Un amore taciuto per anni, la paura di rischiare... questo è tanto altro in un racconto che vi farà sospirare!
Per la rassegna "Amore fra le righe" la bravissima Emiliana Erriquez ci delizia con "LA BAMBOLA DI PEZZA". Un suggerimento? In amore non è mai troppo tardi!
“Non lo so, mi sembra un’idea assurda.”
Il tono di Jack era piuttosto divertito,
ma Kate decise di ignorarlo. Continuò a giocherellare con una delle piccole
bambole di pezza allineate sulla sua scrivania, che proprio lui le aveva
regalato negli anni. In fondo, poteva decidere di reagire a quel tono che la
infastidiva, o continuare imperterrita a sostenere la sua tesi.
“Dico solo che sarebbe un’ottima idea
organizzare una festa per il lancio del nuovo libro del nostro cliente.”
Jack la guardò come se avesse appena
detto una delle sue assurdità. “E come pensi di riuscire a gestire tutto? Te ne
rendi conto, o no? Una festa, Kate. Una festa!”
Kate guardò Jack, esasperata. Ormai era
più di un’ora che cercava di convincerlo.
“Posso farlo!”
Si alzò dalla sua scrivania, in
quell’ufficio di provincia che divideva con il suo amico e collega, alla
periferia di Houston. Da quando avevano aperto la loro agenzia letteraria,
circa due anni prima, i clienti erano arrivati talmente in fretta che c’erano
giorni in cui era difficile riuscire a gestire tutto senza lasciarsi prendere
dall’ansia.
“Non cambierai mai, vero?” la canzonò
lui, raggiungendola vicino alla finestra. La guardò con affetto, sorridendo.
Fuori il sole scaldava la città da ore,
da quando Kate si era alzata quella mattina e aveva affondato la testa nella
sua tazza di cereali alla cannella e nel solito bicchierone di caffè, con
aggiunta di creamer, per riuscire a svegliarsi dopo una notte tormentata.
Si girò verso Jack, la cui vicinanza la
turbava da un tempo che non riusciva nemmeno più a ricordare. Aveva un viso
pulito, si era probabilmente rasato come ogni mattina. Per un attimo pensò al suo
viso vent’anni prima, la barba quasi sempre incolta, i capelli appena un po’ lunghi
e spettinati e quell’aria costantemente concentrata su qualcosa.
Avrebbe mai trovato il modo di
confessargli la verità?
“Che cosa vuoi dire?” gli chiese un po’
risentita.
“Quando ti metti in testa qualcosa non
c’è verso di convincerti del contrario” le ricordò lui, guardando fuori dalla
finestra verso un palazzo in mattoni di soli due piani che racchiudeva gli
uffici scolastici del quartiere.
Kate inspirò a fondo. Forse aveva ragione,
Jack. Lui era sempre così pratico e realista, mentre Kate amava immaginare
possibilità assurde.
“Devo dirti una cosa…” aggiunse Jack,
cambiando argomento e tornando verso la sua scrivania.
Kate lo vide prendere una cartellina,
voltarsi e tornare a guardarla nel suo modo deciso che ormai aveva imparato ad
amare e che invece, da ragazzina, le incuteva un certo timore.
“Ho una cliente davvero, davvero preziosa”
disse lui e le allungò la cartellina che Kate si affrettò a prendere,
avvicinandosi a lui.
“Sempre pronto a concentrarti sul lavoro,
eh?” gli fece notare cominciando a sfogliare il plico di documenti che la
cartellina conteneva.
Jack attese qualche minuto la sua
reazione.
“Non ci posso credere!” sbottò lei
entusiasta. “Jane Roberts! La scrittrice texana del momento! Ma come hai
fatto?”
Jack sorrise, sodisfatto. “Ho le mie armi
segrete” disse solo con una luce maliziosa negli occhi.
Kate provò un fastidio improvviso e tentò
di ignorare cosa quella frase potesse significare e chi avesse beneficiato delle
sue armi segrete. Una acuta fitta di gelosia colorò le sue guance scarne.
“Bene” disse in modo sbrigativo,
richiudendo la cartellina e porgendogliela nuovamente.
Jack la scrutò senza capire. “Che ti
prende?” le chiese sorpreso, cercando di studiare il suo volto.
Kate fece il giro della sua scrivania e
tornò a sedersi, guardando le sue bambole di pezza. Un raggio di sole le
illuminava, proiettando la sua luce su quella stoffa liscia e colorata.
“Kate?” la chiamò Jack. “Ci sei?”
Kate sollevò lo sguardo nella sua
direzione, lo vide avvicinarsi, la fronte corrugata e l’espressione di chi
sembra essersi perso qualcosa. Se solo avesse potuto raccontargli la verità, si
sarebbe sbarazzata di quel peso che aveva da anni sul cuore.
“Sì… ottima cliente, hai ragione” rispose
in tono pratico. “Ora scusami, devo tornare al lavoro.
Ho alcune mail da spedire e devo scrivere una scheda di valutazione per un libro arrivato la settimana scorsa. Sono già in ritardo” e così dicendo finse di concentrarsi sul monitor del suo computer.
Ho alcune mail da spedire e devo scrivere una scheda di valutazione per un libro arrivato la settimana scorsa. Sono già in ritardo” e così dicendo finse di concentrarsi sul monitor del suo computer.
Con la coda dell’occhio, vide Jack che
scuoteva la testa, riponeva la cartellina al suo posto e afferrava la giacca
dall’appendiabiti accanto alla porta.
“Dove vai?” si informò cercando di far
sembrare il suo tono non troppo curioso.
“A parlare con la nostra nuova cliente,
ho un appuntamento con lei tra trenta minuti.”
Quando la porta si richiuse, Kate lasciò
perdere il suo computer e si appoggiò allo schienale della sedia fissando un
punto nel vuoto.
Forse la sua reazione era stata un po’
esagerata, ma le continue allusioni di Jack alle ‘sue armi segrete’ le davano
sui nervi. La verità era, però, che avrebbe voluto poter scoprire quali fossero
lei stessa.
C’erano giorni in cui pensava che non
fosse stata una buona idea decidere di condividere il proprio lavoro e gran
parte della giornata lavorativa con lui.
Senza considerare quello che lei provava
per lui.
E che aveva sempre provato.
E mai avuto il coraggio di rivelargli.
Si sentiva così stupida, come
un’adolescente travolta dalle sue stesse emozioni.
Jack, dal canto suo, non le aveva mai
concesso molto. Non aveva mai mostrato di avere un interesse per lei che non
fosse solo dettato dalla lunga amicizia che li legava. Vent’anni. Si erano
conosciuti tra i banchi di scuola, ancor prima dell’università. Avevano
condiviso infinite ore di studio pomeridiane, scherzato per anni sul reciproco
modo di essere, passato momenti indimenticabili come solo due persone cresciute
insieme avrebbero potuto fare.
Che cosa erano adesso? Due amici? Due
colleghi? Due persone che avevano deciso di condividere un pezzo di vita
insieme ma quando sarebbe arrivato il momento ognuno sarebbe andato per la
propria strada?
Si alzò dalla scrivania, avvicinandosi
alla finestra da cui vide Jack mentre si infilava nella sua auto parcheggiata
sotto l’ufficio in quel suo modo singolare che faceva venir voglia di fargli
subito una multa. Sorrise confidando nel fatto che probabilmente un giorno
avrebbe imparato a parcheggiare meglio.
Quando avrebbe impiegato lei, invece, a
capire che Jack era fuori dalla sua portata e che non poteva darle quello che
invece lei desiderava in modo così prepotente?
Sospirò, continuando a guardare la strada
anche molto tempo dopo che Jack se ne era andato. Una lunga via, una piccola
arteria ai margini della città, piena di traffico e vitalità.
Amava la sua città. Houston era sempre
piena di sole, come lo stesso Texas. Amava avere la possibilità di rifugiarsi
nel ranch di famiglia durante il fine settimana e allentare un po’ di quella
tensione che la costante vicinanza di Jack le provocava ogni giorno. Amava
cavalcare la sua Brady, uno stallone - regalo di suo padre per il suo
diciottesimo compleanno - e perdersi tra i boschi senza più vincoli, sentirsi
libera di scappare da tutto ciò che la rendeva infelice.
“Dovresti trovarti un uomo” le ricordava
sua madre di tanto in tanto, con quel suo tono di rimprovero malcelato. Come se
trovarsi un uomo qualunque sarebbe bastato a cancellare quello che lei provava
per Jack, e per Jack solo.
Stargli accanto ogni giorno, doveva
riconoscere, era un limite. Le impediva di concentrarsi su se stessa, di
frequentare altre persone, perché troppo presa da lui.
“Dovresti uscire di più, sei sempre
rinchiusa in quest’ufficio…” le aveva detto proprio Jack almeno un migliaio di
volte.
“Come fai tu?” era stata la sua acida
risposta.
“Certo!” aveva ammesso lui candidamente.
“Non ti fa bene rinchiuderti tutto il giorno qui, tornare a casa e poi tornare
di nuovo al lavoro la mattina dopo. Nel weekend te ne vai dai tuoi, e
praticamente non fai vita sociale…”
Era rimasta in silenzio, non aveva avuto niente
da replicare.
La vita era già abbastanza difficile con
lui dentro l’ufficio, dentro i suoi pensieri, tutto il giorno, non aveva
bisogno che fosse lì pronto a ricordarle di darsi una svegliata.
Se le avesse confidato quello che provava
per lui, non avrebbe avuto altra scelta che cercarsi un altro posto in cui
stare. Ma aveva bisogno di quel lavoro, come l’aria per respirare, della sua
indipendenza. Non voleva tornare al ranch e farsi viziare dai suoi genitori
perché avrebbe rischiato di soffocare. Era disposta a subire quel dolce
supplizio in cambio.
“Per lo meno, lo vedo ogni giorno…” era
la sua magra consolazione. Anche se questo significava ingoiare il dolore di
non poterlo amare apertamente e subire il racconto delle sue avventure amorose.
Si voltò dando le spalle alla finestra e
alla strada. Diede un’occhiata in giro, ammirando tutto
quello che insieme erano riusciti a costruire. Regnava un po’ di confusione creativa, come la chiamava Jack, ma l’ufficio aveva l’aspetto di un posto moderno, professionale, affidabile. Non avrebbe rinunciato a tutto quello solo perché non era capace di tenere a bada i suoi sentimenti. Tornò verso la scrivania e all’improvviso, mentre stava per sedersi, qualcuno bussò alla porta.
quello che insieme erano riusciti a costruire. Regnava un po’ di confusione creativa, come la chiamava Jack, ma l’ufficio aveva l’aspetto di un posto moderno, professionale, affidabile. Non avrebbe rinunciato a tutto quello solo perché non era capace di tenere a bada i suoi sentimenti. Tornò verso la scrivania e all’improvviso, mentre stava per sedersi, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti!” disse subito lei.
La porta si aprì, Kate si sedette mentre
una giovane donna entrava nel suo ufficio.
“Prego! Si accomodi” disse. Poi la guardò
meglio. E comprese di trovarsi di fronte a Jane Roberts, la famosa cliente con
cui Jack aveva detto di avere un appuntamento.
“Oh…” si alzò immediatamente e le andò
incontro, corrugando la fronte. “Credevo che avesse un appuntamento con il mio
socio…” disse stringendole la mano. “Sono Kate Foster.”
“Lo credevo anche io” rispose la donna
accennando un sorriso. “Ma Jack McLinn mi ha chiamato dicendomi di presentarmi
in ufficio perché lui aveva una questione da sbrigare e che la sua collega
avrebbe potuto aiutarmi meglio di lui.”
Era giovane, bella e determinata. Una di
quella persone da cui Jack era solito fuggire. Chissà cosa aveva combinato
questa volta per cercare di evitarla.
“Sì, certo” rispose in fretta Kate,
passandosi una mano tra i capelli.
Questa
me la paghi, Jack.
“Sono qui perché volevo rivedere con lei
alcune clausole del nostro contratto…” cominciò a spiegare la donna, prendendo
posto di fronte a Kate.
“Mi dica…” rispose lei, cercando di
prestare attenzione alle sue parole.
Nelle due ore successive, Kate riuscì a
convincere la loro cliente esigente e pignola della validità del contratto che
aveva infine deciso di firmare. Sorrise, cercò di essere educata, spiegò ogni
dettaglio, chiarendo i dubbi che sistematicamente le sue parole suscitavano in
lei.
Con il contratto ormai firmato tra le
mani, infine Kate tirò un sospiro di sollievo appoggiandosi alla porta
dell’ufficio che aveva appena richiuso alle sue spalle, dopo che la donna era
andata via sorridendo soddisfatta.
All’improvviso, mentre era lì a
rimuginare su quanto accaduto, sentì spingere la porta alle sue spalle.
“Ehi” udì la voce di Jack. “Che ci fai
sulla porta?” chiese lui entrando nell’ufficio e spingendola in avanti, tanto da
farla quasi inciampare, stringendo una busta tra le mani.
“Ho appena salutato la nostra famosa
cliente” disse Kate in tono di rimprovero.
“Oh, è passata? Bene!” rispose Jack
lasciando la busta sulla sua sedia e togliendosi la giacca che ripose
sull’appendiabiti all’ingresso. “Come ti è sembrata?”
Kate lo guardò, incredula. “È tutto
quello che hai da dire? Dove sei stato?” sbottò avertendo un certo disagio
perché non aveva il diritto di fargli il terzo grado, ma non era riuscita a
evitarlo.
Jack ricambiò il suo sguardo senza
capire. “Che intendi?”
“Sei andato via dicendo che dovevi
incontrala e poi lei piomba nel nostro ufficio…” disse sollevando le braccia in
segno di incomprensione.
“Ah, sì… c’è stato un cambio di
programma” ammise Jack con un sorriso, facendo spallucce.
Ogni volta che lo faceva, che le regalava
uno dei suoi sorrisi, il suo stomaco si stringeva, sentiva le gambe cederle.
“Un cambio di programma” ripeté lei,
continuando a fissarlo.
“Smettila di guardami così, che ho fatto
questa volta?” Jack la raggiunse e un’ondata del suo profumo le colpì le
narici. Kate chiuse gli occhi, deglutì.
“Che hai? Stai bene?” disse Jack
mettendole una mano sul braccio.
Kate aprì gli occhi, solo per ritrovarsi
in quelli di lui, ora troppo vicini.
Si guardarono intensamente per un paio di
secondi, solo un paio di secondi, ma Kate credette di morire.
“Hai un’espressione strana, Kate. È tutto
a posto?” il suo tono preoccupato fu come una carezza sul cuore.
“Sì, sto bene” disse allontanandosi da
lui. “Non ho niente.”
Voleva mettere una certa distanza tra
loro, inspirò piano mentre si avviava verso la scrivania. Ma non riuscì a
farlo, Jack afferrò il suo braccio e la spinse di nuovo verso di lui.
“Stai bene, Kate?”
Si ritrovò davanti a lui. Di nuovo quei
suoi occhi, così vicini, così profondi.
Poteva smettere di fingere? Poteva farlo
davvero?
Avrebbe voluto dirgli la verità,
lasciarsi cullare dalle sue braccia, sentire il calore del corpo di Jack attaccato
al suo, non a distanza di sicurezza.
“Jack, io…” cominciò, il tono di voce
incerto. Scosse la testa, cercando di allontanare quel dolore, quei pensieri
confusi che le affollavano la mente.
“Ho una cosa per te!” annunciò Jack a
quel punto.
Kate corrugò la fronte, guardandolo senza
capire. Lo vide afferrare la busta che aveva lasciato sulla sedia.
“Ecco” disse solo lui porgendogliela.
“Per me?” chiese lei con un filo di voce.
Jack fece un leggero cenno di assenso e
se non lo avesse conosciuto bene avrebbe giurato di leggere un po’ di
incertezza nel suo sguardo.
“Perché?” gli chiese.
Jack scrollò le spalle. “Ricordi che
giorno è oggi?” disse lui con un timido sorriso.
“Oggi?” domandò Kate ancora più confusa.
Poi si ricordò. “San Valentino…” sussurrò con il cuore che batteva forte.
“Brava” disse lui avvicinandosi senza
smettere di guardarla.
Kate afferrò la busta e tirò fuori una
piccola, dolcissima bambola di pezza che aveva i colori tenui che lei amava tanto.
“Una bambola” disse, il cuore stretto in una morsa.
Avrebbe potuto resistere ancora?
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Che fai, piangi?” le chiese Jack
accarezzandole una guancia in un gesto che forse aveva desiderato da molto,
troppo tempo.
Scosse la testa, mentre le dita di Jack
le asciugavano le lacrime.
“Non ti piace?” si informò lui.
Non aveva mai usato quel tono con lei,
perché lo stava usando adesso? Era sempre pronto a prenderla in giro, a
beccarla, a rimproverarla. Perché adesso era maledettamente dolce la sua voce?
“È bellissima!” disse sforzandosi di
sorridere.
Non
è giusto, Jack. Perché fai così?
“Kate…”
“Jack…” sospirò, cercando di trovare le
parole giuste. “Grazie” riuscì solo a dire.
“Sono felice che ti piaccia. Ho girato
tutta la città per trovarla e ho anche dovuto inventare una scusa con la nostra
cliente migliore per riuscire a ritirarla in tempo. Quando la proprietaria del
negozio mi ha chiamato dicendomi che era arrivata e che sarebbe stato meglio
che passassi a prenderla subito o l’avrebbe rivenduta, ho dovuto precipitarmi.”
“Perché?” gli chiese lei.
Jack la guardò intensamente. “Piccola
Kate…” disse dolcemente.
Non
chiamarmi come quando eravamo solo due ragazzini, Jack. Non farlo, ti prego.
“Perché?” insistette lei.
“Sei sempre la stessa, timida, piccola
Kate di quando avevamo solo 15 anni.”
Anche tu, Jack. Sei sempre lo stesso.
E
io ti amo da allora.
Ma
questo non posso dirtelo.
“Sai che non sono molto bravo a parlare
di me…” disse lui. “Tu sei sempre stata quella più brava con le parole.”
“Jack…”
“Lasciami finire. Voglio dire, speravo
che i miei gesti fossero stati più chiari…”
“Non capisco…” e poi si voltò
all’improvviso verso la scrivania, verso le bambole di pezza allineate,
illuminate dal sole prepotente di quella mattina texana.
E allora comprese e l’emozione violenta
salì su per la gola, rischiando di travolgerla.
“Jack… io…”
“Ho sempre cercato di farti capire
attraverso le mie bambole quello che sentivo. Insomma, mi conosci. Sono un tipo
spigliato, non ho mai avuto difficoltà con le ragazze, lo sai bene. Ma quando
si tratta di te… io perdo la testa. Vado in confusione, Kate.”
Il suo cuore fece un balzo, e nuove
lacrime scivolarono sul suo viso.
“Per tutto questo tempo mi sono chiesto
come avrei potuto cercare di farti capire quello che provavo. Ho cominciato a
regalarti bambole per caso. Un giorno sono passato davanti ad una vetrina e ne
ho vista una. Ho pensato che potesse piacerti, ti somigliava tanto, era semplice,
piccola, delicata, proprio come te. E poi ogni anno cercavo di trovarne una e
di avere una scusa per regalartela. Il tuo compleanno, Natale, l’inaugurazione
del nostro ufficio. Tu eri lì al mio fianco, mi sostenevi, mi ascoltavi, ne
abbiamo fatte e passate tante insieme. Ma non mi hai mai mostrato di poter
compiere un passo decisivo verso te. Ho sempre pensato che non ci fosse altro
da parte tua che affetto dettato dalla nostra lunga amicizia.”
Fece una pausa, stringendo con più
decisione il suo viso tra le mani.
“È quello che ho sempre pensato anche
io.”
“Poi stamattina ho deciso. Ho colto un
po’ di gelosia nei tuoi occhi. Per la prima volta da quando ti conosco, ho
letto qualcosa di diverso. Non sei stata brava a nasconderlo oggi, come hai
fatto in tutti questi anni. E tanto è bastato per convincermi a tentare.”
Kate sorrise.
Quanto tempo avevano perso? Quante volte
aveva pensato a come si sarebbe sentita tra le sue braccia? Era lì ora e non
riusciva a dire niente, il nodo in gola le impediva di parlare.
“Adesso basta, Kate. Abbiamo perso troppo
tempo.”
La baciò, non con dolcezza, ma con forza,
una forza che anche Kate cominciò ad avvertire dentro, una passione crescente che
cancellò tutta la sua riservatezza e la catapultò in un altro mondo, in un
luogo che aveva desiderato a lungo e in cui sperava di restare per sempre.
Emiliana Erriquez ha una laurea in Lingue e
Letterature Straniere conseguita nel 2002 e un Master in Traduzione
inglese-italiano. Con un passato da giornalista, ora si occupa a tempo pieno di
traduzione dall’inglese all’italiano di libri di autori internazionali dopo
aver vissuto per un breve periodo negli Stati Uniti. È autrice del saggio
‘Oriana Fallaci: una vita vissuta in pienezza’ vincitore del premio Giuseppe
Sciacca 2006, sezione saggistica. Le sue pubblicazioni sono: Lasciami stare
(2007), Not this time (2013), Sono solo una bambina (2015), Il mare è sempre lì
che ti guarda (2015), Raccontami di te (2015).
L’autrice:

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Poche parole per esprimere con una dolcezza infinita questa storia d'amore. Delicata, perfetta per far sognare in questo periodo pieno di emozioni. Complimenti!
RispondiEliminaAmore, dolcezza, tutti gli ingredienti giusti per questo San Valentino. Grazie, Emiliana!
RispondiEliminaHo le farfalle nello stomaco! Molto dolce e tenero questo racconto, un'amicizia sfociata in un amore tanto desiderato. Sono ancora qui che sospiro. Bravissima!
RispondiEliminaDolce come uan scatola di cioccolatini di San Valentino! Semplicemente perfetto!
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