Vi lasciamo alle porte di San Valentino con un ultimo racconto della rassegna "Amore fra le righe".
Oggi, Catherine BC vi porterĂ in un mondo competitivo, difficile, popolato da uomini e donne ambiziosi: il giornalismo! Tra un articolo e l'altro ci sarĂ spazio per l'amore? Scopritelo in "UN AMORE DA PRIMA PAGINA"!
Oggi, Catherine BC vi porterĂ in un mondo competitivo, difficile, popolato da uomini e donne ambiziosi: il giornalismo! Tra un articolo e l'altro ci sarĂ spazio per l'amore? Scopritelo in "UN AMORE DA PRIMA PAGINA"!
Colin e Violet sono
colleghi, entrambi giornalisti, e si ritrovano alla stessa conferenza stampa a
dimostrare a se stessi e agli altri che valgono molto di piĂ¹ di quanto un nome
importante nel settore e una presenza avvenente possano concedere. Sembrano
cinici, fin troppo diretti e protesi unicamente al successo lavorativo.
Tuttavia, un banale incidente rivelerĂ che, oltre le apparenze, entrambi hanno
molto da offrire e farĂ loro capire che l’amore non è una debolezza. Il tutto alla
vigilia del giorno di San Valentino. SarĂ un segno del destino?
Nota autrice: Il racconto è ambientato nei nostri giorni, ma
fa riferimento a eventi passati realmente accaduti, quali la guerra in Iraq e
lo scandalo Watergate. Robert Woodward ha vinto veramente il premio Pulitzer
per l’inchiesta che portĂ² alle dimissioni di Nixon nel 1974, non insieme a Colin
Fire, naturalmente, ma con Carl Bernstein. Non ho avuto la pretesa di parlare
di argomenti così complessi, né di far demagogia alcuna. Ho usato questi eventi
per dar spessore al personaggio di Colin e per contestualizzare il tutto.
Mi
guardo attorno per essere sicuro di non dimenticare nulla. Partire mi dĂ sempre
un senso di malinconia, anche se è solo per pochi giorni. Negli anni non ci ho
fatto l’abitudine. Evidentemente fa parte del mio essere, anche se è una cosa
che riesco a nascondere bene. Torno indietro e passo due dita sulle targhe,
sulle cornici appese, sul dorso dei libri diligentemente impilati. Mi sembra di
fare un viaggio nei ricordi che tolga la polvere fittizia sul mio presente così
statico. Le foto mi ritraggono tra i soldati americani in Iraq e lì la polvere
non si puĂ² togliere: è entrata nell’anima della foto e nella mia. LaggiĂ¹ ho
visto cose terribili, che mi hanno segnato nel profondo.
Sono
partito con l’intento di ripercorrere le orme di mio padre e dar vita a
un’inchiesta come la sua, importante e spinosa, dall’eco internazionale. Guardo
la sua foto: stringe orgogliosamente il premio Pulitzer tra le mani. Ăˆ con Robert
Woodward. La loro intuizione, il loro coraggio e la loro perseveranza avevano
dato vita all’inchiesta che incendiĂ² lo scandalo Watergate, portando il
presidente Nixon alle dimissioni. Avevo anch’io i suoi stessi ideali di onestĂ
e rispetto, di Dio e di patria che dovevano dare al mio lavoro i contorni della
missione e alla mia personalitĂ un filo rosso di rettitudine da seguire. Ma
tutto questo ha perso validitĂ in un contesto, come quello iracheno, in cui
anche la dignità umana è stata messa in discussione.
La pallottola che mi ha colpito, trapassandomi
la spalla sinistra, ha lasciato meno cicatrici rispetto a quelle impresse dai
ricordi. Negli attimi concitati all’ospedale da campo, ho resettato gran parte
delle mie ambizioni e rivisto le mie priorità . Così, sono tornato a casa non
appena i medici me lo hanno permesso e ho ripreso il mio lavoro al giornale
occupandomi di politica interna.
Accarezzo
ancora una volta tutti gli attestati di studio e i riconoscimenti che affollano
le pareti del mio rifugio, alternando lo sguardo tra il colore tenue e delicato
delle cornici e l’inchiostro promettente del mio nome: Colin Fire. Lo stesso
che appare sul pass che professionalmente ho giĂ appeso al collo, lo stesso di
mio padre sul Pulitzer. Prendo il blocco e lo sistemo nella borsa con il laptop.
Mi guardo un’ultima volta nello specchio. L’azzurro della mia camicia riflette
quello dei miei occhi e i lineamenti marcati del mio volto sono evidenziati dai
capelli cortissimi, quasi rasati, un retaggio della mia vita tra i soldati. Mi
attorciglio un maglioncino scuro sulle spalle ed esco.
La mia meta è l’hotel Sheraton, dov’è prevista
la convention del senatore Thomson, in pieno stile repubblicano. Riesco a
parcheggiare con qualche difficoltĂ , pur non essendo una zona particolarmente
trafficata. L’hotel è giĂ un tripudio di bandiere coi colori nazionali e il
nome del senatore. Il merchandising che segue questo tipo di occasioni trasforma
la politica in un evento di costume, sperando di non scadere nella cronaca di
basso profilo. Sempre meglio che doversi occupare degli hashtag che faranno piĂ¹
tendenza nel giorno di San Valentino o delle nuove obbligazioni offerte dal Dipartimento
del Tesoro e chiamate apposta Hot Love
per poterle spacciare come regalo alternativo e previdente al proprio partner.
PasserĂ² questa festa lavorando, come faccio con tutte le altre segnate in rosso
sul calendario. Il lavoro mi trasforma, mi motiva e non mi fa pensare. La
maggior parte delle volte non chiedo di meglio.
Seguo
la scia brulicante dei colleghi verso la sala dove si terrĂ la conferenza
stampa con cui il senatore ci illuminerĂ sui punti cardine del suo programma
per le imminenti primarie. Agguanto un posto nelle prime file e inizio a
sistemare la mia roba quando sono investito da una scia fruttata che mi fa
alzare la testa come stessi annusando l’aria. Un fruscio al mio fianco attira
la mia attenzione assieme al tonfo del mio cellulare. Mi chino per raccoglierlo
e soffoco un’imprecazione. Quando mi rialzo, mi trovo a pochi centimetri dalla
bellezza piĂ¹ sfrontata che io abbia mai visto. Un algido tailleur dal taglio
sartoriale fascia una giovane donna intenta a schiacciare nervosamente i tasti
del suo cellulare. Uno spintone alle mie spalle mi fa avanzare e mi rendo conto
improvvisamente di essere praticamente in ginocchio davanti a lei.
«Mi
scusi…»
Parlo
con tono neutro e cerco di togliermi da quella posizione senza guardarla, ma
lei lo fa al posto mio. Alza il volto rivelandomi due smeraldi lucenti, puri e
trasparenti come laghi di montagna, contornati da ciglia lunghissime che si sfiorano
sensualmente a ogni battito. Mi guarda diretta e fredda, registrando ogni
particolare. Poi sposta con un movimento fluido i suoi capelli e muove le sue
labbra regalandomi una risposta secca.
«Non si
preoccupi.»
Mi
siedo al suo fianco, ma non riesco a staccare i miei occhi da quelle labbra
così carnose, rosse e peccaminose. Lei inizia a scribacchiare sul suo blocco
mentre io mi sporgo in avanti per leggere il nome sul pass che le vedo
appuntato sulla giacca. Lei si accorge delle mie intenzioni e si gira,
offrendomi, oltre al pass, la vista del bordo di pizzo del suo completo intimo che
fa capolino tra i reverse. Maschero tutto, dall’imbarazzo per essere stato
colto sul fatto all’eccitazione che mi sta riempiendo di brividi. Indosso la
mia espressione piĂ¹ corretta e professionale, mentre accolgo la sua mano sporta
verso di me.
«Violet Thorn.»
«Colin Fire, piacere.»
Le sfioro
il dorso della mano in modo galante, quasi retrĂ², ma sono colpito dal tono
tagliente della sua voce.
«Un
nome impegnativo da portare per un giornalista.»
«Lo
porto con orgoglio.»
«Ti
credo, chissĂ quante porte ti avrĂ aperto!»
Tutti i
miei nervi si tendono e credo che sul viso mi si possa leggere il disgusto che
sto provando. Dovrei esser maturo ormai e saper soprassedere a certe battute
che mi hanno sempre accompagnato, ma stavolta non ce la faccio.
«Mi
aspettavo un po’ piĂ¹ di originalitĂ !»
La
rabbia mi fa perdere ogni concetto di educazione, facendomi passare al tu senza
remore e continuare il mio discorso.
«Mi sei
giĂ caduta nei luoghi comuni! Il figlio di papĂ , quello che non ha dovuto
faticare per nulla, che non ha dovuto conquistarsi niente, sfoderando il nome
illustre, giusto?»
Lei mi
fissa per nulla intimorita, anzi negli occhi le brilla una luce particolare,
quella tipica della lotta e dello spirito di competizione. Raddrizza impercettibilmente
le spalle e inspira calma come stesse scegliendo con cura le parole con cui
rispondere. Ăˆ quasi felina, come fosse una pantera pronta a sfoderare le unghie,
sensuale oltre ogni limite anche in questo frangente.
«PerchĂ©?
Puoi onestamente dire che non sia mai stato così?»
«Tu non
sai nulla di me, sei solo una ragazzina impertinente, sfacciata e bellissima.
Ora dimmi, la tua avvenenza non ti ha aperto lo stesso numero di porte del mio
cognome?»
Spalanca
gli occhi non perdendo mai il contatto coi miei. Non indietreggia, anzi si sta
pericolosamente avvicinando al mio viso, per poi alitarmi sulla bocca tutto il
suo disprezzo.
«E tu saresti
quello con fantasia? Io sarei qui solo per essere entrata nel letto giusto?
Neanche tu mi conosci, signor Fire!»
Passiamo
il resto del tempo ignorandoci intenzionalmente. Almeno io sto provando a farlo,
mentre lei sta mettendo in atto un modo piĂ¹ sottile per farmi pagare
l’etichetta con cui l’ho catalogata. Si tocca, passandosi lentamente la mano sul
suo favoloso decolté, oppure finge di raccogliere qualcosa e si accarezza le
gambe lunghissime, fasciate con delle calze autoreggenti di cui lascia
intravedere il bordo. Sto scoppiando. Questa ragazzina riesce a risvegliare in
me sensazioni che avevo messo da parte da tempo per non espormi e soffrire. Mi
sento attraversato da una scossa elettrica quando lei si passa la lingua sulle
labbra, umettandosele. Il calore mi pervade e mi scorre sotto pelle fino a
concentrarsi nel mio inguine. Cerco di sistemarmi meglio sulla poltrona e uso il
maglioncino per nascondere l’effetto devastante che la dea sfrontata al mio
fianco mi sta facendo. La desidero.
Vorrei
sostituire le mie mani alle sue e ovviare alla sua arsura con lunghi baci
bagnati, come piacciono a me. Vorrei sentirla tra le mie braccia, arresa tanto quanto
vorrei arrendermi tra le sue. L’inizio della conferenza stampa mi scuote dai
miei pensieri e distoglie anche lei dai suoi propositi di vendetta. Inforca un
paio d’occhiali dalla montatura nera che le danno un’aria ancora piĂ¹
professionale e, presa la parola, sommerge il senatore con una serie di domande
articolate, specificatamente centrate sull’economia. Ăˆ preparata e sicura di se
stessa. Deve essersi laureata da poco e a pieni voti, potrei scommetterci. Mi incuriosisce
e vorrei conoscerla meglio. Ho la sensazione che qualcosa in lei non si
armonizzi con l’immagine di sĂ© che propina al prossimo. In alcuni suoi respiri
corti, nel suo torturarsi continuamente le mani c’è una tensione insolita,
un’insicurezza velata, una dolcezza repressa che vorrei scoprire.
Scuoto
la testa e rido di me stesso. Sto facendo delle mere supposizioni su una
persona che al primo approccio mi caccerebbe a calci nel sedere. Guardo il mio
blocco e mi appresto a porre le mie domande, che riguardano tutte i punti di
politica estera appena illustrati dal senatore. Ăˆ il mio forte, anche perchĂ© ho
testato sul campo l’esilitĂ dei trattati su carta e delle strette di mano
televisive. Nella grande sala cala per un attimo il silenzio, fino a che le
risposte contraddittorie del senatore Thomson vengono sommerse da un applauso
tributatomi dai colleghi. Un sorriso di soddisfazione copre il mio volto mentre
con noncuranza torno a sedermi. Violet guarda dritta davanti a sé, immobile come
una statua e io ghigno di rimando.
La
conferenza termina qualche ora dopo. Siamo tutti invitati a prendere possesso
delle nostre camere, dato che la convention del candidato democratico è
prevista per domani. Salgo svogliatamente nella mia e mi guardo intorno. Ăˆ carina
e profuma di pulito. Sistemo la mia roba e mi fiondo nella doccia, rilassandomi
sotto il suo getto largo. Lascio che l'acqua scorra su di me e tocco
inevitabilmente la cicatrice sulla spalla, anche se la tristezza che di solito
mi prende a questo punto è sostituita dall'immagine del volto di Violet. La
immagino sotto la doccia e con la fantasia posso vedere il percorso di ogni
gocciolina su quel corpo da favola.
«Che mi hai fatto piccola strega?»
«Che mi hai fatto piccola strega?»
Indosso
dei pantaloncini, mi metto le scarpe da jogging e inforco gli occhiali da sole. Voglio sfogare la tensione correndo nel parco
sottostante. La zona verde che circonda l’hotel è piccola ma carina e ben
curata, e ho giĂ fatto il percorso segnato piĂ¹ volte. Mi sento bene quando corro.
Libero la mente, lasciando da parte sia i brutti ricordi che le nuove
tentazioni. Penso al programma per domani e a come abbozzare l’articolo da
mandare al giornale. All’interno del parco c’è un piccolo laghetto artificiale,
circondato da fiori di mille colori. Sono fermo ad ammirarlo e a riprendere
fiato, quando una figura esile rimbalza su di me e si accascia a terra. Ăˆ una
ragazzina con le cuffie dell’iPod nelle orecchie, gli occhiali scuri e il
cappuccio calato sul viso. Mi chino apprensivo perché la bimba si sta tenendo
una caviglia e si lamenta.
«Scusami
tanto, piccola, ma mi sei venuta letteralmente addosso! Ti sei fatta male?»
La
bimba cala il cappuccio rivelando una coda scura ordinata e alza gli occhiali
da sole, colpendomi direttamente al cuore.
«Violet…»
«Fire,
come potevi non essere tu l’unico imbranato fermo a occupare tutto il
passaggio?»
«Beh,
alla lingua non ti sei ferita di sicuro. Che ti fa male, principessa?»
«La
caviglia. Devo aver preso una bella storta.»
Approfitto
dell’inattesa vicinanza e la osservo. Ăˆ senza trucco e i lineamenti ancora
adolescenziali cozzano con la naturale sensualitĂ dei suoi movimenti, la luce
cristallina degli occhi e la morbidezza della sua bocca. Ăˆ stupenda e muoio
dalla voglia di prenderla tra le braccia. Invece le offro la mano per aiutarla
ad alzarsi, ma lei la ignora, usando entrambe le sue per puntellarsi al
terreno.
«Ce la
faccio.»
Ăˆ
testarda come un mulo di montagna! Le rimango comunque vicino e, quando rischia
di cadere nuovamente, la prendo in braccio e la sollevo come si potrebbe fare
con una piuma. Violet protesta e si dimena, ma io mi dirigo a grandi passi
verso l’hotel, ignorandola. Entro destando una certa curiositĂ nella hall e
punto deciso verso gli ascensori.
«Senti,
principessa cocciuta, ti sto solo aiutando per evitare che il tuo stupido
orgoglio ti porti a far danni peggiori di quelli che giĂ potrebbero esserci.
Ora, cortesemente, potresti darti una calmata? Mi guardano male tutti qui.»
«Ok,
non perché io sia preoccupata per la tua reputazione, Fire, ma la caviglia mi
fa davvero male.»
«Ecco,
brava, fallo per te. Schiaccia tu il piano, principessa, che io ho le mani
impegnate.»
Una
volta al piano, avanzo cauto nel corridoio, aspettando un suo cenno.
«Ecco,
questa è la mia camera.»
«Sai
che siamo dirimpettai?»
«Mi sto
trattenendo dal saltare di gioia, non vedi?»
«Sei
sempre così acida o hai fatto un workshop apposito, principessa?»
«Smetti
di chiamarmi principessa!»
«Smetti
di trattarmi così, voglio solo esserti d’aiuto. Un po’ d’umiltĂ non ti farebbe
male.»
Abbassa
lo sguardo e sospira. Non voglio ferirla, non è mia abitudine neppure alzare la
voce, tanto meno con una donna. Voglio improntare il nostro rapporto su basi
piĂ¹ civili e cerco di fare un passo indietro per primo.
«Violet,
scusami. Non volevo essere scortese.»
«No, ho
sbagliato io per prima. Ti ho aggredito. Ricominciamo?»
La vedo
sorridere e mi si apre il cuore. Le fossette che le si formano ai lati della
bocca le danno un’aria ancora piĂ¹ giovanile e innocente. Allunga una mano verso
di me e si ripresenta.
«Violet.»
La
stringo con calore e ne bacio nuovamente il dorso, soffermandomi piĂ¹ del dovuto
sulla sua pelle profumata.
«Colin.»
Ci
limitiamo ai nomi, nessun cognome importante, nessuna curriculum da ostentare o
ruoli da difendere. Solo noi e la cosa mi piace parecchio. Il suo sorriso, perĂ²,
si spegne in una smorfia di dolore. Le prendo il piede e tolgo delicatamente la
scarpa. La tasto attorno alla caviglia e noto che lei sobbalza appena mi avvicino
al malleolo.
«Ascolta,
per ora mettiamo del ghiaccio per evitare il gonfiore e alleviare il dolore.
Secondo me è solo una contusione, ma se non passa chiamo un medico, ok?»
«Va
bene, Colin.»
Il mio
nome pronunciato da lei non ha mai prodotto suono piĂ¹ bello. Mi alzo in fretta
per mascherare le emozioni che mi scuotono dentro, ma poi mi fermo e respiro
con calma. Voglio essere me stesso, una volta tanto, voglio tornare a essere
quello che ero prima dell’Iraq. Le accarezzo una guancia con lentezza
esasperante.
«Mi
sembri spaventata, piccola.»
Inaspettatamente,
appoggia la guancia al mio palmo, arrendevole.
«Un po’,
non amo i medici e neppure gli ospedali.»
«Stai
tranquilla. Non sei sola.»
Le
sorrido e corro a prendere il ghiaccio nel frigobar, sistemandoglielo poi sulla
caviglia.
«Grazie
Colin, davvero.»
«Lo sai
che sembri una ragazzina così?»
Sorride
ancora e io mi sento leggero.
«Anche
tu sembri diverso, piĂ¹... umano. Leggendo i tuoi scritti, t’immaginavo chiuso in
una corazza d’ambizione, nascosto dietro la perfezione del tuo lavoro e mai
scalfito da alcun tipo di sentimento.»
«Non è un
ritratto molto edificante. Ora che pensi di me?»
«Penso
che tu sia una persona gentile, che tu sia disposto a metterti in gioco e a far
vedere lati di te che consideri sin troppo intimi.»
«Meglio
direi, ma su molte cose ci hai preso. Anche tu sei ben diversa quando non sei
calata nelle vesti di una cinica donna bellissima che deve dimostrare al mondo
di valere ben oltre l’apparenza.»
«Tu
quale versione preferisci?»
«Indubbiamente
questa.»
«PiĂ¹
arrendevole e senza trucco?»
«No,
semplice e diretta. Naturalmente Violet.»
Lei
abbassa la testa scuotendola, mentre il suo sorriso m’illumina. Mi fissa e
trattiene il labbro inferiore coi denti. Non ho mai visto nulla di piĂ¹
eccitante in vita mia. Vorrei porre fine a quella dolce tortura e detergerle la
ferita con la lingua. Mi trovo, invece, a umettare le labbra d’istinto e lei lo
nota nell’attimo di uno sguardo. Ci stiamo studiando, ci osserviamo l’un
l’altra per mettere a punto la mossa successiva. L’elettricitĂ sale, è spessa,
quasi palpabile. La sua mano scende accarezzando leggermente la sua gamba, fino
a sfiorare la mia sulla caviglia.
«Puoi
andare, se vuoi. Ti ho fatto perdere fin troppo tempo e abbiamo del lavoro da
fare entrambi… »
Le
affido il ghiaccio e mi alzo espirando pesantemente.
«Lo
stiamo rifacendo, non è vero?»
Violet
sembra non capire e mi guarda sorpresa. In realtĂ ha compreso benissimo. Siamo
fatti della stessa pasta e abbiamo gli stessi punti deboli, che ci preoccupiamo
di celare il piĂ¹ possibile.
«Non
facciamo in tempo a rivelare un briciolo della nostra vera natura, che subito
corriamo ai ripari sentendoci esposti, giusto Violet?»
I suoi
occhi si allargano ancora e la loro limpidezza li rende quasi trasparenti.
«Non ti
seguo,Colin.»
«Dimmi
che l’hai sentita anche tu.»
«Cosa?»
Ăˆ smarrita.
Forse sono troppo diretto, ma penso che, se non riuscissi a parlarle ora,
imploderei.
«La
scossa quando ci siamo sfiorati, i brividi lungo la schiena e il calore che si è
propagato dappertutto.»
Trattiene
il respiro, ma non nega e io mi avvicino.
«Dimmi
che hai pensato anche tu che stare vicini come prima, quando ti ho tenuto tra
le braccia, fosse la cosa piĂ¹ giusta del mondo. Piccola…»
«Colin,
sono confusa.»
L’istinto
mi dice di scappare da una situazione che potrebbe darmi solo complicazioni, ma
la mia volontà è annullata nel momento in cui Violet inizia a fissarmi le
labbra. Non parlo, non ce n’è bisogno. Mi accuccio di fianco al divanetto su
cui è stesa e le prendo le mani. Un fremito ci coglie entrambi. La percepisco
come se aderisse al mio corpo e potessi coglierla nella sua totalitĂ . La sento
in me quanto vorrei sentirmi in lei. I nostri sguardi sono ancora incatenati.
Il mio pollice sta accarezzando la nivea perfezione della sua pelle, mentre
penso che vorrei toccarla dappertutto, percorrere le linee del suo esile corpo
con le mani e con la lingua. Sono eccitato e i miei pantaloncini faticano a
celare la voglia che ho di lei. Vedo le sue guance imporporarsi e i suoi occhi
puntare la base del mio collo. Mi abbasso e la inseguo. Voglio accoglierla nella
mia bocca come fosse lo zampillo di una fontanella dopo una corsa estenuante.
Mi fermo a pochi millimetri da lei e respiro profondamente. Voglio gustarmi
ogni sfaccettatura di questo diamante grezzo. I nostri respiri si fondono e Violet
si muove cautamente, sfiorandomi le labbra. Così faccio anch’io di rimando. Il
suo calore è così intenso che potrebbe ustionarmi, ma ne voglio ancora.
Continuiamo a sfiorarci e a rincorrerci, a rubarci il fiato.
Poi plasmo
la mia bocca sulla sua e lentamente passo la lingua su tutto il labbro
superiore. Violet piega la testa di lato e spinge la sua lingua contro la mia. Gliela
succhio come fosse zucchero filato, fino a immaginare possa sciogliersi nella
mia bocca. Lei geme a lungo e io arrivo così vicino all’orgasmo da rischiare
una pessima figura. Le nostre mani iniziano a percorrere il corpo dell’altro
con crescente frenesia. La tocco da sopra la stoffa della felpa e la sento
bollente ovunque. Geme ancora e mi fa impazzire, si inarca e mi fa uscire di
senno. Ci stacchiamo ansanti. Deglutisco pesantemente di fronte al desiderio
esplicito che vedo nel suo sguardo, ma ho bisogno di parlarle.
«Voglio
essere onesto con te, Violet. Quando ti ho soccorsa e accompagnato qui le mie
intenzioni non erano queste. Mi hai colpito da subito, ma non volevo sedurti.
Ora, perĂ², voglio fare l’amore con te. Muoio dalla voglia di farlo. Voglio
anche che tu sappia che non sto con una donna da moltissimo tempo, perché
troppo preso dalle brutture di certi ricordi per notare la bellezza che mi
circonda. Ma tu mi hai travolto peggio di una tempesta di sabbia nel deserto.
Non c’è scampo per me, ma se non sei sicura, se non vuoi, questo è il momento
per fermarsi.»
«Colin…
tu mi sorprendi sempre. Vai oltre ogni schema e riesci a essere te stesso e
basta.»
Mi
accarezza i lati del collo con entrambe le mani per poi scendere sulle spalle e
tornare al punto di partenza.
«Ti
piace quello che vedi?»
«Ti
voglio anch’io, Colin.»
Sorrido
e lei mi copre il volto con una miriade di bacetti a stampo che, con la loro
innocenza, non fanno che infuocarmi. Poi lentamente la ragazzina lascia il
posto alla donna sensuale.
«Spogliami,
la caviglia…»
Non la
lascio finire e mi impossesso delle sue labbra ancora una volta. Infilo poi le
mani sotto la felpa e gliela alzo sopra la sua graziosa testolina. Violet
allenta la chiusura degli shorts, ma lascia a me il compito di farli sfilare
lungo le sue gambe bellissime. Rimane in intimo blu e sportivo e io la trovo
eccitante fuor di misura. Il suo corpo è tonico e guizzante e la voglia di lei
mi sovrasta. La prendo in braccio e la deposito sul piumone candido. Ăˆ delicata
e leggera, fragile e minuta. Ho quasi paura di farle del male.
«Vieni
o hai cambiato idea?»
«Piccola,
non potrei mai farlo, neppure se volessi.»
Mi
tolgo la felpa e le scarpe mentre Violet sembra ipnotizzata. Mi osserva e mi
accarezza definendo ogni muscolo. Si dedica ai miei pettorali, circondandoli e
massaggiandoli, per passare poi agli addominali, stuzzicandoli e riempiendomi
di brividi.
«Come
sei massiccio Colin, sei uno schianto!»
«Sono
così grosso rispetto a te che ho paura di farti del male.»
«Lasciati
andare.»
La sua
lingua ripercorre i sentieri aperti dalle sue dita e io comincio ad annaspare.
Mi stendo su di lei facendo attenzione alla sua caviglia e a non pesarle
troppo. Ăˆ nelle mie mani, magnifica e delicata come una farfalla. Mi attira su
di sé e mi inonda del suo calore. La bacio, le lecco ogni lembo di pelle,
mentre il suo profumo m’inebria. Accompagna le mie mani sul suo seno, ancora
coperto dall’intimo. Con un movimento fluido lo fa sparire e io mi fiondo a
bocca aperta su tutta quella morbidezza esposta. Succhio i suoi capezzoli, titillandoli
con la lingua. Poi ci soffio sopra e li osservo indurirsi. Fremo e scendo con
la mano tra i nostri corpi, oltrepassando il suo perizoma e arrivando al suo
fulcro. Sono avvolto dal calore e la testa comincia a girarmi. Sprofondo lento
in lei, che butta la testa all’indietro gemendo sommessamente. Quando compio
una piccola pressione col pollice sul suo clitoride, Violet rialza il capo e
infila le mani sotto i miei slip, avvolgendo i miei glutei. La mia erezione è
finalmente libera e preme sul suo addome. Lei guida le mie dita nella sua
carne, io faccio appoggiare la sua mano sul mio membro. Ci stiamo dando piacere
a vicenda, dando corpo alla voglia di conoscerci ed esplorarci. Violet
s’irrigidisce e chiude nella sua morsa le mie dita, liberando un orgasmo che la
travolge. Mi ritrovo ansante a osservarla e a pensare che vederla godere sia la
cosa piĂ¹ bella che io abbia mai visto. Lei riapre gli occhi e mi fissa, cullata
ancora dai vapori dell’estasi.
«Sei
bellissima piccola, ti voglio da morire.»
Mi
sistemo meglio fra le sue gambe. Sono così teso e nervoso, ma lei prende il mio
viso tra le mani e mi attira a sé, baciandomi. Mi guida, infondendomi
sicurezza. Ăˆ così dannatamente dolce e succosa. Avrei tanto voluto assaggiarla,
ma l’urgenza di unirmi a lei mi sta vincendo a tal punto che temo di non essere
né paziente, né delicato.
«Vieni
qui Colin, voglio sentirti.»
Violet
riesce a cacciare i miei fantasmi molto meglio di mesi di terapia. Entro in lei
con cautela e devozione, trattenendo il respiro. Il suo calore mi avvolge, accudendomi,
e mi stringe. Ansimiamo entrambi mentre inizio a muovermi con spinte lente e
cadenzate, fino ad accarezzare la sua fine, a perdermi e annullarmi in lei.
Sento l’energia, che prima era concentrata nel mio inguine, irraggiarsi e
attraversarmi tutto, come un’onda inesorabile. Violet mi stringe in modo sempre
piĂ¹ possessivo, quasi a volermi inglobare, fino a che il mio orgasmo non
esplode insieme al suo. Quando il piacere defluisce, apro gli occhi lentamente.
Sto respirando nel piccolo tempio alla base del suo collo, mentre lei mi
accarezza la schiena e mi bacia la tempia. Faccio per alzarmi, ma me lo
impedisce, trattenendomi.
«Dimmi
che ora non subentrerĂ l’imbarazzo tra noi e che non faremo a gara per trovare
una scusa per scappare da questo letto.»
La
guardo. Ăˆ sudata, spettinata e arrossata, ma io non l’ho mai vista così bella.
La sua insicurezza è pari alla mia e la nostra forza è solo apparenza per
evitarci sofferenze inutili.
«Non so
che razza di uomini tu possa aver conosciuto fino a ora, piccola, ma io non
scappo. Io sto qui. Tu che fai?»
«Ci sono. Ora, stasera e anche domani.»
«Domani
è San Valentino.»
«Che
tempismo perfetto, Fire!»
Torno a
unire le nostre labbra in una dolce promessa, riempiendo di noi il silenzio che
ci circonda.
L’autrice:
Katy Policante (Catherine BC) nasce e vive in
provincia di Verona. Compie un percorso di studio variegato sia per attitudine
che per esigenze personali. Ăˆ attratta dalla scrittura fin dall’adolescenza. Ha
partecipato a contest e concorsi organizzati da riviste e siti letterari. Ha
scritto diversi racconti e qualche poesia, una delle quali è stata pubblicata
su un settimanale femminile.
Nell’agosto del 2013 ha autopubblicato “Il
sapore del proibito” (Forbidden Trilogy), il suo romanzo d’esordio.
Dal 12 dicembre 2013 un suo racconto natalizio è
comparso tra le pagine dell’antologia “Natale e dintorni” edita dalla
Alcheringa Edizioni .
Nello stesso periodo un altro suo racconto “Un
nuovo inizio” è stato inserito nell’antologia “Halloween’s Novels”, curata da Le
passioni di Brully e pubblicata su Amazon.
Nel gennaio del 2014, ancora da self publisher ,
presenta il racconto, “La sindrome di Stendhal”.
Nei primi mesi del 2014 un altro suo lavoro,
“L’amore sa di tappo” è stato scelto dalla Butterfly Edizioni per far parte di
un’antologia che è uscita il 16 dicembre 2014.
Sempre nello stesso giorno è uscito anche un suo
racconto, “Samhain, la soglia” per la Delos Digital.
Nell’agosto del 2015 ha auto pubblicato il
secondo romanzo della Forbidden Trilogy, “Ricatto proibito”.
Nell’ottobre del 2015 è uscito “La piĂ¹ dolce
tentazione”, un romance con sfumature erotiche edito dalla Rizzoli per la
collana You Feel.
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Dolcissimo. Quanto amore si è respirato in questa settimana! Grazie mille, Katy.
RispondiEliminaGrazie Christiana!
EliminaPiccola Katy (non me ne volere!) è proprio una brava scrittrice di storie d'amore delicate ma sensuali quando serve. Brava!
RispondiEliminaGrazie Antonella....per questa volta ci passo sopra :) 1 Felice che il racconto ti sia piaciuto.
Eliminaio adoro i POV maschili!!!bravissima Katy!l'ho letto tutto d'un fiato e mi piacerebbe leggere di piĂ¹ sul passato di Colin!grazie del regalo che ci hai fatto!
RispondiEliminaLi adoro anch'io!! Sembra che mi riescano meglio...avrĂ² qualche problema? Grazie Michela!
EliminaBello, si legge tutto d'un fiato.
RispondiEliminaGrazie! :)
EliminaMolto bello, Katy. Intenso e delicato . Bello!
RispondiEliminaDetto da te è un doppio complimento! Grazie! :)
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