo.» Questa volta era
stato Balthazar a parlare, fermo alle spalle di Deanira.
Matteo Evangelisti sospirĆ², rassegnato.
«Vi manderĆ² a chiamare quando Deanira dovrĆ iniziare
l’addestramento. Ora devo andare, non posso scoprirmi per troppo tempo. Veglia
su di lei, Balthazar.»
«Lo farĆ² a costo della mia stessa vita.»
Il cardinale guardĆ² ancora una volta la ragazza,
ricordando con una fitta al cuore l’amore che l’aveva trascinato nella
distruzione ma felice di rivedere sua figlia dopo sedici anni di esilio. UscƬ
dalla porta, richiudendola alle sue spalle; il buio li avvolse un’altra volta
mentre lui la stringeva tra le braccia.
«Deanira, angelo mio.»
«Balthazar, il mio demone.»
«Una ben strana coppia» sussurrĆ² lui prima di insinuarsi
nella sua bocca, prepotente. PensĆ² che Deanira fosse l’essenza del piacere. La
sentƬ stringergli le braccia intorno al collo mentre il cono di luce si
riapriva dinanzi a loro.
«Dove mi stai portando?» gli mormorĆ² a fior di labbra.
«Nel mio letto» le rispose, prima di ricominciare a
baciarla e balzare attraverso il portale spazio temporale.
Vivo in Liguria in una casa affacciata sul mare, tra
gelsomini, mimose e ortensie, i miei fiori preferiti; una vita molto
tranquilla, almeno nei week-end. Ho fatto un percorso di studi in lingue
straniere e in seguito un diploma in infermieristica pediatrica. Amo i libri,
tutti, dai grandi classici ai super moderni d’oggi. Ho una passione per i
romanzi “passion” dove l’erotismo la fa da padrone, e per i paranormal; demoni
e vampiri, questi affascinanti personaggi mi attraggono come un’ape sul miele!.
Ascolto musica rock: Guns N’ Roses, Angra, Skid Row, Iron Maiden e Velvet
Revolver sono i miei preferiti. Quando scrivo in sottofondo c’ĆØ sempre, e
ripeto sempre, della musica perchƩ fa parte di me, ogni testo mi ricorda
qualcosa, un attimo particolare della mia vita, un momento speciale. Canzone
preferita? “Sucker train blues” dei Velvet Revolver, ma ce ne sarebbero anche
molte altre…Non guardo quasi la tv, ormai per quel che mi riguarda c’ĆØ ben poco
da vedere eccetto qualche documentario o film. Sono una nottambula, soffro
d’insonnia e adoro la notte, il cielo illuminato dalle stelle, il silenzio che
mi circonda come un mantello. Amo anche il freddo, glaciale, nevoso, piĆ¹ gelo
c’ĆØ meglio mi sento. Rifuggo l’estate ma la devo affrontare per amore di mia
figlia che adora il mare; se potessi scapperei in Alaska a primavera e tornerei
in autunno! Sono pignola e talvolta logorroica, intransigente con me stessa e
col prossimo. Ho pochissimi amici che conto sulle dita di una mano, amici veri
che non mi hanno mai delusa. Ho un carattere difficile, intollerante a molte
cose, permaloso e troppo duro, forse dovrei ammorbidirmi un poco, ma si sa che
con l’etĆ si peggiora..!! Mio papĆ e mia mamma sono profughi giuliani, facenti
parte dei circa 40.000 emigrati italiani che lasciarono la loro casa dopo
l’avvento di Tito. Ci tengo a dire che Fiume, nell’anno in cui essi nacquero,
era di appartenenza italiana, noi siamo italiani veri. PiĆ¹ tardi, nel 1947, la
bellissima cittĆ del golfo del Quarnero ĆØ stata tolta all’Italia e annessa alla
Jugoslavia. I miei genitori hanno dovuto lasciare tutto quello che possedevano
scegliendo il nostro paese e ricominciare una nuova vita lontano dalla loro
cittĆ natale che ancor oggi amano, seppur perduta. Sono abbonata alla rivista
“La voce di Fiume” e sono orgogliosa di dichiararmi “mula fiumana”
Visita il sito dell'autrice:
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Potete trovare qui i racconti di "Amore fra le righe 2013"
Racconto molto bello sia per trama che per ambiantazione e descrizioni....
RispondiEliminama ora mi chiedo: un uomo cosi che mi sbuca fuori in casa mia mai??? =)
Comunque complimenti Simona =)
Ambientazione molto bella che si accorda bene con la dimensione paranormal. A me le storie di demoni, streghe e di trame segrete del Vaticano intrigano da morire.
RispondiEliminaFinale un po' affrettato per la storia d'amore, ma un racconto ha dei limiti. Ora non mi resta che chiedere di poter sapere qualcosa di piĆ¹ di Valefar e della confraternita della croce. Simona, esaudirai il mio desiderio?
Bel racconto!
Intenso, appassionante, magico e misterioso....Complimenti cara Simona, ma non avevo dubbi avendo giĆ letto altri tuoi lavori...:-))))
RispondiEliminaSpero non sia finita qui...vogliamo saperne di piĆ¹, sia di Deianira e Balthazar che di Valefar e Caterina...senza trascurare gli altri componenti(so che ci sono giĆ nella tua mente e nel tuo cuore) della Compagnia della Croce!
Grazie splendida anteprima....;-)!
Belloooo! Questo racconto ĆØ praticamente un romanzo fatto!
RispondiEliminaSei molto brava a pennellare le atmosfere. Brava.
RispondiEliminaMonica Montanari di Mamma Editori.
Ho letto solo ieri questo racconto... Mea culpa! Chiedo venia!
RispondiEliminaMERAVIGLIOSO!!!!!!
Posso sperare che la storia diventi prima o poi (piĆ¹ prima che poi) un libro? O una serie? ^^
Vorrei sapere di piĆ¹ su Deianira e Balthazar, ma soprattutto su Caterina e Valefar!
Questo Demone Duca mi ispira parecchio... dove ne trovo uno per me?
Veramente un racconto molto bello!
RispondiEliminaI personaggi sono strutturati molto bene e caratterizzati in modo intrigante.
Mi unisco alla richiesta delle altre ragazze.
Spero di poter leggere presto almeno un altro racconto che ci parlerĆ ancora della coppia Balthazar/Deanira ma soprattutto vorrei scoprire di piĆ¹ sul tenebroso Valefar e sul legame che ha con Caterina.
Bravissima Simona, veramente mi hai conquistata!!! ^_^