"Il volto di un uomo è la sua autobiografia. Il volto di una donna è la sua opera di fantasia."
Oscar Wilde
Un volto, una vocazione, l'amore di una vita nel racconto "LA MUSA" di Anita Borriello.
Ogni giorno indossiamo
una maschera, la maggior parte di noi lo fa inconsapevolmente creando una
proiezione di quello che vorrebbe essere per farsi accettare dagli altri. È
soltanto quando incontriamo qualcuno a noi simile che la togliamo perché quando
si conosce la persona giusta bisogna essere onesti e mostrare chi siamo in
realtà o rischiamo di perderla.
E feci proprio così
quella sera, le mostrai il vero Gustav, quello che in pochi conoscevano perché
lei, per qualche congiunzione astrale o piano divino, era lì per rendermi un
uomo migliore di quel che ero diventato negli ultimi anni. Era innegabile: il
successo e il denaro mi avevano trasformato travolgendomi in una vita che non
mi piaceva e che non sentivo appartenermi.
Arrivai a Villa Szeps in
ritardo, avevo perso la cognizione del tempo; dalla morte di mio padre e di mio
fratello, avvenute qualche mese prima, non riuscivo più a dipingere. Il dolore
bloccava sia la mente che la mano. Stavo colorando la maschera per il veglione
serale quando l’immagine di un albero, un albero della vita per la precisione,
irruppe nella mia testa portando con sé quella voglia di creare che credevo
ormai di aver perso.
«Finalmente! Ci stavamo
preoccupando» mi disse Arthur appena mi avvicinai al divanetto dove erano
seduti. Lui e Sigmund erano i miei migliori amici, completamente agli antipodi
per carattere, vivace ed estroverso il primo, serio e introverso il secondo.
«Non è da te ritardare a
Villa Szeps» confermò Sigmund. Eravamo tutti e tre degli assidui frequentatori
della casa; Berta, la proprietaria e figlia del più famoso editore di tutta
l’Austria, organizzava spesso feste per pochi eletti e noi eravamo fra questi.
Ci eravamo guadagnati tutti, per motivi differenti, un po’ di celebrità ed era
obbligatorio che partecipassimo a certi eventi.
«Sì, scusate» tagliai
corto. Non mi andava di dire loro il motivo del mio ritardo, un po’ era per
scaramanzia, non parlavo mai a nessuno delle mie creazioni prima di terminarle,
e un po’ perché in generale non era da me dare spiegazioni.
«Bah, non ti sei perso
molto. La moglie del generale ci prova come al solito con il giovane Albert
sotto gli occhi del marito, gli Schmidt si lamentano della nuova istitutrice,
Sophie racconta il suo ennesimo viaggio a Parigi e gli altri sembrano dei morti
viventi.» Arthur fece il sunto di cosa mi ero perso, nulla di interessante.
«Potresti scriverci un
libro» commentò caustico Sigmund.
«In realtà ci stavo
pensando, l’ambientazione carnevalesca potrebbe anche andar bene, è solo che
dovrei cambiare totalmente i personaggi per dargli un po’ di brio e mistero.»
«Potresti prendere
spunto dalla moglie del generale e il suo tradimento, quella donna non riesce proprio
a distinguere il sogno dalla realtà» sentenziò Sigmund.
Arthur rifletté qualche
attimo sulle parole del nostro amico per poi rispondere: «Interessante, potrei
prendere spunto da qualcuna delle tue teorie sui sogni e chiamarlo proprio
Novella del Sogno oppure Doppio Sogno.»
Seduto sul divanetto
accanto a loro esclusi l’udito perché conoscendoli avrebbero parlato per ore
dello stesso noiosissimo argomento; iniziai ad ammirare il salone in cui ci
trovavamo, i mobili erano stati spostati per creare una vera e propria pista da
ballo nello spazio centrale della stanza. In un angolo dei musicisti si
guadagnavano da vivere suonando pezzi tipici della nostra tradizione e facendo
ballare le persone più influenti della città. Il valzer andava per la maggiore
e sebbene non tutti conoscessero i passi erano in molti a provarci.
Riconobbi la maggior
parte dei partecipanti alla serata oltre le maschere che indossavano, era una
sorta di dono che avevo. Ai tempi della scuola d’arte mi era stato insegnato di
osservare attentamente i dettagli e con l’esperienza ero diventato talmente
bravo a farlo che veniva quasi naturale.
«Gustav cosa ti succede
stasera? Ci sono molte signorine che ti guardano per esser invitate a ballare.»
Anche Sigmund, per la
professione che svolgeva, era un attento osservatore. Ultimamente mi recavo al
civico 19 di Berggasse non solo per prendere una tazza di tè con lui ma anche
per parlare del mio blocco.
«Non ne ho molta voglia,
e poi ho già ballato con la maggior
parte di loro e non sono un granché» risposi svogliatamente perlustrando con lo
sguardo quell’insieme di pizzo, parrucche e abiti voluminosi.
E fu proprio in
quell’istante che la vidi per la prima volta.
Di primo acchito mi
colpì la sua maschera, non era come tutte le altre, nessun nastro di raso la
bloccava dietro la nuca. Era dipinta e la tecnica sembrava notevole ma ero
troppo distante per carpirne i segreti.
«Vado a prendere
qualcosa da bere, torno subito» dissi ai miei compagni nel lasciare la
postazione. Dovevo avvicinarmi di più.
Con nonchalance mi
appoggiai, bicchiere alla mano, a una delle colonnine che delimitavano le
scale, le ero a pochissimi metri di distanza.
Era alta circa quanto me,
corporatura formosa ben fasciata dal bustino, capelli castano scuro acconciati
secondo la moda del momento e abito blu che metteva in risalto un fantastico
decolté. In quel mare di perbenismo e austerità era un’onda anomala, di quelle
che ti travolgono togliendoti il fiato.
Stava parlando con Berta
e sua sorella Sophie, dovevo approfittarne per avvicinarmi.
«Complimenti Berta,
magnifica festa», attaccai bottone rivolgendomi alla proprietaria di casa,
quest’ultima avrebbe seguito l’etichetta e mi avrebbe presentato quella
splendida creatura.
«Oh grazie Gustav, sono
felice che sia riuscito a venire. Le mie feste non sarebbero le stesse senza di
lei» rispose l’adulatrice. Berta, come suo padre, era molto brava
nell’amalgamare parole e retorica per imbonirsi gli altri.
«Troppo buona» le dissi
con finto imbarazzo.
«Già conosce mia sorella
Sophie, vero?»
«Sì, certo. Incantevole
come sempre» mentii nel baciarle la mano facendole avvampare le gote. Sophie
era una ragazza nella media che di certo non si ricordava per la sua bellezza.
«Non credo che conosca
invece Fräulein Emilie Flöge, cara amica di mia sorella.»
“Emilie.”
«No, infatti. Piacere,
Gustav Klimt.»
Ufficializzammo la
conoscenza con un baciamano così come voleva il cerimoniale. La sua pelle
profumava di spezie afrodisiache ed era così morbida da suggerire che non avesse
mai lavato un solo piatto in vita sua.
Quando rialzai il busto
mi accorsi che gli occhi le brillavano ed era diventata tutta rossa in viso,
conoscevo molto bene quel genere di sguardo. Non le ero indifferente.
«Berta, è arrivato
l’ambasciatore francese, dovremmo fare gli onori di casa» disse miracolosamente
Sophie tirando via la sorella per un braccio. Forse si era accorta anche lei
dell’effetto che facevo all’amica.
«Certo. Con permesso.»
Rimanemmo soli.
Emilie non doveva avere
più di diciotto anni, era molto giovane. Lo sapevo bene perché avevo visto
molti corpi femminili e il suo aveva la tonicità tipica di quell’età.
Ora che le ero a un
passo potevo osservare meglio la maschera che si era dipinta sul volto.
“Ingegnoso.”
Aveva appoggiato sul
viso del merletto e aveva tinto gli interstizi vuoti della trama con della
pittura dello stesso colore dell’abito che indossava. In alcuni punti era un
po’ sbavato ma la realizzazione era tutt’altro che approssimativa. Mi sembrò un
ottimo spunto di conversazione visto il mestiere che facevo.
«Fräulein Flöge...»
«La prego, mi chiami
Emilie.»
«Come desidera, Emilie»,
deglutii nervosamente.
“Che mi sta succedendo?” Non era da me innervosirmi davanti a una
donna.
«Volevo farle i miei
complimenti per la sua maschera, è la più bella di tutte stasera» ammisi con
estrema sincerità. Doveva aver trascorso molte ore nel realizzarla, era giusto
che qualcuno le rendesse giustizia.
«La ringrazio Herr
Klimt...»
«Mi chiami Gustav» la
interruppi.
«Va bene Gustav» mi
disse abbassando il capo con disagio, era molto timida. «Detto da lei, è un
vero onore» continuò con un cenno di sorriso.
Emilie aveva dei tratti
somatici singolari che raramente avevo visto nelle donne viennesi: capelli
ricci, labbra rosso fragola e naso aquilino. Ero stanco di disegnare sempre gli
stessi soggetti e lei aveva tutte le carte in regola per diventare la prossima
musa.
C’era qualcosa in quella
giovane donna che mi ipnotizzava e non riguardava soltanto il suo aspetto
fisico. Aveva il portamento di un’aristocratica ma a vedere la scarsa quantità
di gioielli che indossava non doveva esserlo. Emilie era dannatamente
seducente, così tanto che nella mia mente iniziai a figuramela avvolta solo in
una stola di seta troppo piccola per contenere tutta la sua nudità.
“Nessuna fede al dito”, notai con sollievo ed eccitazione.
«Nell’amore ci
accorgiamo per lo più troppo tardi se un cuore ci è stato dato solo in
prestito, se ci è stato donato oppure se ci è stato addirittura sacrificato» ci
interruppe Arthur.
“Maledetto paroliere!”
Il mio caro amico era
molto amato dalle donne non solo per il volto d’angelo che la natura gli aveva
donato ma soprattutto perché aveva il potere di conquistarle con pochissimi
vocaboli scelti con sapienza. Questa volta però non gli avrei permesso di
rubarmela.
Conoscevo Emilie da un
battito di ciglia eppure una parte di me, quella governata dal puro istinto, mi
diceva che fosse proprio lei la donna che cercavo fra le lenzuola di tutta
Vienna.
«Quanto piacevole può
esser il sacrificio se fatto con passione» proseguì Sigmund; per lui l’amore
era solo una giustificazione per il sesso. Durante la nostra ultima seduta
terapeutica aveva ribadito più volte che fossi pieno di sensi di colpa per le
stragi di cuori che facevo e che i miei incubi erano un evidente campanello
d’allarme.
“E meno male che sono i miei migliori amici!”
Con la spavalderia che
li contraddistingueva da tutti gli altri uomini presenti alla festa si
presentarono baciandole la mano senza esser introdotti da qualcuno. Guardavo con
gelosia quelle bocche così familiari appoggiarsi su quella pelle che tanto
desideravo avere soltanto per me.
Proprio mentre stavo per
dire qualcosa di sgarbato per allontanarli Emilie risolse inaspettatamente la
situazione: «Gustav, le andrebbe di ballare?»
E fu in quella fredda
notte di Carnevale, fra maschere e sfarzo, che la mia musa mi scelse per tutta
la vita.
L'autrice:
Nel 2003 inizia a lavorare come WebWriter Freelance creando contenuti editoriali e grafici per la rete.
Nel 2011 esordisce con il romanzo Brûlant, primo volume dell’omonima quadrilogia esoterica.
Nel settembre 2012 avvia il progetto “Elements Tales”, un’antologia urban fantasy scritta assieme alle autrici: AllegraBellini, Giulia Borgato, Christiana V e Paola Scamuzzi. L’antologia è composta da cinque racconti che richiamano i cinque elementi all’interno del pentacolo: spirito, acqua, terra, fuoco e aria. Il racconto di Anita Borriello, Gocce di Memoria, è il secondo in ordine di apparizione; l’autrice ha voluto unire il mito della Lorelei tedesca, rifacendosi alle teorie Paracelsiane degli esseri elementali, alla leggenda del nazismo esoterico che ruota attorno al castello di Wewelsburg. Il racconto è arrivato secondo classificato al voto del pubblico durante il Premio Selvaggia 2013 organizzato dall’Associazione culturale “Soliloquiamente”.
Nell’ottobre 2013 vince il primo posto del concorso “Antologia viaggi stregati” con il racconto: Il ballo della luna blu, racconto che verrà pubblicato in formato ebook e scaricabile gratuitamente.
Infine, nel dicembre 2013 esce il secondo volume della saga Brûlant intitolato Indigo.
Vorrei ringraziare lo staff di Insaziabili Letture e i membri della giuria per aver inserito il mio racconto fra i sei finalisti al concorso Dietro la Maschera, è un vero onore per me.
RispondiEliminaGrazie infinite.
Quando ho letto il bando del concorso e la tematica del Carnevale mi è venuta subito in mente la scena del ballo in maschera presente in “Doppio Sogno” di Arthur Schnitzler diventata famosissima nel film “Eyes wide shut” di Stanley Kubrick. Il titolo originario del romanzo è “Traumnovelle” che tradotto in italiano sarebbe: Novella del Sogno. Schnitzler scelse questo titolo in onore del suo caro amico Sigmund Freud e del suo celebre “Die Traumdeutung”, ovvero, L’interpretazione dei sogni.
I personaggi di Arthur e Sigmund sono stati creati prendendo spunto dai protagonisti di un’altra opera di Schnitzler poco conosciuta, Anatol, una delle mie preferite.
Nella Vienna di fine Ottocento viveva anche un altro artista che amo particolarmente e che era amico dello scrittore e di Freud, il pittore Gustav Klimt.
Nel 2012 mi sono recata nella capitale austriaca per il 150esimo anno dalla sua nascita e ho potuto ammirare, oltre alle sue opere, tutta la corrispondenza e le foto che riguardavano lui e le persone a lui care e fra queste c’erano anche Arthur e Sigmund. Sono inoltre andata al civico 19 di Berggasse dove ancora oggi è possibile visitare la casa/studio del padre della psicoanalisi diventata un vero e proprio museo.
Ricordo di esser rimasta colpita dall’amicizia dei tre e volevo rendere loro omaggio inserendoli nel mio racconto ma mancava la giusta ambientazione, non poteva avvenire in una casa qualsiasi di Vienna. Ho scelto Villa Szeps perché era uno dei luoghi di incontro che tutti e tre frequentavano. Berta, figlia di uno dei più facoltosi editori austriaci, era una scrittrice e critica d’arte e invitava spesso nel suo salotto personaggi famosi dell’epoca fra i quali i tre amici. Sarà proprio il marito di Berta, Emil Zuckerkandl, Direttore della scuola di medicina di Vienna, ad aiutare Klimt nello studio dell’anatomia umana. Studio che ha applicato poi magistralmente all’interno delle sue opere.
Infine, mi ha sempre affascinata la storia d’amore fra Klimt ed Emilie Flöge. Malgrado la quantità imbarazzante di tradimenti di lui e il fatto che non volesse sposarla, lei gli è rimasta accanto fino alla morte dimostrando un amore e una devozione che forse non tutte le donne contemporanee avrebbero nei confronti del proprio partner. In rete sono reperibili numerose foto che raffigurano i due assieme e il quadro che mi ha ispirato il titolo che ritrae Emilie proprio con l’abito blu citato.
Ho voluto quindi unire tutti questi elementi per la stesura di questo umile racconto con la speranza che sia di vostro gradimento.
Anita
Anita la tua conoscenza traspare tra le righe e cosa più importante sei stata capace di trasmetterla nel racconto con leggerezza. E' stato un piacere ritrovare questi tre personaggi a un ballo a Vienna, è stato bello veder rievocate cose che molti pensano siano rilegate solo ai testi scolastici senza sapere che la cultura è VIVA!
EliminaBrava!
Grazie Angela, è una gioia poter leggere un commento come questo.
Eliminabravissima
RispondiEliminaGrazie!
EliminaOrgogliosa di te, e onorata di far parte della tua vita!
RispondiEliminaGrazie Helas )O(
EliminaUff io avevo commentato!!!
RispondiEliminaBel racconto e bello il ritratto di Klimt che hai fatto!
Brava!!!
:D :D
EliminaGrazie mille!
Anita ha una mente sempre in evoluzione che incamera tutto quel che vede e lo tira fuori dopo un'attenta elaborazione quando meno te l'aspetti.
RispondiEliminaIl risultato? MAI scontato! Gradevole, impegnato senza darlo a vedere, unico nel suo genere. Dire che l'amo è poco... Bravissima!
Grazie Crì, sai che il tuo giudizio è importantissimo per me!
EliminaVeramente molto, molto bello e confesso che la frase finale mi ha fatto venire la pelle d'oca! :) Davvero originale l'idea, mi è piaciuto tantissimo.
RispondiEliminaGrazie Elena!
EliminaL'unico che mi è piaciuto :) brava
RispondiEliminaGrazie Lidia! :*
EliminaAnita scrive sempre benissimo. Non posso non votare anche questo suo racconto! Brava!!!
RispondiEliminaGrazie Serena! :*
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